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Egitto, la caduta di Internet

Il governo egiziano sarebbe riuscito nel tentativo di spegnere Internet. Hillary Clinton chiede il ripristino della libera circolazione delle informazioni. E Anonymous annuncia un atto di sabotaggio online.

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di Cristina Sciannamblo

Roma – Secondo la stampa internazionale, l’Egitto è apparentemente riuscito a staccare completamente la spina alla Rete per tentare di reprimere il dissenso.

L’interruzione totale del servizio, durata mezz’ora, è un evento che, secondo gli esperti potrebbe accadere in un paese come l’Egitto ma non, ad esempio, negli Stati Uniti, grazie all’alto numero di fornitori di connettività e per la varie modalità di connessione disponibili oltroceano. “Non può accadere qui” spiega Jim Cowie, capo dell’ufficio tecnologie e cofondatore di Renesys, azienda che si occupa di sicurezza dei network con sede nel New Hampshire. Il blackout egiziano dimostra che un paese con un forte controllo sui provider può ordinare di staccare la spina improvvisamente, un evento che lo stesso Cowie definisce “quasi senza precedenti nella storia di Internet”.

Il grafico che disegna il traffico online del 27 gennaio da e per l’Egitto è senza dubbio impressionante: si osserva un calo repentino delle connessioni intorno alla mezzanotte locale. Il governo di Mubarak negherebbe l’interruzione delle comunicazioni che, notano alcuni, si sarebbe verificata subito prima della protesta allargata organizzata da più di trenta moschee e chiese. (leggi tutto)

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Fonte: PuntoInformatico

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Wikileaks e il panico del sistema

La vera notizia è la reazione alle “rivelazioni”. Non è che poi Wikileaks abbia fatto ’ste gran rivelazioni. Le cose che sono uscite più o meno si sapevano già prima: certo, a vederle tutte insieme il panorama è molto più desolante che a leggerle una per una: politici bestie, bombardamenti casuali, governi semimafiosi, guerre fatte per soldi e compìti diplomatici che ruttano fragorosamente ai pranzi ufficiali. E allora?

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di Riccardo Orioles

Perché s’incazzano tanto? Perché il senso di panico, a sentirsi sbattere le cose in faccia senza poterci far niente, ha fatto letteralmente impazzire tutti quanti. “L’ha detto la televisione”, diceva una volta la gente, e quella la puoi controllare. Ma ora: “L’ha detto internet!”. E qua, con tutto il potere, non ci puoi far niente. La vera notizia allora è questa: il panico da ancient régime che ha travolto selvaggiamente tutti, dal non-occidentale Putin all’occidentalissima Clinton. “Arrestatelo!”, “Minaccia il mondo!”, “Pena di morte!”, “Fatelo fuori alla svelta!”. Non sono i talebani a gridarlo o i mandarini cinesi, ma proprio i nostri civilissimi e acculturati parlamentari e ministri. La Svizzera, a un certo punto, ha addirittura sospeso i conti del povero Asange: non l’aveva fatto con Hitler, non lo fa coi mafiosi – lo fa con Wikileaks, cioè con internet, che evidentemente gli fa molta più paura. Con il che, è detto tutto: se i banchieri svizzeri, cioè il cuore del cuore del – chiamiamolo così – Sistema hanno rinnegato se stessi, figuriamoci gli altri. Il diritto di cronaca ufficialmente non esiste più e il giornalismo è fuorilegge. Non solo in Iran o in Cina ma proprio qui da noi, in America e Europa. E la libertà? E il liberismo? E chi se ne fotte. Zoom sulla Sicilia, a Catania e Palermo, dove era già così da trent’anni (le inchieste su Ciancio indicano solo la cattiva coscienza in tempi complicati del Palazzo, non certo una qualunque voglia di cambiare): c’è democrazia in Sicilia? si può fare cronaca? si può parlare liberamente? Va bene, non si può, rispondevamo fino a poco tempo fa: ma a Milano, ma a Roma, ma a Washington… Ecco: la novità è che si vanno catanesizzando Roma Milano e Washington, vanno abolendo l’informazione. (leggi tutto)

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Fonte: Ucuntu

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Classifica 2010 della Libertà di Stampa: sommario generale

L’Europa scende dal suo piedistallo, nessuna tregua nelle dittature.

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“La nostra ultima classifica mondiale della libertà di stampa contiene sorprese piacevoli, mette in luce realtà pesanti e conferma alcune tendenze,” ha dichiarato oggi Jean-François Julliard, segretario generale di Reporters sans frontières, in occasione della pubblicazione della nona edizione della Classifica. “Oggi più che mai, si vede che lo sviluppo economico, la riforma istituzionale e il rispetto dei diritti fondamentali non necessariamente vanno di pari passo. La difesa della libertà dei media continua a essere una battaglia, una battaglia di vigilanza nelle democrazie della vecchia Europa e una battaglia contro l’oppressione e l’ingiustizia nei regimi totalitari ancora sparsi per il globo.

“Dobbiamo salutare i motori della libertà di stampa, con Finlandia, Islanda, Paesi Bassi, Norvegia, Svezia e Svizzera in testa. Dobbiamo anche rendere omaggio agli attivisti dei diritti umani, giornalisti e blogger di tutto il mondo che coraggiosamente difendono il diritto di parola. Il loro destino è la nostra preoccupazione costante. Ribadiamo il nostro appello per la liberazione di Liu Xiaobo, il simbolo della lotta per la libertà di parola in Cina, che la censura per il momento, riesce ancora a contenere. Noi mettiamo in guardia le autorità cinesi che prendono una strada dalla quale non c’è via d’uscita.

“E ‘inquietante vedere come molti paesi membri dell’Unione Europea continuano a scendere nella Classifica. Se non si marcia insieme, l’Unione Europea rischia di perdere la sua posizione di leader mondiale nel rispetto dei diritti umani. E se ciò dovesse accadere, come potrebbe essere convincente quando chiede ai regimi autoritari miglioramenti nel rispetto dei diritti umani? C’è bisogno urgente per i paesi europei di recuperare un comportamento esemplare.

“Siamo anche preoccupati per i provvedimenti più gravi adottati dai governi all’altra estremità della Classifica dove Ruanda, Yemen e Siria hanno raggiunto Birmania e Corea del Nord nel gruppo dei paesi più repressivi del mondo nei confronti dei giornalisti. Questo non fa ben sperare per il 2011. Purtroppo, la tendenza nei paesi più autoritari, non è quella del miglioramento “.  (leggi tutto)

Classifica: La posizione dei 178 paesi

Fonte: Reporters Sans Frontières