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Lettera a un figlio precario

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Caro figlio,
ti diranno che è colpa mia. Di quelli della mia età. Ti diranno che siamo noi a rubare il futuro a te e a quelli della tua generazione. Ti diranno che sono un privilegiato, un garantito, e che se lo sono il prezzo da pagare oggi è la tua flessibilità perenne (precarietà è la parola giusta). Te lo diranno ancora, e te lo stanno raccontando da almeno venti anni. Per questo tu oggi ce l’hai con me e mi guardi con lo sguardo severo. Vedi, ci hanno fatto il lavaggio del cervello, usando parole appiccicate sui significati sbagliati. Io e l’articolo 18 che mi porto appresso non sono un “garantito”. Sono una persona che lavora, e che nel lavoro viene trattato con la giusta dignità: poter progettare la mia vita è un diritto, non un privilegio; stare a casa se sono malato è un diritto, non un privilegio. E se sul lavoro non mi comporto seriamente, se vengo scoperto a rubare ad esempio, posso essere licenziato. Non verrò mai licenziato “senza giusta causa o giustificato motivo”, dice la legge, e non mi pare un privilegio ma un diritto. Quanto ai licenziamenti per motivi economici -cioè perché l’azienda è in difficoltà – si possono fare eccome, come tutti purtroppo hanno potuto constatare specialmente da quando è scoppiata questa ultima crisi.

Parliamo di te, piuttosto. Della tua condizione che al solo pensiero non riesco a dormirci la notte, molto spesso. A me fa male sapere che non godiamo degli stessi diritti (non privilegi, ricordalo sempre). Ma tu sbagli tiro se fai la guerra alla mia generazione. Vogliono farti credere che il problema siamo noi col nostro vituperato articolo 18, e invece i cattivi sono sempre loro. Quelli che una volta mettevano contro gli operai e gli impiegati, ora fanno lo stesso tra giovani e vecchi. Adesso li chiamano “datori di lavoro”, “imprenditori”, quasi fossero benefattori dell’umanità, per me restano quel che sono davvero: padroni. Ti hanno detto che “abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità” per troppi anni. Sai bene che non è mai stato così per noi, che tutto quello che abbiamo è costato sacrifici, risparmi, vacanze brevi e mai all’estero, pizzerie invece di ristoranti, sabati miei al lavoro piuttosto che in famiglia, due etti di mortadella ma non di prosciutto. Nessuno ci ha regalato nulla. Nessuno. Tutto ci è costato qualcosa. Non sei precario a caso, figlio mio. Lo sei perché prima il centrosinistra e poi il centrodestra hanno “riformato” il mercato del lavoro dando la possibilità alle aziende di fare di voi giovani ciò che vogliono. E ora ti raccontano che il problema sarei io, tuo padre. E’ assurdo, sai? Siccome il virus della precarietà ha contagiato buona parte di voi giovani, iniettiamolo a tutti, anche a quelli che si potrebbe salvare! Il “riformismo” si traduce in “mal comune mezzo gaudio”: se la modernità è questa, preferisco restare vecchio. Insomma, ti diranno che è colpa mia. E allora lasciati dire che io una colpa me la sono data davvero. Ed è un’altra. A noi, giovani 30-40 anni fa, l’articolo 18 non ci è stato regalato perché eravamo belli e simpatici. Ce lo siamo guadagnato. Abbiamo lottato. Abbiamo invaso le fabbriche, le piazze, le città. La polizia a volte ha sparato, e alcuni di noi ci sono rimasti secchi. Ma noi abbiamo lo stesso continuato a lottare, a credere nel cambiamento, a impegnarci quotidianamento per conquistare consapevolezze e quindi diritti. Ecco, figlio mio, non ti ho insegnato a fare la stessa cosa. Ti ho fatto crescere dandoti tutto ciò che desideravi, privandoti di niente. Sei venuto su senza il giusto mordente. Non avevi il tempo di sentire lo stimolo della fame che ti avevo già nutrito. Per questo oggi è più facile rivoltarsi contro i padri piuttosto che contro un sistema ingiusto.
Chiamala rivolta, chiamala rivoluzione, chiamala come vuoi: trova, insieme ai tuoi amici, la forza per ribellarti e riconquistarti ciò che vi è stato tolto. Un futuro dignitoso. E se cambi idea e domani vorrai festeggiare con me la mia pensione dopo 37 anni di lavoro da insegnante, ne sarò molto felice.

Tuo Babbo

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Fonte:  Senzapatria

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Anonymous – #Italy & #OperationGreenRights sta indagando sul database ILVA

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“A seguito delle nostre ricerche, emerge che i grafici dei valori delle polveri sono stati manipolati. Ancora una volta, gli interessi economici e l’avidità di padroni e Istituzioni, relegano in secondo piano i Diritti umani e ambientali. In nome del profitto, la menzogna e l’inganno divengono routine.
Nella grande maggioranza dei casi, i valori riportati rimangono molto al di sotto delle soglie di legge ma la variazione è minima.
In altre parole, rilevazioni compiute a settimane di distanza l’una dall’altra, in condizioni atmosferiche diverse, non presentano variazioni significative degli agenti inquinanti.
Ciò chiaramente induce a pensare ad una manipolazione dei rilevamenti effettuati.
Nel caso della valvola CK2NO2 , invece, vediamo che la rilevazione della concentrazione ambientale di contaminanti sale di giorno in giorno fino ad arrivare a quota 561.3 il 31 di Maggio 2012.
Il limite è fissato a 600.
Dai dati estrapolati, inoltre, si evince come Ilva abbia deliberatamente aumentato il valore della soglia di tolleranza iniziale, che passa da 640 a 800
L’andamento dei dati rende plausibile analoghi incrementi delle emissioni dell’inquinante anche nei mesi successivi (superando, in data attuale, i valori limite di molti punti).
A tal proposito segnaliamo che ILVA ha cancellato dal propio database la cronologia dei rilasci di contaminanti (furfurani) rilevati dalla valvola CK2SO2 a giugno.
Tutto ciò costituisce un indizio del fatto che Ilva ha volutamente cancellato dai database dati compromettenti.
Possiamo quindi asserire non solo che Ilva ha avvelenato operai e cittadini di Taranto, ma persino che ha anche agito in modo tale da oscurare la verità a spese della salute pubblica e dell’ambiente.

Le valvole in questione servono a misurare le concentrazioni di diossine, in particolare di furano. Il furano o furfurano (nome comune dell’ossido di divinilene) è un contaminante ambientale persistente di tipo organico che decade naturalmente in benzofurani policlurati, i quali son associabili alle diossine.
Già naturalmente, il furfurano è volatile a temperatura ambiente e le concentrazioni rilevate sono comparabili a quelle di un disastro ambientale.
L’azione del furfurano non è solo cancerogena: la sola concentrazione del prodotto volatile basta ad incrementare di una considerevole percentuale il presentarsi di malattie pneumologiche croniche, disordini immunologici atipici o persino malattie neoplastiche, ma è anche teratogena, ovvero causa problemi fetali.
Invitiamo gli operai dell’ILVA a meditare sulla teratogenia dei furani, poiché mettono a rischio anche i loro futuri figli, oltre che loro stessi; il genoma corrotto può dare origine a deformità, malattie immunologicamente congenite e persino incrementare la probabilità di contrarre malattie neoplastiche nei nascituri.
Lottare per difendere non solo il posto di lavoro ma anche la salubrità, è un diritto e un dovere allo stesso tempo.
Chi ricatta i propri dipendenti obbligandolia scegliere fra salario o malattie è solo un deplorevole profittatore accecato dal denaro.
Continueremo a scagliarci contro i fautori di inganno ed estorsioni, e rivendichiamo a gran voce, insieme ai lavoratori, il diritto di ogni persona a poter esecitare la propria professione nel rispetto dei diritti.

We are Anonymous
We are Legion
We do not Forgive
We do not Forget
Expect US “

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Fonte: Operation Payback ITA

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Articoli correlati:   Anonymous – ILVA: attacco al comune e all’impianto siderurgico

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Ordinario orrore nelle carceri italiane: 100 morti da inizio anno, una “strage” impunita

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Osservatorio Permanente sulle morti in carcere, 12 agosto 2012

Radicali Italiani, Associazione “Il Detenuto Ignoto”, Associazione “Antigone”, Associazione A “Buon Diritto”, Redazione “Radiocarcere”, Redazione “Ristretti Orizzonti”.

Altri 3 detenuti sono morti. Si aggiungono all’interminabile lista delle vittime di un sistema penitenziario sempre meno capace di tutelare la vita e la salute delle persone che dovrebbe “custodire”: 6 da inizio agosto, 100 da inizio anno, 2.033 (duemila trentatré) negli ultimi 12 anni.

Avevano un’età media di 39 anni… quindi “giovani” per i parametri biologici e sociali adottati comunemente, ma i 2/3 di loro sono morti per “cause naturali” (il restante terzo si è suicidato).

Nello stesso periodo di tempo (2000-2011) la “criminalità organizzata” (dicitura che ricomprende le varie mafie) in Italia ha ucciso 1.579 persone, mentre 593 sono state le vittime della criminalità comune nel corso di rapine.

Entrambi i contesti presentano numeri da strage: “fuori” quella volontaria, spesso premeditata, compiuta da banditi assetati di denaro e di potere; “dentro” quella colposa, perché prevedibile con certezza, perché prodotta da condizioni detentive inumane e degradanti, da un’assistenza sanitaria spesso negata, dall’impossibilità di sperare in un futuro migliore, dall’inerzia e dall’abbandono.

Duemila le vittime della “criminalità criminale”, in 12 anni, su circa 60.000.000 di abitanti.

Duemila le vittime della “criminalità di Stato”, in 12 anni, su circa 60.000 detenuti.

La 2033esima vittima

Si chiamava Costa Ngallo, nato in Rwanda nel 1962, detenuto a Rebibbia per scontare una pena residua di circa 4 anni. Ha un decreto di espulsione, non applicato per la sua condizione si salute: cardiopatico, dializzato, ha una dentatura rovinata per totale assenza di cure specifiche.

È incompatibile con il carcere ed a marzo 2011 ottiene la detenzione domiciliare, ma non ha un alloggio: avrebbe bisogno di una struttura di accoglienza che si possa occupare di lui anche dal punto di vista sanitario. Non ha soldi, non ha un permesso di soggiorno… e la struttura non si trova.

Così rimane in carcere: senza parenti in Italia, senza denaro; l’avvocato non va nemmeno una volta a trovarlo, soltanto i volontari di Antigone cercano di aiutarlo versandogli sul libretto i 20 € necessari per avere copia della cartella clinica, che ottiene dopo 5 mesi di attesa.

Tre volte la settimana viene condotto, con scorta della Polizia penitenziaria (3 agenti), all’Ospedale “Pertini” per sottoporsi alla dialisi: in 15 mesi più di 200 “traduzioni”, con costi di decine e decine di migliaia di euro… che avrebbero potuto essere spesi per reperirgli un alloggio e forse salvargli la vita. L’8 agosto, durante l’ennesimo viaggio al “Pertini”, Costa Ngallo muore.

La 2032esima vittima

Si chiamava Cheung Rhee He, nato in Corea nel 1964, detenuto nel carcere di Sollicciano per scontare una pena residua di 10 mesi. Non aveva parenti in Italia, aveva ripetutamente chiesto il trasferimento in un carcere a Roma, per poter avere colloqui con i famigliari attraverso l’Ambasciata coreana. Poiché la risposta del Dap non arrivava, nelle scorse settimane aveva anche iniziato uno sciopero della fame, a sostegno della richiesta.

Era sottoposto ad osservazione psichiatrica e in cella di isolamento. A fine luglio, l’ultima visita dello specialista avrebbe confermato che le sue condizioni non destavano preoccupazione: la sera del 4 agosto Cheung si impicca alla branda a castello. Un agente lo vede dallo spioncino, ma non ha le chiavi per aprire la cella e, mentre va a recuperarle, il detenuto cade dalla branda dove stava cercando di appendersi, batte la testa sul tavolo e muore.

Suicidio o “incidente”? Come mai aveva la branda a castello, se era in cella da solo? La sua richiesta di trasferimento per cercare di incontrare i famigliari è un comportamento da “folle”, meritevole di “osservazione psichiatrica”?

La 2031esima vittima

Si chiamava Luigi Didona, nato in Provincia di Caserta nel 1963, detenuto del carcere di Borgata Aurelia a Civitavecchia (Rm). Era in carcere per reati legati al suo stato di tossicodipendenza e in condizioni di salute molto precarie, tanto che giovedì 2 agosto il magistrato gli riconosce l’incompatibilità con la detenzione, disponendone la scarcerazione.

Il provvedimento gli doveva essere notificato entro le 24 ore, ma Luigi Didona muore prima. Mentre pranza in cella si strozza con un pezzo di carne: essendo senza denti, cercava di inghiottirlo intero. Viene soccorso, ma muore in Ospedale per arresto cardiaco da soffocamento. Il giudice, informato dell’accaduto, dispone che dalla camera mortuaria sia trasportato direttamente al cimitero, senza funerale.

La direttrice del carcere di Civitavecchia, dott.ssa Silvana Sergi, interpellata al riguardo, dichiara che la sepoltura senza funerale è “una prassi consolidata” e che “i familiari non si sono potuti permettere il trasporto e la tumulazione, tanto che se ne è fatto carico l’istituto stesso”.

Riguardo alle dinamiche che hanno portato Didona alla morte dichiara: “Un incidente che può capitare a chi ha problemi psichici. Era così povero che, pur non avendo più i denti, non si era potuto permettere una dentiera. Aveva 49 anni, non era anziano, ma viveva una situazione di disagio assoluto”.

Per evitare questo tipo di “incidenti” sarebbe bastato che Luigi Didona avesse ricevuto una dieta adeguata (carne trita, invece che a pezzi…), come peraltro viene fatto in qualsiasi struttura che “ospiti” persone prive di denti. Ma una adeguata attenzione socio-sanitaria avrebbe anche consentito la fornitura di una dentiera da parte del SSN…

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Fonte: Ristretti Orizzonti

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