Sì dal Comune di Napoli per Julian Assange cittadino onorario della città

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Il Comune di Napoli ha votato sì alla cittadinanza onoraria per Julian Assange

di Giorgia Audiello

Il 31 gennaio, il Consiglio Comunale di Napoli ha votato a larga maggioranza, con solo 4 astenuti, un ordine del giorno con il quale si chiede al Sindaco della città di Napoli, prof. Gaetano Manfredi, il conferimento della cittadinanza onoraria a Julian Assange: il fondatore di Wikileaks accusato di cospirazione, spionaggio e divulgazione di materiale segretato e per questo detenuto nella prigione di Sua Maestà Belmarsh a Londra, in attesa di essere estradato negli Stati Uniti. La richiesta di concessione della cittadinanza ad Assange risponde all’appello lanciato dal premio Nobel per la Pace Adolfo Pérez Esquivel e recepito dagli attivisti di Free Assange Napoli. È un’iniziativa particolarmente importante in quanto si tratta della prima grande città europea, capoluogo di regione, a chiedere la cittadinanza per il giornalista perseguitato dal 2010 per aver divulgato al mondo documenti segreti sui crimini di guerra commessi dal governo americano e non solo.

La sua detenzione, che lo sottopone a un regime di carcere molto duro ormai da anni, ha suscitato la solidarietà e le proteste di buona parte dei media, dei giornalisti e della società civile di tutto il mondo che considera il suo trattamento e la sua detenzione illegali e contrari ai principi democratici della libertà d’espressione. Il voto favorevole del Comune di Napoli fa ben sperare dopo tentativi simili non andati a buon fine in altri capoluoghi italiani e per l’esito della prossima manifestazione mondiale a favore di Assange e in appoggio alla protesta di Londra “Global Carnival for Assange” che si terrà il prossimo 11 febbraio nelle piazze di tutto il mondo.

Gli attivisti di Free Assange Napoli sostengono che il giornalista sia «vittima di una vera e propria persecuzione politica» e, dunque, conferirgli la cittadinanza onoraria equivale ad «Un’ulteriore dimostrazione dell’avveduta civiltà di Napoli nel difendere con Assange la libertà d’informazione, aggredita non soltanto nelle cosiddette dittature, ma anche in molte nazioni che si fregiano di essere democratiche, come gli Stati Uniti, il Regno Unito o la stessa Italia, scesa purtroppo al cinquantottesimo posto nell’annuale graduatoria riguardante la libertà di stampa».

Secondo gli attivisti, inoltre, la detenzione di Assange «ha come obiettivo quello di imporre un bavaglio a chi fa della stampa uno strumento di informazione e non di propaganda a senso unico. Come ha infatti recentemente ricordato Stella Moris, moglie ed avvocato di Assange, dobbiamo smettere di trattare il caso Assange come un caso sui generis: è un caso che riguarda la libertà di stampa, non solo per Assange, ma tutti i giornalisti».

Si attende ora che il Sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, dia seguito a questa sollecitazione che gli viene offerta dal Consiglio Comunale a gran voce e che presto sia conferita ufficialmente la cittadinanza onoraria a Julian Assange. Per l’occasione si prevede una cerimonia alla quale sarà invitato anche Gabriel Shipton, filmmaker e fratello del giornalista che in questi mesi sta portando in giro nel mondo il documentario Ithaka sulla storia del fondatore di Wikileaks.

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Fonte: L’IDIPENDENTE

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A New York grande manifestazione per la pace: “Espansione della NATO NO – Pace in Ucraina SÌ!”

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Anche negli USA si chiede la pace in Ucraina e il ritiro della NATO

Di Patrick Boylan

14 gennaio 2023

A New York, nella centralissima Times Square e poi presso il People’s Forum lì vicino, si è svolta una grande manifestazione per la pace con uno slogan che la dice tutta: Espansione della NATO NO – Pace in Ucraina SÌ!

Ma com’è possibile riportare la pace in Ucraina dicendo NO alla NATO? Che c’entra la NATO?
Ce lo spiegano gli Statunitensi per la Pace e la Giustizia di Roma, in un loro documento diffuso in occasione della manifestazione dei fratelli newyorkesi. Eccone un brano esteso:

Il conflitto in Ucraina non nasce dal tanto sbandierato “desiderio di impero” del presidente russo, Vladimir Putin, bensì dal molto meno sbandierato “desiderio di impero” della NATO… e di Wall Street. Si tratta di un desiderio di dominare e di sfruttare altri paesi, lo stesso impulso che ha portato alle invasioni (rivelatesi poi ingiustificate) dell’Afghanistan, dell’Iraq, della Libia, della Siria e poi, nel 2014, della stessa Ucraina quando, ad assaltare Kiev e ad imporre un leader voluto da Washington, erano le milizie ucraine filo naziste addestrate nelle caserme NATO in Polonia.

Oggi – come nel lontano 2014 – si vede a malapena la mano della NATO dietro l’insorgere dei tragici eventi in Ucraina. Ma c’è. E riconoscere questo fatto è importante perché ci consente, a noi pacifisti occidentali, di poter agire da protagonisti per riportare la pace.

Prima, però, dobbiamo renderci pienamente conto in che maniera la NATO ha agito e agisce.

Secondo la Narrazione Ufficiale, appena ricordata, il conflitto in Ucraina sarebbe dovuto esclusivamente al sogno del sig. Putin di diventare un nuovo Hitler e di conquistare il mondo. Solo che, sogni a parte, Putin sa benissimo – come i fatti stanno a dimostrare – che la Russia è sì una potenza nucleare, ma non ha le forze per condurre una guerra planetaria e nemmeno una guerra su scala europea; addirittura, ha molta difficoltà a fare una guerra nella sola regione est dell’Ucraina, il Donbass. Quindi, a meno di non essere completamente pazzo, il sig. Putin non può aver attaccato l’Ucraina, come ha fatto, convinto di essersi lanciato alla conquista del mondo, un pezzo alla volta, come recita la propaganda del Pentagono ripresa dai mass media mainstream.

Putin ha attaccato l’Ucraina perché la NATO lo ha provocato a farlo, annunciando (poi smentendo, poi annunciando di nuovo, poi smentendo, poi riannunciando, in una calcolata guerra dei nervi) il suo intento di espandersi fino ai confini russo-ucraini, costruendo lungo quei confini diversi siti per missili nucleari che i russi non potrebbero abbattere, essendo il punto di lancio così vicino a Mosca.

In altre parole, la Russia ha attaccato perché la NATO ha tirato fuori un coltello (l’Ucraina, appunto) e glielo sta puntando alla gola.

Come bisogna reagire a un bullo (in questo caso, la NATO) che tira fuori un coltello e te lo punta alla gola? Devi supplicarlo di risparmiarti? Devi gridare “aiuto”? Per il sig. Putin, né l’uno né l’altro. Egli ha scelto di usare la violenza contro la minaccia di violenza, attaccando per prima: un crimine secondo il diritto internazionale e un tragico errore che sta costando caro alla Russia.

Inoltre, quella scelta ha dimostrato quanto è sbagliato rispondere alla violenza con la violenza.

Ma dobbiamo concludere che essa dimostra anche che il sig. Putin sia davvero pazzo o, come minimo, un bugiardo? In fondo, egli afferma di aver dovuto fare una guerra preventiva contro un pericolo che non è nemmeno imminente.

Nel fare così, tuttavia, egli può vantare degli illustri predecessori. Gli USA, ad esempio, l’hanno fatto più volte. Nel 2003, il Presidente Bush invase l’Iraq per impedirlo di usare delle ipotetiche armi di distruzione di massa mai trovate, occupando poi illegalmente il paese per altri dieci anni, senza subire sanzioni o condanne da parte dell’Unione Europea. E nel 1962, il Presidente Kennedy rispose al presunto intento dell’allora URSS di installare missili nucleari a Cuba, a meno di 90 km dagli Stati Uniti, apprestandosi a dichiarare la Terza Guerra Mondiale! Malgrado il fatto che egli sapesse benissimo che questa sua decisione, se messo in pratica, sarebbe stata giudicata dalla Storia un errore criminale, in quanto gli ipotetici missili sovietici non rappresentavano ancora un pericolo imminente contro gli USA. Kennedy si discolpò presso l’opinione pubblica affermando che nessun paese può accettare nemmeno i preparativi per l’installazione di missili nucleari sui propri confini.

Fortunatamente, nel 1962, l’URSS fece marcia indietro e rinunciò all’installazione dei suoi missili a Cuba (anche perché aveva ottenuto, come contropartita in trattative segrete, lo smantellamento di una base missilistica USA in Turchia). Così fu scongiurata una conflagrazione nucleare.

Oggi, però, la NATO si rifiuta di fare marcia indietro.

Anzi, sta suonando i tamburi di guerra, ufficialmente per aiutare l’Ucraina a riconquistare il Donbass e la Crimea in nome della sua sovranità ma in realtà per poter poi installare le sue basi missilistiche proprio lì.

In altre parole, Wall Street e la NATO (braccia armata dell’alta finanza USA) hanno ogni intenzione di tenere il coltello puntato alla gola della Russia, installando missili balistici sui confini russo-ucraini. In tal modo potranno costringere la Russia a capitolare su tutta la linea – pena l’annientamento. Ad esempio, potranno imporre alla Russia un Presidente pro USA, disposto a cedere alle multinazionali statunitensi e in particolare quelle britanniche, a prezzi stracciati, le vaste risorse energetiche russe, come gli USA fece fare ad Eltsin negli anni ‘90.

Ora, riflettiamoci un istante.

Cosa faremmo NOI se ci trovassimo in una situazione del genere? Cioè, se fossimo la Russia.

(1.) Non potremmo accettare un coltello alla gola.

(2.) Ma non potremmo nemmeno reagire con un attacco, perché ciò peggiorerebbe le cose.

Esiste forse una terza via?

È quello che dirà la manifestazione odierna a New York. Esiste sì una terza via, diranno ad esempio le donne dell’ONG Code Pink, co-organizzatrici. E’ una via, però, che non esige dalla Russia, come invece fanno Washington e Kiev, il ritiro unilaterale russo dall’Ucraina per lasciar entrare la NATO, in quanto ciò equivarrebbe a chiedere alla Russia di suicidarsi.

Perciò la risposta è proprio quella opposta: esigere dalla NATO di ritirarsi. Perché può e deve farlo.

Infatti, la NATO non ha nessun bisogno di installare i suoi missili sui confini russo-ucraini, dove non potrebbero essere abbattuti. Quei missili rappresentano già un deterrente sufficiente collocati laddove si trovano ora.

Inoltre, sappiamo (dall’offerta di negoziati che la Russia ha fatto PRIMA dell’invasione, nel dicembre 2021) che Putin è più che disposto a fare concessioni. Quindi la NATO potrebbe verosimilmente ottenere una contropartita accettabile (come Krusciov da Kennedy nel 1962) se solamente accettasse, in via definitiva mediante trattato, di non espandersi fino all’Ucraina.

“Ma l’Ucraina non è libera di entrare nella NATO, se vuole?”, si chiede spesso. La risposta è negativa. “La mia libertà finisce dove comincia la vostra” disse Martin Luther King. Non abbiamo la libertà di stoccare bombe nel nostro giardino se ciò mette in pericolo i nostri vicini. Per lo stesso motivo, il Messico non è libero di aderire alla CSTO (la versione russa della NATO) e di lasciar installare missili russi lungo i suoi confini con gli USA. O l’Ucraina di aderire alla NATO. La libertà non è incondizionata, è sempre vincolata dal rispetto per l’incolumità degli altri.

Ciò significa che, nel pretendere che la NATO faccia marcia indietro, non stiamo chiedendole di arrendersi a un bullo. La NATO non avrebbe dovuto fare la sua provocazione per cominciare. Perciò fare marcia indietro significa semplicemente “resettare” le cose al punto di partenza.

In conclusione, dunque, esiste sì una possibilità di pace in Ucraina e ce l’abbiamo nelle nostre mani. Perché solo NOI possiamo fermare l’espansione della NATO all’est.

La Russia non riesce a farlo, lo si vede. La Cina si rifiuta di schierarsi. L’Europa o guarda dall’altra parte (Austria, Irlanda, ecc.) o appoggia la NATO fornendo armi per alimentare la guerra in Ucraina (Italia, Francia, ecc.). L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite non ha il potere di fermare l’espansione della NATO e il Consiglio di Sicurezza, che avrebbe il potere, non lo farà mai perché tra i membri permanenti, con diritto di veto, ci sono paesi appartenenti all’Alleanza Atlantica.

Ciò significa che spetta ai popoli degli stessi paesi della NATO premere sui propri governi per fermare la sua espansione all’est. Questa è l’UNICA strada per ripristinare la pace.

Ed è l’unica maniera per aiutare davvero i poveri ucraini. Infatti, “aiutarli” non significa inviare loro più armi, checché se ne dica. Non dobbiamo ascoltare quegli ucraini che ripetono la linea del Pentagono chiedendo “più armi” per farsi poi uccidere e consentire così alla NATO di sfinire la Russia in una lunghissima guerra di attrizione. Dovremmo ascoltare, invece, gli ALTRI ucraini, quelli che il governo “democratico” non ha ancora ucciso o incarcerato per aver chiesto la pace. Quelli che vogliono che l’Ucraina resti fuori dalla NATO, per garantire quella pace. (I nostri media non lo dicono, ma l’Ucraina ha ucciso o fatto “sparire” più di 80 blogger e giornalisti, considerati traditori perché avevano osato chiedere la pace e la neutralità.)

Dovremmo ascoltare loro, i coraggiosi ucraini non ancora “fatti scomparire”, invece dei tirapiedi del Pentagono che vediamo sempre in TV.

Perciò lo slogan della manifestazione di oggi a New York è una proclama che tutti noi possiamo sottoscrivere, insieme a tutti gli ucraini amanti della pace. E cioè:

ESPANSIONE DELLA NATO — NO!

PACE IN UCRAINA — SÌ!

L’ONU non può fermare l’espansione della NATO ad est? Tocca a noi farlo, per riportare la pace.

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Fonte: Peacelink

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VIDEO
(Coro! Coro! Coro! & Patti Smith cantano ‘PEOPLE HAVE THE POWER’ a New York con Stewart Copeland) https://www.youtube.com/watch?v=y6Wz3i_BYUc

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Appello per la vita di Alfredo Cospito

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Per la vita di Alfredo Cospito
Appello al Ministro della giustizia e all’Amministrazione penitenziaria

Alfredo Cospito è a un passo dalla morte nel carcere di Bancali a Sassari all’esito di uno sciopero della fame che dura, ormai, da 80 giorni. Detenuto in forza di una condanna a 20 anni di reclusione per avere promosso e diretto la FAI-Federazione Anarchica Informale (considerata associazione con finalità di terrorismo) e per alcuni attentati uno dei quali qualificato come strage pur in assenza di morti o feriti, Cospito è in carcere da oltre 10 anni, avendo in precedenza scontato, senza soluzione di continuità, una condanna per il ferimento dell’amministratore delegato di Ansaldo Nucleare Roberto Adinolfi. Dal 2016 è stato inserito nel circuito penitenziario di Alta Sicurezza 2, mantenendo, peraltro, condizioni di socialità all’interno dell’istituto e rapporti con l’esterno. Ciò sino al 4 maggio 2022, quando è stato sottoposto al regime previsto dall’art. 41 bis ordinamento penitenziario, con esclusione di ogni possibilità di corrispondenza, diminuzione dell’aria a due ore trascorse in un cubicolo di cemento di pochi metri quadri e riduzione della socialità a una sola ora al giorno in una saletta assieme a tre detenuti. Per protestare contro l’applicazione di tale regime e contro l’ergastolo ostativo, il 20 ottobre scorso Cospito ha iniziato uno sciopero della fame che si protrae tuttora con perdita di 35 chilogrammi di peso e preoccupante calo di potassio, necessario per il corretto funzionamento dei muscoli involontari tra cui il cuore. La situazione si fa ogni giorno più grave, e Cospito non intende sospendere lo sciopero, come ha dichiarato nell’ultima udienza davanti al Tribunale di sorveglianza di Roma: «Sono condannato in un limbo senza fine, in attesa della fine dei miei giorni. Non ci sto e non mi arrendo. Continuerò il mio sciopero della fame per l’abolizione del 41 bis e dell’ergastolo ostativo fino all’ultimo mio respiro».

Lo sciopero della fame di detenuti potenzialmente fino alla morte è una scelta esistenziale drammatica che interpella le coscienze e le intelligenze di tutti. È un lento suicidio (che si aggiunge, nel caso di Cospito, agli 83 suicidi “istantanei” intervenuti nelle nostre prigioni nel 2022), un’agonia che si sviluppa giorno dopo giorno sotto i nostri occhi, un’autodistruzione consapevole e meditata, una pietra tombale sulla speranza. A fronte di ciò, la gravità dei fatti commessi non scompare né si attenua ma deve passare in secondo piano. Né vale sottolineare che tutto avviene per “scelta” del detenuto. Configurare come sfida o ricatto l’atteggiamento di chi fa del corpo l’estremo strumento di protesta e di affermazione della propria identità significa tradire la nostra Costituzione che pone in cima ai valori, alla cui tutela è preposto lo Stato, la vita umana e la dignità della persona: per la sua stessa legittimazione e credibilità, non per concessione a chi lo avversa. Sta qui – come i fatti di questi giorni mostrano nel mondo – la differenza tra gli Stati democratici e i regimi autoritari.

La protesta estrema di Cospito segnala molte anomalie, specifiche e generali: la frequente sproporzione tra i fatti commessi e le pene inflitte (sottolineata, nel caso, dalla stessa Corte di assise d’appello di Torino che ha, per questo, rimesso gli atti alla Corte costituzionale); il senso del regime del 41 bis, trasformatosi nei fatti da strumento limitato ed eccezionale per impedire i contatti di detenuti di particolare pericolosità con l’organizzazione mafiosa di appartenenza in aggravamento generalizzato delle condizioni di detenzione; la legittimità dell’ergastolo ostativo, su cui il dibattito resta aperto anche dopo l’intervento legislativo dei giorni scorsi e molto altro ancora. Non solo: la stessa vicenda di Cospito è ancora per alcuni aspetti sub iudice ché la Corte costituzionale deve pronunciarsi sulla possibilità che, nella determinazione della pena, gli effetti della recidiva siano elisi dalla concessione dell’attenuante della lievità del fatto e la Cassazione deve decidere sul ricorso contro il decreto applicativo del 41 bis. Su tutto questo ci si dovrà confrontare, anche con posizioni diverse tra di noi. Ma oggi l’urgenza è altra. Cospito rischia seriamente di morire: può essere questione di settimane o, addirittura, di giorni. E l’urgenza è quella di salvare una vita e di non rendersi corresponsabili, anche con il silenzio, di una morte evitabile. Il tempo sta per scadere.

Per questo facciamo appello all’Amministrazione penitenziaria, al Ministro della Giustizia e al Governo perché escano dall’indifferenza in cui si sono attestati in questi mesi nei confronti della protesta di Cospito e facciano un gesto di umanità e di coraggio. Le possibilità di soluzione non mancano, a cominciare dalla revoca nei suoi confronti, per fatti sopravvenuti e in via interlocutoria, del regime del 41 bis, applicando ogni altra necessaria cautela. È un passo necessario per salvare una vita e per avviare un cambiamento della drammatica situazione che attraversano il carcere e chi è in esso rinchiuso.

7 gennaio 2023

Primi firmatari:

Alessandra Algostino, docente di diritto costituzionale, Università di Torino
Silvia Belforte, già docente di architettura, Politecnico di Torino
Ezio Bertok, presidente Controsservatorio Valsusa
don Andrea Bigalli, parroco in Firenze, referente di Libera per la Toscana
Maria Luisa Boccia, presidente del CRS (Centro per la Riforma dello Stato)
Massimo Cacciari, filosofo
Gian Domenico Caiazza, avvocato, presidente Unione Camere Penali Italiane
don Luigi Ciotti, presidente del Gruppo Abele e di Libera
Gherardo Colombo, già magistrato, presidente della Garzanti Libri
Amedeo Cottino, professore di sociologia del diritto nelle Università di Torino e Umeå (Svezia)
Gastone Cottino, accademico ed ex partigiano, già preside Facoltà di Giurisprudenza, Università di Torino
Beniamino Deidda, magistrato, già Procuratore generale di Firenze
Donatella Di Cesare, docente di filosofia teoretica, Università di Roma La Sapienza
Daniela Dioguardi, UDI (Unione Donne Italiane), Palermo
Angela Dogliotti, vice presidente Centro Studi Sereno Regis
Elvio Fassone, già magistrato e parlamentare
Luigi Ferrajoli, filosofo del diritto
Giovanni Maria Flick, già presidente della Corte costituzionale e ministro della giustizia
Chiara Gabrielli, docente di procedura penale, Università di Urbino
Domenico Gallo, magistrato, già presidente di sezione della Corte di cassazione
Elisabetta Grande, docente di Sistemi giuridici comparati nell’Università del Piemonte orientale
Leopoldo Grosso, presidente onorario del Gruppo Abele
Franco Ippolito, presidente Fondazione Basso
Roberto Lamacchia, avvocato, presidente Associazione italiana Giuristi democratici
Gian Giacomo Migone, docente di Storia dell’America del Nord nell’Università di Torino, già senatore
Tomaso Montanari, docente di storia dell’arte, rettore dell’Università per stranieri di Siena
Andrea Morniroli, cooperatore sociale, Napoli
Moni Ovadia, attore, musicista e scrittore
Giovanni Palombarini, magistrato, già procuratore generale aggiunto presso la Corte di cassazione
Michele Passione, avvocato in Firenze
Valentina Pazé, docente di filosofia politica, Università di Torino
Livio Pepino, presidente di Volere la Luna e direttore editoriale delle Edizioni Gruppo Abele
Alessandro Portelli, storico e docente di letteratura angloamericana all’Università di Roma La Sapienza
Nello Rossi, magistrato, già avvocato generale presso la Corte di cassazione
Armando Sorrentino, avvocato, Associazione italiana giuristi democratici, Palermo
Gianni Tognoni, segretario generale del Tribunale permanente dei popoli
Ugo Zamburru, psichiatra, fondatore del Caffè Basaglia di Torino
padre Alex Zanotelli, missionario comboniano

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Per aderire all’appello: https://forms.gle/jtekmZS4zsdLPUht6

Vedi le adesioni pervenute

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Fonte: volerelaluna.it

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