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Il Comune di Napoli riconosce la sperimentazione di una nuova forma di democrazia diretta

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Si può fare! Il regolamento di uso civico dell’Asilo è stato riconosciuto dal Comune di Napoli

Con la delibera approvata il 29 dicembre 2015, che recepisce la Dichiarazione d’uso civico e collettivo urbano dell’Ex Asilo Filangieri, il Comune di Napoli riconosce la sperimentazione di una nuova forma di democrazia diretta che dal 2012 è in atto tra le mura dell’immobile, ad opera di una comunità mutevole di lavoratori e lavoratrici della cultura e dello spettacolo.

È con grande emozione ed orgoglio che consegniamo alla città un nuovo modo di concepire la gestione di uno spazio pubblico, uno strumento riproducibile frutto di una lotta volta alla costituzione di nuove istituzioni, fondate sull’agire comune, perno culturale, sociale, etico e giuridico del processo in corso all’Asilo.

È un momento che riteniamo importante per la nostra democrazia in tempi in cui si distruggono i diritti dei lavoratori, si commissariano le istituzioni locali, si sgomberano e reprimono gli spazi autogestiti, si svende il patrimonio pubblico, si stravolgono i principi dello stato di diritto; con questo atto amministrativo, invece, ci muoviamo in radicale contro tendenza, consegnando nuovi spazi di democrazia e decisione nelle mani delle persone che si prendono cura direttamente del proprio territorio.

La delibera garantisce non solo poteri di accesso, ma soprattutto di autogoverno ed autorganizzazione secondo il sistema di norme stabilite in una “dichiarazione” scritta direttamente da chi, in questi tre anni, ha dato vita alle attività quotidiane dell’asilo, coinvolgendo lo sforzo e l’ibridazione intellettuale di giuristi, filosofi, studiosi e altre esperienze collettive e libertarie che ci hanno sostenuto.

Si tratta, a nostro avviso, di una nuova forma di riarticolazione della sovranità popolare, che rende al pubblico una sua propria funzione essenziale, come soggetto meramente funzionale e non sovradeterminante i bisogni e i desideri di una comunità, come dispone l’art. 1 della Costituzione. Un documento questo in cui, tra le altre cose, si riconosce come “interesse generale” della collettività il diritto diffuso alla cultura, garantendo l’inclusione, la trasparenza e la gestione diretta ad opera di “lavoratori ed utenti” di uno spazio deputato alla produzione culturale partecipata ed orizzontale, dando così nuova sostanza alla previsione costituzionale dell’art. 43.

Sottolineiamo che per noi si tratta di un passaggio importante, ma non esaustivo, della complessità della sperimentazione che quotidianamente le pratiche di autorganizzazione dal basso sviluppano nella nostra città, rendendo Napoli un laboratorio unico nel paese.

Rivendichiamo, infine, l’atto conflittuale generativo delle pratiche e delle relazioni che si sono costruite e che si costruiranno nel tempo a venire, e di un processo politico e produttivo che non si esaurisce con un atto amministrativo, ma che di certo si rafforza e che finalmente può volgere l’attenzione ad una più equa e giusta redistribuzione delle risorse pubbliche.

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Principi ispiratori della Dichiarazione d’uso civico e collettivo urbano

La comunità eterogenea, mutevole, solidale e aperta di lavoratrici e lavoratori dello spettacolo, dell’arte e della cultura su cui si fonda il processo di sperimentazione politica, artistica e culturale in atto all’Asilo

si riconosce

* nel ripudio di ogni forma di fascismo, razzismo, omofobia e sessismo attraverso politiche attive di inclusione e di affermazione delle singolarità;

* nella liberazione dell’espressione artistica e della cultura dalle logiche del profitto e del mercato, in quanto manifestazioni della creatività, della libertà e della personalità umana, nonché contributo fondamentale alla crescita qualitativa della società;

* nell’interdisciplinarietà e nella condivisione delle arti, dei saperi e delle conoscenze, nell’ottica di liberare il lavoro esaltando una visione delle relazioni umane cooperativa e non competitiva secondo il principio da ciascuno secondo le proprie possibilità e capacità, a ciascuno secondo i propri bisogni e desideri;

* nell’indipendenza dell’organizzazione culturale e artistica da ingerenze esterne alla pratica dell’autogoverno; *nell’interdipendenza, intesa come dipendenza della comunità dalla capacità collaborativa degli individui che in essa si riconoscono;

* nella ricerca del consenso nell’ambito della decisione, al fine di costruire un processo decisionale condiviso attraverso un metodo inclusivo e non autoritario

Leggi la Dichiarazione d’uso civico e collettivo urbano
http://www.exasilofilangieri.it/regolamento-duso-civico

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Fonte: l’asilo

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La piazza come centro sociale e culturale del vicinato

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Il piccolo cinema di vicinato

Hanno preso i tavoli e le sedie della nuova sede del collettivo di giovani che due anni fa occupò il Cinema America e hanno riempito lo spazio del mercato rionale. È l“ottobrata trasteverina”: come ricomporre le relazioni sociali

Piazza San Cosimato, ora di cena di una fredda giornata autunnale. Al contrario del solito, la piazza trasteverina non si è svuotata: alle grida dei bambini si è sostituito il vociare diffuso di trecento persone che, accomodate ai tavoli che hanno riempito lo spazio del mercato rionale, chiacchierano e gridano aspettando la prima ronda di amatriciana. Persone che si incontrano, famiglie che ritornano al rione della loro vita, dal quale si sono allontanate ma che resta sempre nel cuore. È la prima “ottobrata trasteverina”: grazie all’utilizzo intelligente di facebook, un gruppo di trasteverini ha deciso di riportare in piazza “le tavolate de ‘na vorta”, con un’iniziativa totalmente autofinanziata. La prima ronda di pasta arriva, cucinata da un ristorante sulla piazza. Ne seguiranno una seconda e una terza, mentre la quarta e la quinta si sovrapporranno alla prima di pollo arrosto che proviene da un’altra trattoria. Abbondanza alla romana.

Dal piccolo palco montato in piazza si susseguono fra gli applausi stornelli, poesie e canzoni composte per l’occasione, così come lo splendido omaggio al trasteverino Stefano Rosso. Tra le famiglie, gli anziani, i bambini e i gruppi di amici scaldati dal vino, spicca una tavolata ben più lunga delle altre che risalta per l’età al di sotto della media. Sono i ragazzi del Cinema America. Nonostante in larga parte non siano di Trastevere, hanno avuto il privilegio non solo di partecipare, ma anche di collaborare all’organizzazione di un evento i cui biglietti sono volati via in un attimo e al quale in molti non sono riusciti a partecipare. A dirla tutta, molti tavoli e molte sedie sono stati prestati e trasportati proprio dall’ex forno in Va Natale del Grande, la nuova sede del collettivo di giovani che due anni fa occupò il Cinema America. Le stesse sedie che, al principio e alla fine dell’estate, sono servite sempre su quella piazza ad accogliere l’arena gratuita, un Cinema America outdoor che ha acceso San Cosimato con film ed ospiti di prima scelta.

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Il recupero della piazza come centro sociale e culturale del vicinato è un tema caro al collettivo degli occupanti, che ben un anno prima dell’ingresso nell’America avevano già iniziato a fare iniziative in Piazza San Cosimato, Piazza San Calisto e altri luoghi che conservano l’anima di un rione in cui un tempo si viveva più per strada che a casa. Nei due anni di occupazione hanno intrecciato un rapporto strettissimo con tutto il vicinato, fatto di condivisione, collaborazione e presenza giornaliera. Adesso questo rapporto ha raggiunto il suo apice: anche i residenti di Trastevere si stanno attivando per non farsi strappare queste strade e queste piazze dal consumo mordi-e-fuggi, per non lasciar scivolare via quella parte di Trastevere, piccola ma preziosa, che ancora non ha ceduto all’invasione dei locali notturni e del turismo.

Gli organizzatori dell’evento ci tengono a dirlo: questa è solo la prima iniziativa in piazza.  Con il freddo probabilmente sarà più arduo replicare, ma da qualche giorno ogni trasteverino sa che può contare ogni sera su un piccolo e accogliente cineclub per l’inverno.

In Via Natale del Grande 7, alla porta affianco al Cinema America, c’è ora il “Piccolo Cinema America”: uno spazio che qualche giorno dopo lo sgombero è stato lasciato in comodato d’uso per sei mesi dai proprietari ai ragazzi dell’America. Nel giro di qualche settimana è stato tirato a lucido, e fra i macchinari del panificio hanno preso vita una sala cinematografica da cinquanta posti, una sala studio e un cortiletto. L’associazione culturale è la forma che è stata scelta dal collettivo per poter rimanere lì, accanto all’America, in maniera del tutto legale. Con i 2 euro della tessera si ha accesso a tutte le proiezioni ad offerta libera, grandi classici del cinema proposti ogni giorno in doppia proiezione, alle 19 e alle 21,30.

Il Piccolo America, come si legge dal comunicato di inaugurazione, “diverrà uno spazio di diffusione culturale e di condivisione sociale per il rione di Trastevere, i suoi residenti e tutti i ragazzi delle scuole e delle università. Un luogo aperto per le riunioni delle associazioni di quartiere e un centro di aggregazione giovanile. Diventerà anche un osservatorio permanente sulla speculazione edilizia nel mondo delle sale cinematografiche ed in generale degli edifici a destinazione d’uso socio-culturale”. Ai ragazzi dell’America non poteva andare meglio: poter continuare l’attività cinematografica spostandosi solo di qualche metro, mettendo allo stesso tempo pressione sulla proprietà del cinema e sul Comune per risolvere la situazione del “Grande America”.

A proposito, che fine farà il Cinema America? Una domanda che da inizio settembre, quando uno spiegamento spropositato di forze e reparti speciali ha effettuato lo sgombero dell’occupazione, circola incessantemente a Trastevere. “Resterà di nuovo abbandonato per anni” dicono i più scettici, “ci faranno un multisala” affermano i più disillusi, “diventerà una palazzina di mini-appartamenti” sentenziano quelli che non hanno mai creduto che la speculazione edilizia si potesse fermare. Attualmente, nessuno può rispondere con certezza a questa domanda.

Il collettivo dell’America ha fatto la sua proposta. In sinergia con i trasteverini, con gli attori e gli autori del cinema che hanno dato il loro appoggio incondizionato, l’obiettivo dichiarato è quello dell’acquisizione partecipata. In concreto, diverse case produttrici di cinema d’autore si sono dette interessate a salvare un’esperienza così preziosa: una sala da settecento posti che si riempie di giovani, strappati alla pirateria e allo streaming, che hanno riscoperto il piacere di andare al cinema. E così, da settembre ad oggi si è messa su una cordata che unisce il mondo del cinema al territorio di Trastevere: quote di case di produzione, attori ed autori affiancheranno un progetto di partecipazione popolare che prevede quote individuali dei residenti, dei giovani e di tutti gli amici del Cinema America.

Proprio in queste settimane in Comune si svolgeranno degli incontri per valutare la fattibilità di questa proposta, anche in relazione all’apposizione dei vincoli di destinazione d’uso e di tutela dei mosaici che saranno definitivi a partire da fine novembre. La partita è ancora aperta ma a Trastevere tutti sono fiduciosi: dallo sgombero ad oggi già si già è compiuto un piccolo miracolo, con l’inaugurazione del Piccolo Cinema America, perciò nulla esclude che si riesca anche a salvare la storica sala e assieme a lei l’esperienza che negli ultimi due anni ha concretamente impedito che venisse abbattuta.

Per chi volesse partecipare alle proiezioni, oltre alla programmazione completa disponibile sul sito e sui social network, l’evento consigliato è quello di venerdì 31 ottobre: Paolo Virzì e Francesco Bruni presentano “Il capitale umano”, vincitore di 7 David di Donatello e candidato italiano agli Oscar. Intanto, il collettivo dell’America ha appena siglato un accordo di collaborazione con la Cineteca di Bologna e con i vicini Cinema Alcazar e Nuovo Sacher, per cui si proietteranno film classici restaurati dalla Cineteca scontati a 3 euro invece che 6 per tutti soci del Piccolo America e per le classi delle scuole superiori: da qui a gennaio “I 400 colpi”, “Gioventù bruciata”, “Tempi moderni” e “Le mani sulla città”. Perché Cinema America non è più solo il nome di una sala, ma è ormai sinonimo di una determinata maniera di vivere il cinema.

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Fonte: comune info

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Bologna: storica Trattoria da Vito (Guccini, Dalla & Co.)

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La Trattoria di Guccini, Dalla & Co.

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di Sara Musiani

“Da Vito” a Bologna non è una semplice trattoria, ma un luogo storico, dove si sono incrociate le vite, i pensieri e la creatività di artisti, musicisti e letterati. Un posto magico, dove il profumo della cucina si mescola a quello del fervore culturale.

Ci sono alcune osterie nel cuore dei capoluoghi italiani, dove la cucina – la buona cucina – non è l’unica cosa che si va ricercando.

L’ironia, la cultura, lo spettacolo possono a volte convivere in un luogo dove normalmente il protagonista è il cibo, soprattutto in una terra come la nostra. Trattorie dove, seduti al tavolo, capita di girarsi e trovare accanto a sè i più grandi cantautori contemporanei che si esibiscono con un vecchio pianoforte a mezza coda, come nel salotto di casa propria…

La storica trattoria “Da Vito”, in un altrettanto storico quartiere di Bologna, è uno di questi. La vetrinetta d’ingresso non è facile da localizzare, in fondo ad una strada un po’ buia del quartiere che negli anni ’30 era una delle prime propaggini della città che si iniziava ad estendere verso la campagna.

Nel ’48, nel pieno della ricostruzione post bellica, il padre di Paolo – l’attuale gestore – apriva questo locale che all’inizio consisteva di un’unica stanza, per poi annettere anche la piccola veranda coperta, un tempo la “bocciofila” del quartiere, luogo di svago degli artigiani che lavoravano in quella zona della città, ancora fortemente ad impronta manifatturiera .

Nel raccontare la sua infanzia fra quei tavoli, Paolo ricorda – non senza una certa dose di rimpianto – quei giorni con pochi coperti , quell’atmosfera rarefatta in cui “gli anziani, magari dopo una cena ed una bevuta, si mettevano a ballare per strada…c’era voglia di ricominciare e ricostruire in quei tempi…oggi i vicini chiamerebbero immediatamente la polizia per disturbo della quiete pubblica!”

Più osteria a gestione famigliare che ristorante, Paolo ne prende le redini nei primi anni ’70,ed in quegli anni di fermento politico la trattoria “Da Vito” inizia a diventare quel centro culturale ed artistico che lo ha reso famoso negli anni successivi : “Tutto è iniziato con la politica: furono i giornalisti della redazione de “Il Foglio”, a lanciarci, venendo qui a pranzo, con intellettuali della caratura di Panebianco, Insolera; le redazioni lavorano la notte, e qui non c’erano orari ( come in molte osterie dell’epoca), la cucina era sempre aperta”. Dopo lo sfaldarsi della DC, Vito continuò ad essere mensa aziendale delle redazione del neonato Il Carlino di Bologna, de L’Avvenire e, con la politica portata dai giornalisti, gli intellettuali emergenti arrivarono in rapida successione a fare tappa in Via Paolo Fabbri: Dario Fo, Carmelo Bene, Andrea Pazienza ed i cantautori italiani fra i più amati degli ultimi decenni .

Paolo inizia a raccontare dei suoi amici cantanti descrivendoli sotto un aspetto che solo poche persone possono aver avuto la fortuna di conoscere: ricorda ad esempio che “a Francesco Guccini trovammo casa noi…qui in questa via che poi lui ha celebrato nella sua canzone”, lo definisce un “un filosofo prestato all’arte, un uomo pesante e profondo, mai banale, grande dispensatore di consigli, capace di “curarti” solo con il suo bagaglio culturale”. Quello stesso Guccini che il 14 dicembre dell’anno scorso ha deciso di festeggiare e cantare per l’ultima volta proprio nel suo locale, ed alla dodicesima canzone, come promesso, non ha più suonato una nota “era arrivato a quel punto della carriera in cui hai già detto e scritto tutto quello che potevi..”. Per il compianto Lucio Dalla, icona della musica emiliana, Paolo ha parole di ammirazione : “Lucio era un genio…ma un genio sensibile, capace di comprendere l’altro”; Dalla era un habitué della sua trattoria : “da persona fortemente scaramantica quale era, amava sedersi sempre allo stesso tavolaccio, in cucina, il posto dove riceveva amici e dove firmò il primo contratto di collaborazione con Gianni Morandi”.

Guardando un pianoforte a muro appoggiato in un angolo e mimetizzato dalle giacche dell’appendiabito, Paolo racconta di come sia stato usato una volta da una giovanissima Gianna Nannini, che una sera, in mezzo al piccolo locale, aveva organizzato un concerto improvvisato.

E ancora nomi illustri come Gaber, De Andrè, Benigni…tutti personaggi che in comune hanno avuto, a suo parere, la “capacità di interiorizzare l’arte, non dei semplici attori o cantanti; capaci di empatia e quindi di condivisione di quello che era in loro”.

Paolo ammette di aver beneficiato di queste conoscenze, imbevendosi di cultura al punto da comprare il suo primo quadro a soli 13 anni, ormai innamorato dell’arte. Tutto questo fervore artistico lo ha portato a prendere la decisione, un giorno, di fare di Vito una Fondazione con tutte le opere che ha raccolto -ed esposto- nella sua vita; affinché tutto rimanesse come era, perché questo locale che conserva ancora intatti gli arredi di quasi cinquant’anni fa, mantenesse intatto, come in un’esposizione permanente, quel senso autentico di amore per l’arte e semplicità arcaica con cui è nato.

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Fonte: Tafter

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