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Padova – Giornata nazionale di studi : senza ergastoli. Per una società meno vendicativa

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Ristretti Orizzonti – Centro di Documentazione Due Palazzi – Casa di Reclusione di Padova – Università di Padova

 

 Giornata nazionale di studi

 Senza ergastoli. Per una società meno vendicativa

Venerdì 6 giugno 2014, ore 9.30-16.30, Casa di Reclusione di Padova

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Durante un incontro con i detenuti di Ristretti Orizzonti, Agnese Moro sull’ergastolo ha detto che “L’ergastolo è come dire ad una persona ‘ti vogliamo buttare via’, ma io non voglio buttare via nessuno”.

In Italia gli ergastolani condannati in via definitiva al 31 dicembre del 2013 erano 1.583. Circa la metà si trova nei circuiti differenziati, tra regime di Alta Sicurezza e 41 bis. Questo significa che una buona parte di loro è esclusa dalle misure alternative al carcere.

In nome della sicurezza le emergenze non hanno mai una fine e le continue richieste di inasprimenti delle pene hanno portato all’aumento delle condanne all’ergastolo. Ormai, le condanne considerate “esemplari” non vengono date solo per reati legati al crimine organizzato, ma anche per reati in famiglia, dove le storie ci insegnano come la funzione deterrente della pena non ha alcuna efficacia. Ma si può ancora sognare una società che si rifiuta di condannare a vita i suoi membri?

Abbiamo organizzato una giornata di studi rivolta a tutti sul tema dell’ergastolo perché pensiamo che occorre aprire un dibattito, non tra gli “addetti ai lavori” ma dentro alla società, su una giustizia più mite, perché crediamo che un sistema penale più umano renda la società più civile.

“Senza l’ergastolo. Per una società meno vendicativa” è un convegno promosso dall’Università, ma che si svolge in un carcere, poiché queste due realtà, apparentemente lontane, dovrebbero collaborare per dare vita ad un processo di trasformazione culturale, affinché si possa convivere senza il desiderio “di buttare via nessuno”.

1)“No, questa non è giustizia, dovevano dargli non trent’anni ma l’ergastolo!”

Solitamente, si sente parlare di ergastolo quando qualche fatto di cronaca, per la sua stessa natura oppure per una costruzione mediatica, fa inorridire l’opinione pubblica a tal punto, che la condanna è accolta con soddisfazione solo se cala sulla testa del colpevole la spada del carcere a vita. Ci domandiamo allora che cosa è la giustizia: “ottenere giustizia” può essere davvero una questione di anni di galera comminati?

Agnese Moro, figlia di Aldo Moro, uomo politico e giurista ucciso dalle BrigateRosse il 9 maggio del 1978

Intervento di un detenuto ergastolano

 

2) Una società libera dall’ergastolo è possibile?

L’idea della pena che c’è oggi è sempre ed esclusivamente l’idea che la pena deve fare soffrire, e la sofferenza deve essere prima di tutto fisica. Se dolore deve essere, ci può essere “un altro tipo di sofferenza”, un’altra pena anche per reati gravissimi?

Massimo Pavarini, Professore ordinario di diritto penale, Università di Bologna

Intervento di un detenuto ergastolano

 

3) L’ergastolo sta dentro o sta fuori l’orizzonte costituzionale della pena?

L’ordinamento italiano prevede l’ergastolo declinandolo al plurale: comune (art. 22 c.p..), con isolamento diurno (art.  72  c.p.), ostativo (art. 4-bis ord. penit.). Sovraordinata alla legge, c’è però una Carta costituzionale che esige una pena finalizzata alla risocializzazione del reo (art. 27, 3° comma), rifiuta ogni trattamento contrario al senso di umanità (art. 27, 3° comma), vieta la pena di morte (art. 27, 4° comma), vieta la tortura (art. 13, 4° comma), e riconosce come sempre possibile l’errore giudiziario (art. 24, 4° comma). La domanda è giuridicamente doverosa: gli ergastoli rispettano la legalità costituzionale?

Andrea Pugiotto, Professore di diritto costituzionale, Università di Ferrara

Intervento di un detenuto ergastolano

 

4) Si può inasprire ancora il regime di 41-bis?

Sono ormai 20 anni che assistiamo a continui inasprimenti del regime di 41-bis. Tuttavia, dopo le minacce di Toto Riina contro il magistrato De Matteo, registrate e poi trasmesse dai media, il ministro Alfano ha chiesto un ulteriore indurimento. Ma è rimasto ancora qualcosa da togliere nella vita di quei 600 detenuti, quasi tutti ergastolani, segregati in regime di 41-bis?

Maurizio Turco, già parlamentare radicale, autore diTortura democratica. Inchiesta su «La comunità del 41 bis reale»”.

Intervento di un detenuto ergastolano

 

5)Per un ripristino dei diritti sospesi, dopo vent’anni di emergenza mafia

Parlare dell’ergastolo ostativo ci costringe a sollevare il problema di una legge nata sull’onda emotiva delle stragi mafiose di vent’anni fa. Quella legge forse aveva un senso in quel momento storico, ma se l’emergenza implica la sospensione di alcuni diritti per un limitato periodo di tempo, non è giunta l’ora di considerare l’emergenza conclusa e ripristinare tutti i diritti sospesi?

Luciano Eusebi, Professore di diritto penale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore

Intervento di un detenuto ergastolano

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6)Ergastolo ostativo e collaborazione inesigibile

L’art. 4-bis fa coincidere il sicuro ravvedimento esclusivamente con un comportamento di collaborazione fruttuosa con la giustizia. Ma ci sono anche storie di detenuti che non collaborano perché non sanno, o perché non vogliono mettere a rischio la vita dei propri famigliari. Dopo tanti anni di pena, la collaborazione può essere considerata ormai inesigibile?

Carmelo Musumeci e Biagio Campailla, detenuti ergastolani della redazione di Ristretti Orizzonti

 

7)Ma quando un condannato all’ergastolo sarà fuori?

Sempre di più dobbiamo fare i conti con l’ipocrisia di chi dice che l’ergastolo nei fatti non c’è più, perché dopo 26 anni si può ottenere la liberazione condizionale. È vero?

Elton Kalica, Ristretti Orizzonti

Intervento di un detenuto ergastolano

 

8)L’ergastolo come cancellazione fisica per le famiglie

Se lo Stato dovrebbe stare tra la vittima e l’autore di reato come un’entità che sanziona le condotte illegali senza cercare la vendetta, come si può definire uno Stato che in nome delle vittime ricorre sempre di più alla pena estrema, all’ergastolo? Nonostante la Costituzione dica che la pena non può consistere in un trattamento inumano e degradante, l’ergastolo ostativo cancella il condannato dalla società, negando alla famiglia anche la speranza di riavere il proprio caro, vivo.

Ornella Favero, giornalista, direttore di Ristretti Orizzonti

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9) Condannato all’ ergastolo, ma avere un padre è un mio diritto

Si prevede l’intervento di alcuni famigliari di ergastolani ostativi

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10)Una battaglia radicale contro il carcere a vita

Per parlare di temi delicati come l’ergastolo non si dovrebbe più dire “non è il momento, la situazione è difficile…”. DEVE essere sempre il momento per fare con coraggio una battaglia culturale per una giustizia più mite.

Rita Bernardini, segretario nazionale Partito Radicale Italiano

 

Modera Giuseppe Mosconi,Professore Ordinario di Sociologia del diritto, Università di Padova

Interverrà con alcuni pezzi musicali, la pianista e compositrice Alessandra Celletti

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Fonte: Ristretti Orizzonti

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Msf: ‘Curami, Salvami’ – Ferma la tubercolosi multiresistente! Firma l’appello!

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‘CURAMI, SALVAMI’

Unisciti alla nostra campagna #TBmanifesto

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Hai solo pochi giorni per dare il tuo contributo contro la tubercolosi multiresistente (MDR-TB). Firma il nostro Manifesto “Curami, Salvami” e chiedi anche tu, insieme a più di 36 mila persone che l’hanno già fatto, urgenti miglioramenti nelle cure di questa malattia letale. Mancano pochi giorni alla consegna delle firme: il prossimo 19 maggio la nostra attivista Phumeza, a nome di tutti i firmatari, presenterà il Manifesto “Curami, Salvami” all’Assemblea Generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.

La tubercolosi multiresistente è una seria minaccia per milioni di persone in tutto il mondo, compreso il nostro paese dove si sono verificati casi anche in bambini e adolescenti. Con gli attuali strumenti terapeutici, solo la metà dei casi arriva alla guarigione. E le terapie sono terribili: lunghe, tossiche, complesse, costose e dolorose.

Per ottenere terapie più efficaci e salvare più vite dobbiamo far sentire la nostra voce. Aggiungi anche la tua! Firma il Manifesto e diffondilo tra i tuoi contatti per aiutarci a raggiungere un importante obiettivo: 50 mila firmatari prima del 19 maggio.

I leader mondiali della salute non potranno ignorare le richieste di 50 mila persone!

Grazie per la tua partecipazione

.FIRMA  ORA!

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Fonte: Medici Senza Frontiera

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Goodyear e i morti di Cisterna di Latina. Il documentario di Elena Ganelli e Laura Pesino

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Happy Goodyear, il documentario che racconta le morti nella fabbrica di Cisterna di Latina

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Vincitore al Riff 2014, il film è stato proiettato sabato 3 maggio al cinema Oxer di Latina. Considerata come una madre che avrebbe portato lavoro, benessere e ricchezza nelle famiglie dei dipendenti e nella zona depressa pontina, la Goodyear si è rivelata invece una bomba di veleni, disseminatrice di morte. Una strage silenziosa e dimenticata, sullo sfondo di due processi penali.

di Massimo Nardi

«Mi vengono in mente gli amici che stanno male». Poche parole, pronunciate da Fausto Mastrantonio, a fatica, singhiozzando, nel giro di trenta secondi. Un tempo televisivo lunghissimo, un’eternità rispetto a quelle nove poche parole. Secondi e parole che racchiudono in un attimo tutta la disperazione, la sofferenza e l’angoscia di un ex operaio della Goodyear Spa, la cui intervista apre Happy Goodyear, film documentario sugli ex operai della multinazionale di pneumatici con sede a Cisterna di Latina, realizzato da Elena Ganelli e Laura Pesino, e proiettato nei giorni scorsi al cinema Oxer di Latina, in una sala gremita all’inverosimile. Fausto Mastrantonio, a cui il docufilm è dedicato, non vedrà purtroppo la fine delle riprese. E’ morto di tumore l’1 gennaio 2013, giorno di Capodanno. Data che darà vita al titolo Happy Goodyear. Ma Fausto è solo uno dei circa 200 casi accertati di morti per tumore legati direttamente al ciclo di lavoro della fabbrica. Considerata come una madre che avrebbe portato lavoro, benessere e ricchezza nelle famiglie dei dipendenti e nella zona depressa pontina, si è rivelata invece una bomba di veleni, disseminatrice di morte. Una delle tante sparse in Italia, con cui adesso bisogna fare i conti. Questi morti, secondo il comitato dei familiari delle vittime, sono da imputare ai veleni respirati in fabbrica durante il ciclo di produzione delle gomme. Un numero destinato ad aumentare ancora, visto il lungo periodo di latenza di molte patologie tumorali e neoplasie varie, non tutte riconosciute in sede di dibattimento. Intanto l’ecatombe di operai non cessa. Una strage silenziosa e dimenticata, sullo sfondo di due processi penali, di cui uno appena chiuso con l’assoluzione di tutti gli imputati tranne uno.

«Il documentario è nato per raccontare l’inchiesta giudiziaria che stavamo già seguendo come giornaliste – affermano le autrici, Elena Ganelli e Laura Pesino – E, mano a mano che andavamo avanti, ci siamo rese conto della sofferenza delle famiglie e abbiamo quindi deciso di sottolineare il lato umano di questa vicenda, non dimenticando però di evidenziare le responsabilità degli addetti ai lavori, dai lavoratori stessi, noncuranti dei sistemi di protezione, ai dirigenti, ai sindacati e ai medici compiacenti».

Aperta nel 1965 e chiusa nel 2000, la Goodyear approda in Italia grazie ai fondi della Cassa del Mezzogiorno, stabilendosi in provincia di Latina, nel comune di Cisterna, una piccola città con economia prevalentemente agricola, primo avamposto del Centro Sud. Diventa così il simbolo dell’industrializzazione del territorio. Occupa per decenni migliaia di persone tra le città della provincia pontina e Roma, arrivando a toccare picchi di produzione di ventimila pneumatici al giorno. Per tutti è “mamma Goodyear”, che strappa gli uomini alla disoccupazione, dà lavoro e stabilità economica a famiglie monoreddito, consente di coltivare il sogno dei figli all’università e apre le porte anche a mogli e bambini in occasione dell’annuale “festa della famiglia”. Ma non è tutto oro quel che luccica. Happy Goodyear, vincitore al Riff, Roma Independent Film Festival 2014, come miglior documentario italiano, racconta, attraverso la voce di quattro ex operai, le precarie condizioni di lavoro, l’assenza di norme di prevenzione e sicurezza, la superficialità delle visite mediche, la preoccupazione che inizia a serpeggiare tra gli operai dopo i primi casi di tumore. Protagonista del documentario è Agostino Campagna, operaio e rappresentante sindacale, che nel 2000, alla chiusura della fabbrica, comincia ad annotare su un’agenda rossa i nomi dei colleghi e amici che si ammalano, poi a raccogliere casa per casa le loro cartelle cliniche. E’ lui che accompagna gli spettatori nel viaggio sul territorio di Cisterna, tra fabbriche ormai dismesse, campagne abbandonate e nuova edilizia, fin dentro le case degli operai e dei parenti delle vittime, raccontando il dramma silenzioso che dura tuttora, con altre vittime e nuovi processi. «Nel 1992 cominciai lo sciopero della fame – racconta Agostino – denunciando, anche attraverso l’affissione di manifesti per tutta Cisterna di Latina, che nella nostra fabbrica si moriva di tumore. Ma la risposta delle autorità sanitarie era che i valori ematici erano nella norma e che, quindi, potevamo stare tranquilli. La cosa dunque finì lì. Fu nel 2000, quando la fabbrica chiuse e ci ritrovammo in pensione, che cominciai a notare che molti miei ex colleghi si ammalavano di tumore. Pian piano se ne andavano silenziosamente. Decisi quindi di annotare tutti i casi. Siamo arrivati a 250 morti e 50 operati». Più di 150 le sostanze utilizzate nella fabbrica: polvere di nero fumo, fibre di amianto, solventi, vernici, carbon black, ammine aromatiche, derivati del benzene, pigmenti, collanti, silice, talco. Gli operai lavorano a mani nude o con guanti di amianto per resistere alle elevatissime temperature. Mangiano nella mensa vestiti con le tute blu di lavoro. Mensa peraltro separata dai reparti di produzione da una semplice porta. Nessuno di loro indossa mascherine. Nessuno conosce la tipologia delle sostanze che maneggia ogni giorno né tantomeno i rischi che comportano per la salute, perché i composti chimici che arrivano in fabbrica sono tecnicamente coperti da segreto industriale, identificati da codici o nomi di fantasia. I dirigenti tacciono consapevolmente, mentre gli operai, nonostante la doccia in fabbrica, tornano a casa coperti di nero, perfino dentro gli occhi, e maleodoranti. Di polvere nera restano impregnati gli indumenti, la biancheria, le lenzuola, le federe dei cuscini, nonostante i lavaggi. «A distanza di tanti anni – racconta un ex operaio – quando dormo lascio ancora un’ombra velata sul cuscino». Alla fine degli anni ’80 un lavoratore scopre di avere un tumore ai polmoni, ma la circostanza non suscita particolare attenzione. Il caso sembra isolato. Le visite mediche interne allo stabilimento, condotte dai medici dell’Università Cattolica di Roma, continuano a dare sempre lo stesso risultato sui libretti sanitari di fabbrica: “niente di rilevante”. A questo si aggiungono i ritardi temporali: visite semestrali effettuate annualmente. E libretti sanitari misteriosamente scomparsi. La storia va avanti fino all’intervento di Agostino Campagna.

Nel 2000 nasce quindi l’Associazione familiari e vittime della Goodyear che un anno più tardi, ad aprile, deposita una denuncia contro la multinazionale presso la Procura di Latina, proprio mentre la fabbrica decide di chiudere i battenti e di delocalizzare la produzione in Polonia. L’inchiesta muove i suoi primi passi, coordinata dal sostituto procuratore Gregorio Capasso, e accerta, grazie a migliaia di pagine di perizie e consulenze medico-legali, l’esistenza di un evidente nesso di causalità tra le sostanze utilizzate nella produzione di pneumatici, l’assenza di dispositivi di protezione e i tumori contratti dagli operai impiegati nella fabbrica di Cisterna. Le accuse ipotizzate per nove ex dirigenti dello stabilimento sono omicidio colposo plurimo e lesioni plurime aggravate. Una tesi che sarà sostanzialmente accolta dal giudice del Tribunale di Latina che, dopo quattro anni di processo e circa 70 udienze, il 1 luglio del 2008 emette una sentenza di condanna a 21 anni complessivi di reclusione a dirigenti e ex direttori, riconoscendo il nesso di causalità tra le sostanze della fabbrica e i tumori sviluppati ai polmoni, alla laringe e allo stomaco. Sentenza però ribaltata dalla prima sezione penale della Corte d’Appello di Roma nel 2013: assolti perchè il fatto non sussiste. Michael Claude Murphy, Antonio Corsi e Adalberto Muraglia non sono colpevoli delle morti di cui erano accusati. Per uno solo degli ex dirigenti Goodyear, Perdonato Palusci, la condanna di primo grado, a un anno e sei mesi, è stata confermata, ma legata a una soltanto delle parti civili coinvolte nel processo. Mentre altri due tronconi processuali sono in essere, uno a Roma e l’altro a Latina. «Io quello che dovevo fare, l’ho fatto – chiude amaramente Agostino Campagna – Ho partecipato a 70 udienze a Latina, una decina a Roma, ho raccolto testimonianze e parlato con i dirigenti sindacali. Ma più di questo non posso fare. Ora sta alle istituzioni prendere in mano questa situazione e portarla nelle sedi che contano. Altrimenti si continuano a fare due torti: una ai morti, e una ai vivi. Perchè la bonifica delle macerie della fabbrica e di tutta la zona non è stata ancora fatta. Bisogna fare giustizia, una volta per tutte».

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Trailer

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Fonte: Il Cambiamento

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