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Zic giornale autogestito, libero e indipendente, non prende ordini!

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Zic non prende ordini

Chi pensa di poter prevaricare l’autonomia della nostra redazione, sbaglia di grosso. Questo è un quotidiano libero, che non segue altre bussole se non quella dell’autorganizzazione. Di fronte ad accuse pretestuose e ad attacchi arroganti, andiamo avanti per la nostra strada e rivendichiamo l’indipendenza del nostro giornale: per fortuna non siamo nella Russia di Putin.

10 maggio 2022

Zic è un giornale autogestito, libero e indipendente: Zic non ha padroni, Zic non prende ordini. Siamo certe/i che su questo ci sia un’ampia consapevolezza tra le/i nostre/i lettrici/ori e tra le tante realtà sociali con cui incrociamo il cammino. Ma evidentemente è bene ribadirlo, viste le attenzioni rivolte di recente alla nostra redazione da un’organizzazione politica attiva in città. Preferiamo non citarne il nome, perchè non ha mai trovato posto nel nostro dna la volontà di alimentare polemiche e ci scusiamo con tutte le altre realtà che non c’entrano niente con questa vicenda. Ma abbiamo sempre cercato di mantenere un canale di comunicazione con chi segue questo giornale e sentiamo l’esigenza di farlo anche questa volta. Quindi, i fatti: abbiamo ricevuto alcune comunicazioni (per telefono e via email) molto sgradevoli e dal retrogusto intimidatorio. L’accusa? Quella di non aver dato spazio ad una notizia prima ancora del momento individuato dall’organizzazione in questione per comunicare e illustrare la notizia stessa.

E’ una rimostranza surreale che si commenterebbe da sola. Eppure, è sulla base di ciò che questa realtà politica ci ha fatto sapere, con incomprensibile arroganza, di pretendere la “garanzia” della presenza della nostra redazione ad una determinata iniziativa: concetto messo anche nero su bianco in una comunicazione spedita non da una/un singola/o attivista troppo zelante, ma dall’indirizzo dell’organizzazione politica.

A fronte di ciò, ricordiamo intanto che il lavoro quotidiano su cui poggia Zic è totalmente volontario: ognuna/o di noi fa altri lavori per campare e questo ci impedisce di garantire qualsiasi presenza a chiunque. Tra noi non ci sono ereditiere/i, rivoluzionarie/i di professione, dirigenti di partito o di sindacato: siamo lavoratrici/ori e precarie/i che portano avanti questo progetto tramite un impegno militante che deve farsi spazio nella vita e tra le difficoltà di tutti i giorni.

Detto questo, ripetiamolo: Zic non prende ordini. Non è neanche il caso di scomodare la libertà di stampa, ma – avendo come unico riferimento l’autorganizzazione, noi – ci colpisce che qualcuna/o possa pensare di imporre ad un giornale cosa deve fare e come: piaccia o meno, non siamo nella Russia di Putin. In più, non pensiamo di dover prendere lezioni da un’area politica la quale, a sua volta, esprime organi di informazione che non possono certo essere presi ad esempio per la completezza di informazione e la trasversalità dei temi e delle realtà a cui danno spazio.

Ci pare proprio che sotto questo profilo la storia di Zic parli da sola. Vale anche per l’area politica in questione, che su queste pagine ha sempre trovato ampia copertura, tra notizie segnalate e pubblicizzazione delle iniziative promosse. Anche se, fino ad oggi, l’esistenza di Zic per questa area politica non era sembrata così importante: non facciamo questo giornale con l’obiettivo di ricevere dei ringraziamenti, ma non possiamo non notare che negli anni da certe latitudini non sia mai arrivato un riscontro e tantomeno un supporto ad un progetto che ogni giorno cerca di dare voce a chi ne ha meno. Zic ha improvvisamente assunto rilevanza, per la realtà politica in questione, solo di fronte a presunte mancanze e per muovere accuse. Ne prendiamo atto.

Ma ci sono anche un altro paio di cose che dovrebbero essere scontate e invece vale la pena ribadire. Zic non si arruola: questo giornale non contribuirà mai a portare la guerra in casa. Al contrario, non avendo tornaconti politici da ricercare, continuerà a fare quanto nelle sue possibilità per disinnescarla, la guerra, in ogni sua declinazione. E Zic, allo stesso tempo, non perderà mai la sua anima antirazzista: la nostra solidarietà va sempre e comunque a chi subisce prevaricazione e abusi, ma continueremo a stare alla larga dall’opportunità di sottolineare la nazionalità di chi è accusata/o di atti violenti e reati, con il rischio di stigmatizzare intere comunità. E’ una pratica cara alla stampa mainstream conservatrice e alla destra. Zic, se proprio ancora non fosse chiaro, è altro.

Non abbiamo mai nascosto i nostri limiti e non crediamo affatto di essere immuni da difetti e possibili errori. Ma abbiamo la coscienza a posto e andiamo avanti per la nostra strada.

Ah, visto che l’abbiamo presa lunga, forse è meglio ripeterlo: Zic è un giornale autogestito, libero e indipendente che non ha padroni e non prende ordini.

La redazione

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Fonte: zic.it

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“Festival ad Alta Felicità”. La tre giorni dei NO TAV

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Photo by Luca Perino

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Territorio ad Alta Felicità

Per tre giorni hanno chiuso una porzione della valle alle auto, hanno accolto migliaia di persone provenienti da tutta Italia invitandole a portare piatti, bicchiere e posate e a fare la differenziata. Per tre giorni hanno promosso dibattiti, presentazioni di libri, reading ma anche laboratori di falegnameria, passeggiate alla scoperta dei sentieri naturalistici della valle e soprattutto musica. Tanta musica. Vinicio Capossela, 99 Posse, Eugenio Finardi, Assalti frontali, Subsonica… sono molti gli artisti e i gruppi che hanno accettato di esibirsi a titolo gratuito nella tre giorni No Tav “Festival ad Alta Felicità” (22-24 luglio). Il Festival, naturalmente, si è aperto ricordando Luca e Giuliano e a tutti gli altri No Tav sottoposti a misure cautelari.

Ha detto, tra l’altro, Elio Germano a Venaus: “Tutto questo avviene anche sulla scia di quello che sta succedendo a Taranto, per l’ex Ilva, dove da alcuni anni molti artisti si ritrovano per il Primo Maggio. Non per un fine direttamente commerciale, ma per portare la propria capacità, il proprio talento a una collettività. E ci è venuto in mente proprio a Taranto di provare a esportare questa esperienza anche in altri contesti”.

Già, la capacità di resistere della Val di Susa, la voglia di ripensare il concetto di territorio e di sperimentare nuove forme di autogestione, dimostrano che è già possibile qui e ora vivere in modo diverso.

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Fonte: comune-info.net

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Livorno – Disoccupati e precari creano “Polpetta” una mensa autogestita

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polpetta

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Ristoro popolare

Un’associazione di Livorno, nata da un movimento di disoccupati e precari, gestisce da novembre una mensa autogestita, “Polpetta”. Il menù -che è vegan- propone un pasto completo a 5 euro, e gratis per chi non ha lavoro. Lo spazio ospita inoltre un’università popolare e un cineforum, in collaborazione con altre realtà del territorio

di Flavia Giampetruzzi

Il menù di oggi prevede come primo una pasta “zen” alle rape, per secondo una torta salata ai broccoli, spinaci saltati, hummus e insalata di contorno, e per finire una crema di latte di soia con cereali e lamponi. Chi siede a un tavolino del Ristoro popolare “Polpetta” di via dei Mulini 27 a Livorno, sa che potrà pranzare al prezzo di cinque euro, e che se è disoccupato ha diritto a un pasto gratis.

Entrando nei locali del Ristoro, ci troviamo in uno spazio semplice e accogliente: una grande stanza con un bancone, da cui vengono serviti i piatti, e un’altra con i tavoli; un’area dedicata ai bambini e una alla lettura e ai giochi in scatola. Alle pareti, piccoli quadri e dipinti e -soprattutto- un grande murales: rappresenta un polpo arancione decorato con lunghe ciglia, che per questo è diventata una “polpa” -eletta a simbolo del Ristoro.

“Questo spazio storicamente è sempre stato dedicato alla ristorazione popolare -racconta Arianna Sirigatti, volontaria di “Mensa Popolare autogestita”, l’associazione culturale che gestisce il ristoro da novembre 2014-: fino agli anni ‘90 la gestione è stata pubblica, poi è passata alla Cooperativa 8 Marzo che ha chiuso il locale nel 2011. Da allora, questo spazio, di proprietà della SPIL (Società porto industriale di Livorno, al 61% pubblica) è rimasto abbandonato come il resto della palazzina adiacente, sino alla fine del 2013.
“Eravamo un gruppo di circa 40 persone costituite in un comitato di precari e disoccupati, e dopo diverse assemblee e momenti di confronto anche con altri comitati di base del territorio, abbiamo deciso di occupare questo spazio, con l’idea di restituirlo alla città” racconta Arianna.

Nel giro di tre mesi, gli “occupanti” ottengono un contratto di comodato d’uso gratuito: SPIL dichiarò di non avere progettualità immediata su questi locali. “Nel frattempo -continua Arianna- ci siamo costituiti come associazione culturale con il nome di ‘Mensa popolare autogestita’, formata da un nocciolo duro di circa 15 volontari dai 25 ai 43 anni. Ci siamo formati tutti per ottenere l’HACCP, la certificazione che ci consentisse di star qui in sicurezza, e a un anno dall’occupazione è nata ‘Polpetta’: il nome richiama il piatto principe del cibo riciclato, e dopo quattro mesi forniamo circa 20 pasti al giorno a prezzi popolari, o gratuiti per chi il lavoro non ce l’ha. Ci piaceva l’idea, forse un po’ romantica, di creare un luogo dove persone in difficoltà per motivi simili -la perdita della casa e del lavoro, una drastica riduzione del reddito- potessero in qualche modo sentirsi rappresentati”.

Oltre a un’attenzione particolare alla persona e al lavoratore, i volontari della mensa guardano anche al rispetto degli animali e dell’ambiente. La cucina si caratterizza, infatti, per essere vegana e “freegana”: “Serviamo esclusivamente alimenti di origine vegetale, privilegiando percorsi di auto-produzione e filiera corta -continua Arianna-, e sposando il ‘freeganesimo’ siamo attenti a pratiche di recupero e riciclo, rifiutando di contribuire alla macchina di mercato capitalistica attraverso il consumo nelle catene di grande distribuzione, che non assicurano la qualità del cibo e spesso neanche una trasparenza nella filiera. Inoltre, un dato che ci colpisce sono gli sprechi alimentari, immensi e del tutto ingiustificati, che spesso nascono non dal naturale fine di un ciclo di vita di un alimento ma da decisioni di mercato, per poi tenere i prezzi stabili su un certo livello. Così, abbiamo diffuso la voce tra alcuni esercizi del tessuto livornese e, ad oggi, 6 botteghe ci donano il loro invenduto, che altrimenti diventerebbe rifiuto”.

In questo modo, l’associazione abbatte notevolmente i costi in cucina, recuperando cibo non più vendibile ma sano che viene cucinato nell’arco della stessa giornata. Oltre alla rete creata con le botteghe, le ciglia della bella Polpetta, e il suo progetto sociale, hanno colpito anche una catena della grande distribuzione: Unicoop Tirreno attraverso il direttore delle politiche sociali dell’azienda ha proposto al ristoro una convenzione con la Coop del quartiere di Porta a Mare: “La discussione della convenzione con Unicoop Tirreno non è stata facile all’interno del collettivo, dove tendiamo a prendere ogni decisione cercando l’unanimità. Anche se inizialmente non c’era una posizione unitaria, alla fine abbiamo deciso insieme di aderire. Ci sembrava ipocrita rifiutarla nel momento in cui la Coop è una realtà sostenuta dai livornesi per primi, perché la maggioranza delle famiglie fa la spesa lì e -a differenza di altre catene di distribuzione- Unicoop Tirreno è nata dai soci”. Grazie alla convenzione con il negozio Coop, l’associazione recupera, in media, 30 chili di cibo invenduto tutti i giorni, evitando che venga buttato. “Abbiamo attivato la pratica dello ‘svuota frigo’ -spiega Arianna-: dalla Coop recuperiamo tutto, quindi anche ingredienti di origine animale, che poi non usiamo nella preparazione dei pasti ma distribuiamo alle famiglie del comitato disoccupati e a chi ne fa richiesta”.

Mentre Arianna racconta, Beatrice Bellagotti e Arianna Honovich, altre due volontarie dell’associazione, hanno terminato il lavoro in cucina. Sono le 12.30 e il ristoro apre al pubblico. Lo spazio si anima: arrivano un gruppo di amici, una mamma con una bambina, una coppia, qualcuno siede da solo. Arrivano altri volontari a dar manforte in cucina, qualcuno chiede chi è oggi il responsabile per il recupero del cibo invenduto, l’aria diventa saporita e i primi piatti iniziano ad esser serviti. “Vengo qua 2-3 volte al mese -racconta Maria, con sua figlia di due anni in braccio-. Ho conosciuto la mensa attraverso alcune ragazze che qui fanno volontariato. Mi piace: è economico, bello, semplice. Non cerco niente di troppo strutturato. Poi ho una bambina ed è comodo essendoci l’area a loro dedicata”. “Condivido in pieno la scelta etica di questo posto  -spiega invece Valerio-, nella maniera in cui riesce ad offrire in maniera gratuita un pasto a persone che non hanno lavoro, e nell’attenzione al recupero dei prodotti. Anche se io non lo sono, apprezzo comunque la scelta vegana, in un’ottica di rispetto dell’ambiente. Poi, è molto rilassante, hai la possibilità di mangiare e poi di fermarti un attimo e leggere qualcosa”. “Vengo spesso da ‘Polpetta’ -dice Grazia-. Anche la cena del 31 dicembre l’ho fatta qui: è un ambiente congeniale e poi trovo interessanti gli incontri proposti, le conferenze che vengono fatte di pomeriggio e di sera toccano argomenti di mio interesse. E in più condivido la scelta della cucina vegana”.
Arianna conferma le parole degli avventori: questo spazio non si occupa esclusivamente di ristorazione, e l’associazione che l’ha in gestione “ospita diverse realtà che vengono a fare corsi qua dentro, come l’università popolare Bicchierini. Facciamo anche serate di CineAutore e un aperitivo alla settimana, con il quale ci autofinanziamo. Cerchiamo di mantenerlo aperto il più possibile lo spazio, con l’idea che possa essere sempre un posto a disposizione del tessuto cittadino”.  Mentre qualcuno finisce di mangiare, arrivano nuovi “clienti” e c’è chi si rilassa leggendo in poltrona. Noi decidiamo di pranzare insieme ad Arianna, che così può terminare il suo racconto: “Tra gli obiettivi futuri c’è quello di aumentare l’auto-produzione. Polpetta, infatti, è in qualche modo gemellata con gli Orti Urbani di via Goito (www.facebook.com/ortiurbanilivorno), perché una parte di questi è stata occupata lo stesso giorno dei locali che ospitano il Ristoro popolare. Abbiamo piantato di recente degli alberi, mandorli e frutta secca, e quando inizieranno a produrre frutti ci piacerebbe usarli, rispettando ovviamente le normative sulla trasformazione. Abbiamo promosso momenti di degustazione dei prodotti degli orti, ed hanno riscosso successo perché è un piacere assaggiare nel piatto quello di cui ti sei preso cura, o che ha coltivato un amico”. Tra gli obiettivi dell’associazione c’è anche quello di far crescere “Polpetta”, il numero dei pasti serviti ogni giorno: “La risposta del territorio finora è stata molto positiva, il locale piace, il progetto funziona e aggrega persone. Riceviamo richieste per venire a fare volontariato, o per affittare il locale per i compleanni, quindi questo ci fa ben sperare. Vorremmo raggiungere i 30 pasti al giorno, e siamo sulla buona strada” racconta Arianna.

“Un’altra scommessa per il futuro è quella di far diventare un’occasione di lotta e di condivisione quello che spesso è percepito come un momento di depressione, che può coincidere con la perdita del lavoro ma anche con la precarietà o la perdita della casa. Ci fa piacere che tanti disoccupati frequentano questo spazio dignitosamente, con la percezione di venire in un posto dove la loro condizione è rispettata, e sapendo che chi promuove questo posto non è in condizioni diverse dalla loro. Noi siamo per primi disoccupati, e all’inizio a molti sembrava paradossale che nella nostra situazione di precarietà potessimo sobbarcarci una simile impresa. Eppure l’attività è decollata”. E lo ha fatto in completa autonomia, senza chiedere alcun finanziamento nell’ambito delle politiche di welfare. “È una scelta radicale, faticosa ma che ci fa piacere rispettare -conferma Arianna-. È un cosa che portiamo avanti tutti insieme; quindi, anche nei ritiri di invenduto chiediamo aiuto e non ci vergogniamo a chiederlo a persone che vengono a mangiare qui. È, in sostanza, la scommessa dell’autogestione, dove non esistono gerarchie o protocolli da seguire ma dove si condivide tutto, si decide insieme, a costo talvolta di essere pedanti, e ognuno, indipendentemente dalla propria condizione, è centrale, si assume responsabilità ed è invitato a prendere conoscenza della dimensione intera del problema. Lavori molto di più che nel volontariato classico, però sviluppi un percorso che non si ritrova in altra formazione sociale”. Nessuno esclude, però, che “Polpetta” possa servire anche a creare occupazione. “Ad oggi siamo tutti volontari e nessuno guadagna niente -conclude Arianna-, e il primo obiettivo è quello di far crescere Polpetta al meglio. Non escludiamo a prescindere che da questa esperienza possa nascere un lavoro. Vediamo cosa ci riserva il futuro”.

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Contatti:

Facebook “Polpetta Ristor_Orto Autogestito Veg & Freegan

tel. 329-24.45.233

e-mail: polpettavegfreegan@gmail.com

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Altre cucine
A Bologna, cibo più autogestione più sostenibilità significa “Eat the rich”, negli spazi del centro sociale Vag61 in via Paolo Fabbri 110. “Mangiare ricco e sano senza spendere un capitale” questa è la sfida che si sono posti gli studenti e i precari che hanno dato vita a questa mensa popolare, che organizza corsi di panificazione, conserve, formaggi e pasta fresca (reteeattherich.noblogs.org).
A Milano, in viale Sarca 183, esiste CasaLOCA, con la sua cucina popolare autogestita, dov’è possibile pranzare a basso costo con cibi biologici provenienti dalla rete dei Gas e assaggiare il caffè zapatista, proveniente dalle comunità indigene del Chiapas e l’olio importato dalla Palestina (casaloca.it).
A Roma, il Forno popolare di Casetta Rossa (fornopolarecasettarossa.it) in via Magnaghi 14, organizza l’“infornata settimanale” del pane: ogni domenica è possibile portarsi l’impasto da casa e cuocere il proprio pane a costo zero (è previsto un’offerta libera per l’acquisto della legna), partecipare a corsi di panificazione.

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Fonte: Altreconomia

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