Germania: lascia che Roger Waters dei Pink Floyd si esibisca a Francoforte. Firma la Petizione!

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Katie Halper ha lanciato questa petizione:

Noi artisti, musicisti, scrittori e altri personaggi pubblici e organizzazioni siamo profondamente turbati dai recenti sforzi dei funzionari tedeschi per screditare e mettere a tacere il musicista Roger Waters. Il 24 febbraio 2023, il consiglio comunale di Francoforte e il governo dello stato dell’Assia hanno annunciato la cancellazione di un concerto di Waters programmato per il 28 maggio alla Festhalle. Il consiglio comunale di Francoforte afferma che la cancellazione del concerto di Waters “ha dato un chiaro segnale contro l’antisemitismo”, descrivendo il musicista come “uno degli antisemiti più diffusi al mondo”. Come prova, il Consiglio afferma che Waters “ha ripetutamente chiesto un boicottaggio culturale di Israele e ha fatto paragoni con il regime di apartheid in Sud Africa e ha fatto pressioni sugli artisti affinché cancellassero eventi in Israele”.

Non ci sono altre prove oltre a queste due affermazioni: che Waters ha sostenuto la campagna di boicottaggio culturale di Israele guidata dai palestinesi e che ha paragonato il governo israeliano contemporaneo al regime di apartheid in Sud Africa.

Nessuna di queste affermazioni è unica per Waters o al di fuori dei confini dell’opinione pubblica tradizionale. Organizzazioni per i diritti umani come Amnesty International, Human Rights Watch, B’Tselem israeliano, agenzie delle Nazioni Unite e funzionari sudafricani hanno definito Israele uno stato di apartheid e, pertanto, molte di queste organizzazioni e individui hanno fatto il confronto tra Israele e l’apartheid in Sud Africa.

Gli estremisti sono il governo israeliano, non i suoi critici. Di recente, i cittadini israeliani si sono riversati nelle strade per protestare contro il trattamento violento dei palestinesi da parte del loro governo e i radicali cambiamenti giudiziari antidemocratici.

Le critiche di Waters al trattamento riservato da Israele ai palestinesi fanno parte della sua difesa a lungo termine a favore dei diritti umani in tutto il mondo. Waters crede “che tutti i nostri fratelli e sorelle, in tutto il mondo, indipendentemente dal colore della loro pelle o dalla profondità delle loro tasche, meritino pari diritti umani ai sensi della legge”. Riguardo a Israele e Palestina, dice: “La mia piattaforma è semplice: è l’attuazione della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 per tutti i nostri fratelli e sorelle tra il fiume Giordano e il mare. L’antisemitismo è odioso e razzista e lo condanno, insieme a tutte le forme di razzismo, senza riserve”.

I funzionari che diffamano Waters si stanno impegnando in una pericolosa campagna che fonde volutamente le critiche alle politiche illegali e ingiuste di Israele con l’antisemitismo. Questa fusione perpetua il tropo antisemita che presenta gli ebrei come un monolite che sostiene ciecamente Israele. Alcuni dei critici più rumorosi di Israele sono ebrei. Ma coloro che armano l’antisemitismo stanno bene contribuendo ad esso.

I funzionari in Germania, gli organizzatori di concerti e le piattaforme musicali non devono soccombere alla pressione di quegli individui e gruppi che preferirebbero vedere rimossa la musica di Waters piuttosto che impegnarsi con i problemi che la sua musica mette in risalto. Chiediamo a coloro che hanno annullato i concerti di Waters di ribaltare le loro decisioni e considerare la propria storia di antisemitismo, razzismo e genocidio e come i casi di questi possono essere fermati oggi in altre parti del mondo, inclusa la Palestina occupata.

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FIRMA LA PETIZIONE

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Fonte: change.org
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Primi firmatari:

Brian Eno, Musician

Peter Gabriel, Musician

Anwar Hadid, Musician

Tom Morello, Musician

Noam Chomsky, Laureate Professor of Linguistics, University of Arizona

Cornel West, Professor, Philosopher, Author, Activist

Susan Sarandon, Actor

Ken Loach, Film Director

Nick Mason, Drummer

Eric Clapton, Musician

Gabor Maté, Physician and Author

Immortal Technique, Artist and Producer

Low Key, Rapper and Activist

Andrew Feinstein, Author and Former ANC Member of Parliament

Julian Schnabel, Artist and film maker

Robert Wyatt, Musician

Dread Scott, Artist

Emily Jacir, Artist

Ariella Aïsha Azoulay, Professor of Modern Culture & Media and Comparative Literature, Brown University

Ilan Pappé, Historian

Julie Christie, actor

Michael Malarkey, Musician

Terry Gilliam, Film Director and Actor

Norman Finkelstein, Writer, Professor

John Pilger, Journalist

Sophie Calle, Artist

Artists for Palestine, UK

Daniel Ellsberg, Pentagon Papers

Beth Miller, Jewish Voice for Peace Political Director

Medea Benjamin, Code Pink

Yanis Varoufakis, Author

Noura Erakat, Human rights attorney and author

Susan Abulhawa, Author Mornings In Jenin

Miko Peled, Author and Activist

David Cross, Comedian, Actor, Writer, Director

Ramin Bahrani, Film director

Alia Shawkat, Actor

Sara Driver, Film director

Caryl Churchill, Playwright

Lady Bunny, Performer

Alexei Sayle, Actor, Author, Comedian

Adam Broomberg, Artist, Educator and Activist

John Smith, Artist Filmmaker, Emeritus Professor of Fine Art, University of East London

Rosalind Nashashibi, Artist

Glenn Greenwald, Journalist

Chris Hedges, Journalist, Pulitzer Prize winner

Katie Halper, Journalist

Vijay Prashad, Journalist

Abby Martin, journalist and Filmmaker

Mike Prysner. Journalist and Filmmaker

Mohamed Hadid, Developer

Robert Scheer, Journalist, Professor USC Annenberg

Krystal Ball, Journalist

Eugene Puryear, Journalist

Rania Khlek, Journalist

Ros Petchesky, Distinguished Professor Emerita of Political Science, Hunter College & the Graduate Center-CUNY, Jewish Voice For Peace

Gerald Horne, Historian, John J. and Rebecca Moores Chair of History and African American Studies at the University of Houston

Steven Donziger, Human Rights Attorney

Adolph Reed, Jr. Professor Emeritus of Political Science, University of Pennsylvania

Greg Grandin, Professor of History, Yale University

Daniel Bessner, Historian

Frank Barat, Film Producer

Tami Gold, Filmmaker, Professor of Film & Media Studies at Hunter College

Omar Al-Qattan, Film producer and Cultural Activist

Josh Olson, Screenwriter

Zeina Durra, Film Director

Vin Arfuso, Producer, Filmmaker

Karen Zelermyer, I Was Never There podcast

Christian Parenti, Professor of political economy John Jay, CUNY

Marcie Smith Parenti Writer and Attorney

Noah Kulwin, Writer

Nora Eisenberg, Novelist, Journalist

Dave Anthony, Writer

Freddie DeBoer, Writer

Robin D.G. Kelly, Writer, Gary B. Nash Professor of American History at UCLA.

Greg Goldberg, Chair, Sociology Department, Wesleyan University

Felix Hoffmann, Arthistorian and Artistic Director Foto Arsenal Wien

Barbara Smith, Writer and Activist

Doug Henwood Journalist/Radio Host

Liza Featherstone, Journalist

Margaret Kimberley, Editor, Black Agenda Report

Nora Barrows-Friedman, journalist

Yasha Levine, Journalist

Mark Ames, Journalist

Adam Horowitz, Journalist Mondoweiss

Phil Weiss, Writer

Michael Mack, Publisher

Max Blumenthal, Journalist, The Grayzone

Stefania Maurizi, Investigative Journalist

Norman Solomon, Journalist

Branko Marcetic, Journalist, Jacobin

Alfreda Benge, Artist

Bill Morrison, Artist and Film Director

Alessandra Sanguinetti, Photographer

Robin Rhode, Artist

Jim Goldberg, Artist/ Professor Emeritus California College of the Arts

Alec Soth, Photographer

Jewish Voice For Peace

Nina Felshin, Art Curator, Writer

Tai Shani, Artist

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Vite che per fortuna non sono la nostra

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Nel 2022 sono morte 289 persone “senza fissa dimora” [1]. Molti pensano che la principale causa sia il freddo, perché dormire all’aperto in inverno è estremamente duro. Ma, purtroppo, i senza dimora muoiono in tutte le stagioni e l’inverno è la stagione nella quale ne muoiono di meno, probabilmente proprio perché cittadini e istituzioni sono un poco più partecipi delle loro sofferenze. In estate sono morte 109 persone, 101 in autunno, 97 in primavera e 86 in inverno  [1]

La gran parte di loro (46%) è morta per eventi esterni e traumatici: incidenti di trasporto (15%), omicidi (9%), suicidi (8%), annegamento (6%), incendi (4%), cadute e altri eventi accidentali (4%). Il 37% per malattie (tumori, cirrosi, malattie infettive, malattie cardiovascolari ecc.), il restante per cause sconosciute, per ipotermia, per overdose [1].

Il 91% è maschio e il 60% è straniero [1]. Si potrebbe pensare che ciò avviene perché la maggioranza degli homeless è costituita da maschi (oltre l’85%) e stranieri (oltre il 60%), ma le cose sono più complesse [2]. Per esempio, gli stranieri senza dimora sono in media significativamente più giovani degli italiani e quindi ne dovrebbero morire di meno; inoltre, tra gli stranieri, la fascia d’età con il maggior numero di decessi è quella sotto i 29 anni, un’età nella quale la morte dovrebbe essere un evento raro [1].

Il 47% delle persone decedute viene trovata morta per strada, il 30% muore in edifici abbandonati o in baracche, il 12% in ospedale, il 9% in stazione, il 2% in strutture (dormitori ecc.) [1].

Agghiacciante è il paragone tra la popolazione italiana generale (maschile) e la popolazione dei senza fissa dimora (che in stragrande maggioranza è composta da maschi). Per quanto riguarda l’aspettativa di vita è rispettivamente di 80,1 anni e di 46,9 anni, il numero di suicidi è 8 volte maggiore nei senza dimora e la probabilità di essere uccisi è di 160 volte maggiore [1, 3].

Dormire e vivere per strada, in un dormitorio o in un edificio diroccato non è mai una scelta, come alcuni possono pensare. Anche una persona totalmente folle preferisce vivere in una casa e dormire in un comodo letto. Se talvolta può sembrare una scelta è una una scelta dolorosa per fuggire a convivenze traumatiche o a condizioni di vita insopportabili.

Sembra impossibile che all’interno dello stesso Paese, della stessa città vi siano persone che vivono condizioni così diverse: alcune come se si stesse ancora nel Medioevo e altre nel XXI secolo. E’ sconcertante che ciò venga accettato come un fatto normale, con rassegnazione e passività. E’ abominevole che una parte degli italiani invece di ringraziare la sorte che li ha fatti nascere tra i fortunati e di essere solleciti con i più poveri tra i poveri provi per loro fastidio, insofferenza, odio. Sentimenti che si concretizzano in norme quali il divieto di dormire in qualsiasi posto pubblico (marciapiedi, stazioni, portici, aiuole ecc) tranne le panchine dei quartieri periferici, in ordinanze quali quelle di vari comuni che vietano l’accattonaggio, in prassi illegali quali negare la residenza ai senza dimora impedendo con ciò l’esercizio di diritti fondamentali (per esempio quello alla salute, perché senza certificato di residenza non si può avere un medico di base) [4].

Questi provvedimenti non fanno scomparire i senza fissa dimora, ma servono solo a rendere la loro vita ancora più difficile e precaria. Bisogna invece prendere atto di questa realtà e mettere in campo politiche che intervengano sui diversi fattori che determinano queste situazioni. Non si tratta tanto di costruire nuovi dormitori (a Napoli vi sono circa 300 posti letto, quando si stima che i senza dimora sono oltre 1.000 [5]), ma di garantire il diritto alla casa (per esempio costruendo case popolari per le 600.000 persone che in Italia sono in lista di attesa [6]; aiutando i “morosi incolpevoli”; con interventi di housing first, cioè dare un piccolo appartamento che sia gestito direttamente dal senza dimora; introducendo una tassa sulle case non locate); abolire la norma che vieta l’affitto agli stranieri irregolari e, ancor più, regolarizzare gli stranieri irregolari e permettere canali di accesso legali; dare un sostegno al reddito a chi è in situazioni di povertà assoluta; potenziare i servizi sociali e il sistema sanitario nazionale (attualmente estremamente carenti di personale) affinché possano intervenire tempestivamente ed efficacemente sull’intera platea degli aventi bisogno (in particolare su malati di mente, tossicodipendenti, ludopatici, soggetti problematici, minori a rischio, ex carcerati); investire nel sistema educativo 1-6 anni (nidi, scuole dell’infanzia, promozione della lettura ad alta voce ai bambini) rivolgendolo prioritariamente ai figli dei poveri; combattere il lavoro nero, lo sfruttamento dei lavoratori e la precarietà lavorativa; risolvere l’affollamento delle carceri (oggi piene soprattutto di piccoli delinquenti e di persone, specie straniere, in attesa di giudizio) e rendere la detenzione un’occasione per apprendere un lavoro, elevare la propria istruzione e migliorare le competenze cognitive e affettive.

Tutto ciò può realizzarsi solo se i cittadini capiranno che non è con gli slogan e col cinismo che si risolvono i problemi, ma con una pluralità di interventi tesi al bene comune e in particolare a quello dei soggetti più deboli; solo se capiranno che è necessaria una lotta all’evasione e all’elusione fiscale e un aumento delle tasse a chi ha avuto la fortuna di essere ricco o benestante così da avere le risorse necessarie per assumere personale nel SSN, nei servizi sociali, nel sistema educativo 0-6 anni, nel recupero dei delinquenti, nonché per costruire case popolari, nidi, biblioteche di quartiere, centri sociali.

Nel frattempo possiamo sostenere le tante organizzazioni che si danno da fare per i senza fissa dimora (per esempio Il Camper, la Comunità di Sant’Egidio, la Caritas Diocesana, la Ronda del Cuore, la Fondazione Leone, la Cooperativa La Locomotiva, l’Associazione La Tenda).

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Fonte: Giardino di Marco 

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Note: 1) Fio.PSD: La strage invisibile, 2023; 2) Istat 2014; 3) Tra i senza fissa dimora l’8% dei morti è per omicidio, nella popolazione italiana è lo 0,05%, quindi 160 volte minore; 4)  Per quanto riguarda le norme ci riferiamo al decreto legge 20 febbraio 2017, n. 14. Numerosi comuni (soprattutto quelli di destra, ma non solo) hanno emesso ordinanze contro l’accattonaggio (annullate dal TAR dopo il ricorso di associazioni o enti umanitari, perché illegittime) o non concedono la residenza ai senza dimora; 5) Dati tratti dal portale Napoli solidale; 6) Federcasa 2021.

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Crisi ucraina e il principio di “Non Primo Uso” delle armi nucleari

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Dichiarazione di Daisaku Ikeda sulla crisi ucraina e sul principio di “Non Primo Uso” delle armi nucleari

Di Daisaku Ikeda

12 gennaio 2023

La crisi ucraina, scoppiata nel febbraio dello scorso anno, continua senza prospettive di cessare.
L’intensificarsi delle ostilità ha inflitto grandi sofferenze nei centri abitati e distrutto le infrastrutture, costringendo un gran numero di civili, tra cui molti bambini e donne, a vivere in uno stato di costante pericolo. Più di 7,9 milioni di persone sono state costrette a trovare rifugio in altri Paesi europei e circa 5,9 milioni sono sfollate all’interno della stessa Ucraina.

La storia del XX secolo, che ha visto gli orrori causati da due conflitti globali, avrebbe dovuto insegnare che nulla è più crudele e miserabile della guerra. Quando ero adolescente, durante la seconda guerra mondiale, ho assistito al bombardamento di Tokyo. Ancora oggi, ricordo vividamente di essere stato separato dai membri della mia famiglia mentre fuggivamo disperatamente attraverso un mare di fiamme, e di aver saputo che erano salvi solo il giorno successivo. Mi è rimasta indelebile anche l’immagine di mia madre, con la schiena scossa dai singhiozzi dopo che le fu comunicato che mio fratello maggiore, che era stato arruolato e aveva assistito con angoscia alle barbarie commesse dal Giappone, era stato ucciso in battaglia.
Quante persone hanno perso la vita o i mezzi di sostentamento nella crisi in corso, quante hanno visto il proprio stile di vita e quello delle loro famiglie improvvisamente e irrevocabilmente alterato?

Per la prima volta in quarant’anni, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha chiesto all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite di convocare una sessione speciale d’emergenza basandosi sulla risoluzione Uniting for peace (la risoluzione 377 A dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 1950 n.d.t.). Successivamente, il Segretario generale António Guterres si è impegnato ripetutamente con i leader nazionali di Russia, Ucraina e altri Paesi per cercare una mediazione. Eppure, la crisi continua. Non solo ha acuito le tensioni in tutta Europa, ma ha avuto anche gravi ripercussioni su molti altri Paesi sotto forma di restrizioni dei rifornimenti alimentari, impennate dei prezzi dell’energia e blocco dei mercati finanziari. Questi sviluppi hanno accresciuto la disperazione di un gran numero di persone in tutto il mondo, già afflitte da eventi meteorologici estremi causati dal cambiamento climatico e dalla sofferenza e dalla morte causate dalla pandemia da COVID-19.

È cruciale trovare una soluzione per evitare un ulteriore peggioramento delle condizioni in cui versano le persone in tutto il mondo, per non parlare del popolo ucraino che è costretto a vivere con forniture di elettricità inadeguate e incerte in un inverno sempre più rigido e in un conflitto militare sempre più intenso. Invito pertanto a organizzare urgentemente un incontro, sotto l’egida delle Nazioni Unite, tra i ministri degli Esteri di Russia, Ucraina e altri Paesi chiave, al fine di raggiungere un accordo sulla cessazione delle ostilità. Chiedo inoltre di intraprendere serie discussioni volte alla realizzazione di un vertice che riunisca i capi di tutti gli Stati interessati al fine di trovare un percorso per il ripristino della pace. Quest’anno ricorrono gli ottantacinque anni dall’adozione, da parte dell’Assemblea Generale della Società delle Nazioni, di una risoluzione sulla protezione dei civili dai bombardamenti aerei. È anche il settantacinquesimo anniversario dell’adozione da parte delle Nazioni Unite della Dichiarazione universale dei diritti umani, che esprimeva il voto comune di realizzare una nuova era in cui la dignità umana non sarebbe mai più stata calpestata e abusata. Ricordando l’impegno a proteggere la vita e la dignità che è alla base del Diritto internazionale umanitario e del Diritto Internazionale dei Diritti umani, esorto tutte le parti a porre fine al più presto all’attuale conflitto.

Oltre a chiedere una risoluzione quanto più rapida possibile della crisi ucraina, desidero sottolineare l’importanza cruciale di attuare misure per prevenire l’uso o la minaccia di uso di armi nucleari, sia nella crisi attuale sia in quelle future.

Con il protrarsi del conflitto e l’inasprimento della retorica nucleare, il rischio che queste armi vengano effettivamente utilizzate è oggi al livello più alto dalla fine della Guerra Fredda. Anche se nessuna delle parti cerca la guerra nucleare, la realtà è che, con gli arsenali nucleari in continuo stato di massima allerta, è notevolmente aumentato il rischio di un uso involontario di armi nucleari come risultato di un errore di dati, di un incidente imprevisto o di confusione provocata da un attacco informatico.

L’ottobre dello scorso anno ha segnato il sessantesimo anniversario della Crisi dei Missili di Cuba, che portò il mondo a un passo dalla guerra nucleare. Nello stesso periodo la Russia e la NATO hanno organizzato esercitazioni dedicate alle proprie squadre di comando nucleare. Alla luce delle tensioni crescenti, il Segretario Generale Guterres ha sottolineato che le armi nucleari «non offrono alcuna sicurezza – solo carneficina e caos». [1] Essere consapevoli di questa realtà deve essere il fondamento comune per la vita nel XXI secolo. Come affermo da tempo, se consideriamo le armi nucleari solo dal punto di vista della sicurezza nazionale, rischiamo di trascurare questioni di importanza fondamentale. Nelle mie quaranta proposte di pace annuali pubblicate a partire dal 1983, ho sostenuto che la natura disumana delle armi nucleari deve essere il fulcro di qualsiasi discorso o discussione. Ho anche sottolineato la necessità di affrontare apertamente l’irrazionalità delle armi nucleari, con la loro capacità di distruggere e rendere illeggibili tutte le prove delle nostre vite individuali e dei nostri impegni condivisi come società e civiltà.

Un altro punto che desidero sottolineare si potrebbe definire come un’attrazione gravitazionale negativa insita nelle armi nucleari. Intendo con ciò che l’escalation delle tensioni legate al possibile uso di armi nucleari crea un senso di urgenza e di crisi che tiene in pugno le persone come una sorta di forza gravitazionale, privandole della capacità di fermare l’intensificazione del conflitto.
Durante la Crisi dei Missili di Cuba, il Segretario Generale sovietico Nikita Krusciov (1894–1971) scrisse al Presidente degli Stati Uniti John F. Kennedy (1917–63): «Arriverà il momento in cui il nodo sarà così stretto che neanche coloro che lo hanno legato potranno scioglierlo, e sarà dunque necessario reciderlo… ». [2] Dal canto suo, si riporta che Kennedy disse che il mondo sarebbe rimasto ingestibile fino a quando fossero esistite le armi nucleari. Queste dichiarazioni esprimono quanto i leader delle due potenze nucleari fossero consapevoli che le circostanze del tempo erano fuori dal loro controllo. Se si dovesse arrivare a prendere in considerazione il lancio di missili armati di testate nucleari, non ci sarebbe né il tempo né la capacità delle istituzioni di sondare le opinioni dei cittadini delle parti in conflitto, tanto meno quelle dei popoli del mondo, su come evitare gli orrori catastrofici che si scatenerebbero. La politica di deterrenza dipendente dalle armi nucleari è il modo in cui uno Stato cerca di esercitare il proprio controllo e affermare la propria autonomia. Ma quando si raggiunge il precipizio e si è sull’orlo dell’abisso, i cittadini di quello Stato e del mondo finiscono per essere intrappolati, privati di ogni libertà d’azione. Questa è la realtà delle armi nucleari, rimasta immutata dall’inizio della Guerra Fredda, una realtà che sia gli Stati dotati di armi nucleari sia quelli dipendenti dal nucleare devono affrontare in tutta la sua durezza.

Nel settembre 1957, quando il mio maestro, il secondo presidente della Soka Gakkai Josei Toda (1900-58), lanciò il suo appello per la messa al bando delle armi nucleari, la corsa agli armamenti nucleari stava rapidamente accelerando: i test di lancio di missili balistici intercontinentali erano riusciti, e ciò significava che ogni luogo della Terra diventava ora un potenziale obiettivo di un attacco nucleare. Pur rilevando l’importanza della crescita del movimento che chiedeva di mettere fine ai test nucleari, Toda era convinto che la soluzione definitiva al problema risiedesse nel totale rifiuto di ogni forma di pensiero che ne giustificasse il loro uso. Quando diede voce alla sua determinazione di “denudare e strappare gli artigli che si celano nelle estreme profondità di simili ordigni”[3], espresse la sua indignazione nei confronti di quelle logiche che ammettevano la possibilità di sottoporre l’umanità a tali orrori catastrofici. Il fulcro della sua Dichiarazione risiedeva nell’appello a un profondo autocontrollo da parte di coloro che occupano posizioni di autorità politica, che hanno in mano la vita o la morte di un gran numero di persone. Un altro obiettivo era contrastare il senso di rassegnazione delle persone di fronte alle armi nucleari, la sensazione che le proprie azioni non possano cambiare il mondo. In questo modo, ha cercato di aprire una strada che permettesse ai cittadini comuni di essere i protagonisti dell’impegno della messa al bando le armi nucleari. Toda considerava questa Dichiarazione come espressione delle ultime e fondamentali istruzioni che lasciava ai suoi discepoli; io ho inteso le sue parole come un appello a tracciare una linea che non dovrà mai essere oltrepassata, un’indispensabile indicazione per il futuro dell’umanità. Per far sì che ciò diventasse realtà, nei miei incontri con i leader politici e intellettuali di diversi Paesi, ho continuato a sottolineare l’assoluta necessità di risolvere la questione delle armi nucleari. Allo stesso tempo, con l’obiettivo di porre fine all’era delle armi nucleari, la Soka Gakkai Internazionale (SGI) ha allestito una serie di mostre e si è impegnata in iniziative educative di sensibilizzazione nei Paesi di tutto il mondo.

Nel 2007, cinquantesimo anniversario della dichiarazione di Toda, la SGI ha lanciato People’s Decade for Nuclear Abolition e, collaborando con la Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari (ICAN), iniziata nello stesso periodo, ha lavorato per la realizzazione di uno strumento giuridicamente vincolante per mettere al bando le armi nucleari.
Il desiderio e la determinazione della società civile, rappresentata dalle vittime dei bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki, che la tragedia dell’uso delle armi nucleari non debba mai più essere vissuta dalla popolazione di nessun Paese, si sono cristallizzati nel 2017 con l’adozione del Trattato sulla proibizione delle armi nucleari (TPNW), entrato in vigore nel 2021. Questo, per noi, ha rappresentato un progresso verso la realizzazione della Dichiarazione lasciata in eredità da Josei Toda.
Il TPNW mette completamente al bando tutti gli aspetti delle armi nucleari, non solo il loro uso o la minaccia di uso, ma anche il loro sviluppo e possesso. Per quanto gli Stati che possiedono armi nucleari possano trovare difficoltà ad abbracciare il Trattato, dovrebbe almeno esserci un riconoscimento comune e condiviso dell’importanza di prevenire le conseguenze catastrofiche del loro uso. Oltre a ridurre le tensioni con l’obiettivo di risolvere la crisi in Ucraina, ritengo di fondamentale importanza che gli Stati possessori di armi nucleari intraprendano azioni per ridurre i rischi nucleari allo scopo di garantire che non si verifichino – né ora né in futuro – situazioni in cui si profila la possibilità dell’uso di armi nucleari. È in quest’ottica che, nel luglio dello scorso anno, ho rilasciato una dichiarazione alla Conferenza di revisione del Trattato di non proliferazione nucleare (NPT) in cui esortavo i cinque Stati dotati di armi nucleari a impegnarsi prontamente e senza ambiguità a non essere mai i primi a lanciare un attacco nucleare, adottando quindi il principio del “Non Primo Uso”.

Purtroppo, la Conferenza di revisione del NPT di agosto non è riuscita a raggiungere un consenso per la stesura di un documento finale. Ma questo non significa affatto che gli obblighi di disarmo nucleare stabiliti nell’articolo VI del Trattato non siano più validi. Come indicano le varie bozze del documento finale, c’è stato un ampio sostegno per le misure di riduzione del rischio nucleare, come l’adozione di politiche di “Non Primo Uso” e l’estensione delle garanzie negative di sicurezza, attraverso le quali gli Stati dotati di armi nucleari si impegnano a non usare mai le armi nucleari contro gli Stati che non le possiedono.

Sulla base di queste delibere, è assolutamente necessario sostenere lo stato di “Non Primo Uso”, che nonostante tutto è stato mantenuto negli ultimi settantasette anni, e far avanzare il processo di disarmo nucleare verso l’obiettivo dell’abolizione. Esiste già una base comune da cui partire: la dichiarazione congiunta rilasciata lo scorso gennaio (2022) dai leader di Stati Uniti, Russia, Regno Unito, Francia e Cina, nella quale affermano che “una guerra nucleare non può essere vinta e non deve mai essere combattuta”[4]. Durante la Conferenza di revisione del Trattato NPT, molti governi hanno richiamato i cinque Stati nucleari al rispetto di quanto dichiarato a gennaio, e a mantenere una posizione di autocontrollo. I rappresentanti di questi cinque Stati hanno tutti fatto riferimento alla dichiarazione congiunta nel parlare delle proprie responsabilità in quanto Stati nucleari. Utilizzando l’esempio di un cerchio per descrivere la responsabilità degli Stati dotati di armi nucleari nel mantenere l’autocontrollo sull’uso di tali ordigni, l’impegno espresso nella dichiarazione congiunta di prevenire la guerra nucleare costituirebbe la metà di tale cerchio. Tuttavia, questo da solo non è sufficiente per eliminare completamente la minaccia dell’uso di armi nucleari. Credo che la chiave per risolvere questa sfida sia che gli Stati si impegnino a adottare il principio di “Non Primo Uso”. Durante la Conferenza di revisione del NPT, la SGI ha collaborato con altre organizzazioni e ONG per organizzare un evento collaterale alle Nazioni Unite incentrato sull’urgenza di adottare questo principio, e sono certo che se le promesse del “Non Primo Uso” saranno collegate alla dichiarazione congiunta di gennaio, il cerchio potrà essere completato, contenendo la minaccia nucleare che da tempo incombe sul mondo e aprendo così la strada per compiere finalmente progressi sul disarmo nucleare. Lo scorso novembre, il Toda Peace Institute, da me fondato, ha organizzato in Nepal un laboratorio per promuovere questo tipo di cambiamento di paradigma. I partecipanti hanno concordato sulla necessità che il Pakistan si unisca alla Cina e all’India nel dichiarare l’impegno a adottare il “Non Primo Uso”, affermando così questo principio in tutta la regione dell’Asia meridionale. Hanno inoltre condiviso opinioni sull’importanza di stimolare il dibattito internazionale sul “Non Primo Uso”, in modo da consentire a tutti gli Stati dotati di armi nucleari di compiere passi in questa direzione. Questo mi riporta alla mente il punto di vista del dottor Joseph Rotblat (1908-2005), che per molti anni è stato presidente del PUGWASH (Pugwash Conferences on Science and World Affairs). Nel dialogo che abbiamo pubblicato insieme parlò di un accordo sul “Non Primo Uso”, affermando che sarebbe il passo più importante verso l’abolizione totale delle armi nucleari e chiedendo la realizzazione di un trattato a tal fine.

Il professor Rotblat era anche profondamente turbato dai pericoli insiti nelle politiche di deterrenza dipendenti dalle armi nucleari e radicate in un clima di paura reciproca. Le strutture di base della deterrenza nucleare non sono cambiate negli anni successivi al nostro dialogo del 2005, e la crisi attuale ha messo in evidenza la necessità vitale per l’umanità di superare queste politiche. L’impegno a adottare il principio di “Non Primo Uso” delle armi nucleari è una misura che gli Stati dotati di armi nucleari possono adottare anche mantenendo per il momento i loro attuali arsenali. Ciò non significa che la minaccia delle circa 13.000 testate nucleari esistenti oggi nel mondo si dissolva rapidamente. Tuttavia, ciò che vorrei sottolineare è che, se questa politica dovesse prendere radici tra gli Stati dotati di armi nucleari, creerebbe un’apertura per eliminare il clima di paura reciproca. Ciò, a sua volta, potrebbe consentire al mondo di cambiare rotta, abbandonando lo sviluppo crescente di armi nucleari basato sulla deterrenza per passare al disarmo nucleare e scongiurare la catastrofe.

Guardando indietro, l’epoca della Guerra Fredda fu segnata da una serie di crisi apparentemente insolubili che scossero il mondo, diffondendo violente ondate di insicurezza e paura. Eppure, l’umanità è riuscita a trovare strategie per uscire con successo da tali crisi. Ne sono un esempio i Negoziati per la limitazione delle armi strategiche (SALT) tra Stati Uniti e Unione Sovietica. L’intenzione di tenere questi colloqui fu annunciata il giorno della cerimonia di firma del NPT del 1968, che era stato stipulato in risposta alle amare lezioni della crisi dei missili di Cuba. I negoziati SALT furono i primi passi compiuti dagli Stati Uniti e dall’URSS per frenare la corsa agli armamenti nucleari sulla base degli obblighi di disarmo nucleare previsti dall’articolo VI del NPT.
Per chi era coinvolto in quei colloqui, non doveva essere facile imporre vincoli alle politiche nucleari sviluppate come prerogativa esclusiva del proprio Stato. Tuttavia, si trattava di una decisione indispensabile per la sopravvivenza non solo dei cittadini delle rispettive nazioni, ma dell’intera umanità. Per me il nome di questi negoziati – SALT (sale) – richiama alla mente la complessità di questo contesto. Avendo sperimentato in prima persona il terrore di trovarsi sull’orlo di una guerra nucleare, le persone di allora fecero emergere un potere di immaginazione e creatività di portata storica. Ora è il momento, per tutti i Paesi e i popoli del mondo, di unirsi per liberare ancora una volta questo potere creativo e dare vita a un nuovo capitolo della storia umana.
Lo spirito e l’unità di intenti che prevalsero al momento della nascita del NPT sono in risonanza e complementari agli ideali che hanno motivato la stesura e l’adozione del TPNW. Mi appello a tutte le parti affinché esplorino nuove strade, e amplino quelle esistenti, allo scopo di unire tutti gli sforzi compiuti per realizzare questi due trattati, traendone gli effetti sinergici per costruire un mondo libero da armi nucleari.

Fonte: Senzatomica

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Note

[1] Nazioni Unite, “Secretary-General’s Remarks for the International Day for the Total Elimination of Nuclear Weapons,” consultato giorno 11 gennaio 2023, https://www.un.org/sg/en/content/sg/speeches/2022-09-26/secretary-generals-remarks-for-the-international-day-for-the-total-elimination-of-nuclear-weapons

[2] Office of the Historian, “Telegram from the Embassy in the Soviet Union to the Department of State,” consultato giorno 11 gennaio 2023,, https://history.state.gov/historicaldocuments/frus1961-63v06/d65

[3] Josei Toda, “Dichiarazione contro le armi nucleari,” consultato giorno 11 gennaio 2023, https://senzatomica.it/dichiarazioni-onu/dichiarazione-contro-le-armi-nucleari/.

[4] Ambassade de France en Italie, “Dichiarazione congiunta dei capi di Stato e di Governo per prevenire la guerra nucleare e evitare la corsa agli armamenti,” consultato giorno 11 gennaio 2023, https://it.ambafrance.org/Dichiarazione-congiunta-dei-capi-di-Stato-e-di-Governo-per-prevenire-la-guerra

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