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Napoli “Stay Human” Festival

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Quest’anno, per la sua quinta edizione, il Napoli Teatro Festival ha scelto un ospite “speciale”: Israele! Le performance previste saranno il concerto della già nota “pacifinta” Noa il 6 giugno e, successivamente, dal 19 al 24 giugno una serie di spettacoli di compagnie di danza israeliane.

Ancora una volta si è scelto di dare spazio a chi sostiene la propaganda d’Israele che, strumentalizzando la cultura, si “ripulisce la faccia” e nasconde con la retorica di un’apparente tolleranza e pluralismo la realtà delle sue politiche quotidiane che invece non lasciano spazio a chi realmenteprova a contrastarle!

Purtroppo sappiamo bene qual è il vero volto della “democrazia” in Israele, che mette in carcere i giovani israeliani che rifiutano il servizio militare, chiude i propri confini agli intellettuali considerati “pericolosi” come Noam Chomsky, nega spazi nei contesti accademici a chi cerca di parlare di cosa ha comportato la fondazione di Israele per i palestinesi, la cosiddetta Nakba del ’48, il moltiplicarsi senza tregua degli insediamenti coloniali, migliaia di profughi senza diritto al ritorno, migliaia di prigionieri detenuti illegalmente, la cancellazione sistematica dei diritti più elementari.

Nello specifico, Noa giustificò con una lettera aperta ai palestinesi l’Operazione Piombo Fuso a cavallo tra 2008 e 2009 che vide l’uccisione di 1400 persone e più di 5000 feriti, con l’utilizzo illegale da parte di Israele del fosforo bianco in una delle aree più densamente popolate al mondo per poi continuare a giocare a “Madre Teresa” e proporsi come grande ambasciatrice di pace.

Purtroppo, anche per quanto riguarda le compagnie di danza, nessuna di queste ha mai scelto di schierarsi e rispondere ai numerosi appelli all’interno di Israele per il boicottaggio dei teatri nelle colonie in Cisgiordania, scegliendo di mantenere una posizione “neutrale” di fronte alle ingiustizie.

Così, ancora una volta, invece di incoraggiare e sostenere gli artisti e intellettuali davvero critici e attivi in Israele nel contrastare le politiche razziste e di apartheid che continuano a rendere impossibile un processo di pace in Medio Oriente, il Napoli Teatro Festival ha scelto di avallare la “normalizzazione” messa in campo da Israele.

Sta a noi contestare questo genere di iniziative, dando spazio invece alla resistenza quotidiana palestinese!

BOICOTTA IL NAPOLI TEATRO FESTIVAL!
BOICOTTA LA CULTURA CHE NON SI SCHIERA!

qui l’appello

APPUNTAMENTI (in continuo aggiornamento! Segui anche Giulia Valle su facebook)

>>>mercoledì 30 – spettacolo “Pulcinella in Palestina” – piazza San Domenico, Napoli – per maggiori informazioni sullo spettacolo leggi quiEvento facebook;

>>>giovedì 31 – Aperitivo sociale “Canta Palestina” – Acerra (via Duomo) – Laboratorio Politico Aprile – Evento facebook

>>>venedì 1 – proiezioni di video e musica a Largo San Giovanni Maggiore;

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Fonte: Collettivo Autorganizzato Universitario/Napoli

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Tribunale Russell per la Palestina: contro il crimine del silenzio

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“Quello israeliano è un regime di apartheid con un sistema istituzionalizzato per l’esercizio del dominio”. Cape Town, Sud Africa: a parlare sono le conclusioni di giuristi, premi Nobel per la Pace, parlamentari europei, ex capi di Stato e ambasciatori, che si sono riuniti dal 5 al 7 novembre per la terza volta consecutiva dall’inizio del 2010 in quella struttura civile, popolare e internazionale nota come Tribunale Russell per la Palestina (TRP).

di Cecilia Dalla Negra

E che questa volta, dopo gli appuntamenti di Barcellona (marzo 2010) e Londra (novembre 2010) si sono dati come obiettivo quello di analizzare le politiche israeliane nei confronti della popolazione civile palestinese nei Territori Occupati, a Gerusalemme Est e all’interno di Israele, per stabilire – attraverso numerose testimonianze – se si potessero inquadrare in un contesto discriminatorio tale da arrivare a parlare di apartheid.

Sembra di sì, se è vero – come sostenuto dal Tribunale – che i palestinesi vivono “sotto il controllo coloniale e militare israeliano”, tanto nei propri territori sottoposti ad occupazione, quanto all’interno dei confini di Israele, così come stabiliti nel 1948.

Un risultato forse atteso, certamente già scritto nei fatti per chiunque abbia avuto modo di visitare i Territori, arrivato al termine di quella che è stata solo l’ultima tappa di un percorso lungo e articolato, che ha visto la nascita, lo sviluppo e l’affermazione internazionale di un tribunale civile e popolare.

La sua storia inizia nel marzo del 2009 quando, in ambito europeo, il Tribunale Russell per la Palestina, sulla base di alcuni illustri precedenti, viene promosso in primo luogo dall’ex senatore belga Pierre Galand, e dall’ex vicepresidente del Parlamento europeo Luisa Morgantini, attivista per i diritti umani di lungo corso.

Si è da poco conclusa l’offensiva israeliana “Piombo Fuso”, che nella Striscia di Gaza, tra il dicembre 2008 e il gennaio 2009, ha provocato oltre 1400 vittime civili, seminando distruzione e riducendo in macerie scuole, abitazioni, ospedali.

Il gruppo di personalità internazionali che si riunisce sotto la sigla del TRP vuole investigare quei fatti, oltre a tentare di dare una risposta alla domanda che preme sulla comunità Internazionale: è stato fatto davvero tutto il possibile per implementare e assicurare l’applicazione di alcune norme di diritto internazionale, del parere della Corte Internazionale di giustizia del 2004 che aveva condannato la costruzione del muro di separazione israeliano, e della conseguente risoluzione delle Nazioni Unite (ES 10/15 del 2004), che quel parere negativo confermava?

L’iniziativa ha in sé qualcosa di rivoluzionario, perché mira a dare per la prima volta un parere internazionale condiviso sul conflitto israelo-palestinese e sulle politiche israeliane in particolare, ma che sia popolare e provenga da un tribunale civile.

Ricalca le orme di precedenti illustri: siamo alla fine degli anni Sessanta quando il filosofo gallese Bertrand Russell, con il supporto di Jean Paul Sartre, crea il Tribunale Russell per il Vietnam, con lo scopo di investigare eventuali crimini di guerra commessi in quel teatro bellico dagli Stati Uniti d’America. Vi prenderà parte come penalista anche Lelio Basso, che sette anni dopo darà vita al secondo Tribunale Russell, questa volta incentrato sulle violazioni dei diritti umani in Cile, Brasile e Argentina.

Poi, nel 2009, il TRP fissa la sua agenda. I suoi lavori si articoleranno lungo quattro sessioni internazionali, la prima delle quali prende il via con successo a Barcellona: è il 1° marzo del 2010, e la sala è colma di persone arrivate da tutto il mondo.

Due giorni di lavori, al termine dei quali la giuria del Tribunale, chiamata ad ascoltare numerose testimonianze dirette e ad analizzare il ruolo dell’Unione europea nell’ambito del conflitto, emana le sue conclusioni che, per quanto non ufficiali, hanno il sapore di una sentenza.

L’Ue e i suoi Stati membri vengono riconosciuti responsabili per le violazioni della legalità internazionale commesse da Israele, tanto nell’attacco “Piombo Fuso” su Gaza, quanto nelle politiche quotidiane portate avanti nei Territori Occupati e a Gerusalemme Est, dove le espulsioni di palestinesi dalle proprie case ad opera dei coloni e la colonizzazione di terre proseguono, impunite.

La loro colpa quella di non aver fatto tutto il possibile perché quelle violazioni non avessero luogo, o quantomeno perché avessero fine, laddove il diritto internazionale impegna tutti gli Stati e non ne esime nessuno.

Quindi, le raccomandazioni: è alla società civile europea che la Corte si rivolge, chiedendole di essere guardiana delle politiche portate avanti dai rispettivi paesi, e di “mettere in atto ogni azione necessaria” perché le violazioni del diritto internazionale commesse da Israele cessino. Boicottandone le istituzioni, le relazioni economiche e i commerci, se necessario, come pratica civile, efficace, nonviolenta.

È un copione simile quello a cui si assiste a Londra, nel novembre 2010. La seconda sessione internazionale prende ad oggetto del proprio dibattito questa volta la complicità di aziende, industrie e corporation implicate in vario modo  nell’occupazione illegale di territori palestinesi da parte di Israele.

E, “con prove evidenti”, dimostra la loro “complicità nelle violazioni della legalità internazionale”. Si tratta di tutte quelle aziende che partecipano a vario titolo “alla fornitura di armi, alla costruzione e al mantenimento del muro di separazione, alla fornitura di servizi e infrastrutture per gli insediamenti illegali in Cisgiordania”. Anche in questo caso, la giuria identifica specifiche azioni legali che possano essere intraprese contro queste, e fa appello alla società civile perché attivi ogni canale possibile volto all’interruzione di affari illeciti. 

In Sud Africa, invece, si parlava di apartheid. Il terzo appuntamento internazionale, nel silenzio generale dei media mainstream, mirava ad analizzare le politiche israeliane nei confronti della popolazione palestinese, dentro e fuori i confini stabiliti dello Stato di Israele.

Se infatti apartheid significa letteralmente “separazione”, e la sua politica è quella di porre su piani gerarchici i cittadini di una stessa terra, allora quello instaurato da Israele nei confronti dei palestinesi è un regime di Apartheid.

A testimoniarlo “le demolizioni di case, le punizioni collettive corporali e psicologiche cui la popolazione è sottoposta, il deterioramento dei servizi sanitari ed educativi; il divieto di muoversi liberamente all’interno dei Territori, così come quello di praticare la propria religione”.

E ancora, “le leggi militari applicate solo ai palestinesi, le strade riservate ai soli coloni all’interno dei Territori, lo status di serie b cui sono ridotti i palestinesi residenti a Gerusalemme”. In una parola, quello che Israele fa ogni giorno è “impedire al popolo palestinese di funzionare come gruppo sociale”, separandolo per giunta attraverso un muro.

Secondo il parere del Tribunale, almeno il 30% delle violazioni commesse da Israele possono essere identificate come pratiche di apartheid, considerato un crimine contro l’umanità e vietato dal diritto internazionale.

Un tentativo importante quello del Tribunale Russell, per quanto ignorato dalla comunità internazionale e dalla gran parte dei media, che si da appuntamento per l’ultima sessione, questa volta a Washington, all’inizio del 2012.

E che si è dato come obiettivo quello di rendere evidenti ed inconfutabili i crimini commessi da Israele contro la popolazione palestinese, per realizzare l’intento enunciato già a suo tempo da Bertrand Russell: “Che questo tribunale – scriveva il filosofo – possa impedire il crimine del silenzio”.

8 novembre 2011

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Fonte:  Unponteper Osservatorio Iraq  (Medioriente – Nordafrica)

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Attacco di Anonymous al governo d’Israele

    

 

           

7 novembre 2011

Azione significativa e dura da parte del gruppo hacktivist Anonymous.

Venerdì con un video su Youtube, Anonymous  ha minacciato di entrare in azione contro il  governo d’Israele se avesse bloccato le 2 navi con gli aiuti umanitari per Gaza.

Nel video le motivazioni degli hacktivist:

“Le vostre azioni sono illegali, sono contro la democrazia, contro i diritti umani internazionali e le leggi marittime…Giustificare, come copertura di difesa, la guerra, gli omicidi, le intercettazioni illegali ed azioni di pirateria, sono scelte queste che non possono essere accettate da noi e da tutti i popoli del mondo…Se continua il blocco degli aiuti umanitari a Gaza, o peggio ripeterete le terribili azioni del 31 maggio 2010 contro la Flotilla Freedom, allora saremmo costretti ad agire. Ancora, … e ancora finché non vi fermerete!”

Nella giornata di domenica, dopo l’abbordaggio (4 novembre) delle 2 navi Saoirse e Tharir da parte delle unità da guerra israeliane, i siti web dell’esercito, del servizio interno di sicurezza Shin Bet e del Mossad (agenzia di spionaggio) sono stati oscurati (offline).

Naturalmente, Israele smentisce l’attacco di Anonymous, dichiarando che si è trattato solo di una “strana coincidenza” e specificando che si sono riscontrati dei problemi ai server.

(madu)

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