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La sua enorme presa sulla popolazione è stata appena confermata dal bagno di folla che l’ha accolta. Lei ha già moderato le sue posizioni, infondendo speranza ma stando ben attenta a non pestare i piedi alla giunta militare che l’ha tenuta prigioniera per 15 degli ultimi 21 anni. Mentre la Birmania e il mondo si sciolgono davanti alla liberazione di Aung San Suu Kyi, l’iniziale euforia di questi giorni dovrà però per forza scontrarsi a breve con la situazione reale sul campo: quella di un paese dove l’esercito non ha nessuna intenzione di cedere un potere che detiene da 48 anni, e dove una ricetta per la pacifica coesistenza dei generali e dell’eroina della democrazia non è stata ancora trovata.
Suu Kyi, l’ha confermato lei stessa, è libera senza condizioni. Almeno formalmente, ciò vuol dire che potrà girare a piacimento per la Birmania per lavorare al suo programma di riconciliazione nazionale. Ma quanto il suo attivismo sarà tollerato dal regime è tutto da dimostrare: Suu Kyi, va ricordato, era stata rimessa in libertà altre due volte, per poi tornare in detenzione con altri pretesti quando stava diventando un pericolo per il regime. Lo stesso entourage della donna teme per la sua sicurezza: “Basta un uomo armato tra la folla per attentare alla sua vita”, ha ammesso Win Tin, uno degli anziani fondatori della Lega nazionale per la democrazia di Suu Kyi.
“Siamo alle cosiddette fasi di studio”, spiega a PeaceReporter un osservatore di un’organizzazione per i diritti umani dotata di una capillare rete di informatori nel Paese. “Il regime ha concesso il momento di gloria a Suu Kyi, lei finora si è tenuta all’interno di una linea non scritta di cosa è consigliabile fare. I prossimi mesi saranno decisamente interessanti”. (leggi tutto)
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Fonte: PeaceReporter
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