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Il nuovo motore di ricerca di Facebook e la più completa violazione della privacy

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Il motore di ricerca Graph Search: la più vasta invasione della privacy mai vista

di Ari Melber

Eccovi una delle leggi ferree di Internet: l’accento di una rete sociale sulla monetizzazione del proprio prodotto è direttamente proporzionale alla perdita di riservatezza dell’utente.

A un estremo ci sono reti come Craiglist e Wikipedia che perseguono profitti relativamente limitati e garantiscono un anonimato e una riservatezza quasi assoluti. All’altro estremo dello spettro c’è Facebook,  una società da 68 miliardi di dollari che cerca costantemente modi per monetizzare i propri utenti e i loro dati personali.

Il più recente programma di Facebook, Graph Search, può essere la più vasta violazione della riservatezza mai vista da parte della società.

Facebook ha annunciato Graph Search a metà gennaio, ma non lo ha ancora lanciato ufficialmente. Secondo i materiali della società e alcuni rapporti indipendenti, tuttavia, il programma spalanca il deposito di informazioni personali di Facebook per consentire le ricerche e lo sfruttamento dei dati [data mining] di un vasto segmento del miliardo di utenti di Facebook. Gli utenti che scelgono l’opzione “pubblico” nel loro profilo stanno per essere esposti al più vasto pubblico mai esistito.

Facebook lo considera il futuro. In un video di annuncio del programma, Mark Zuckerberg, fondatore e direttore generale della società, promuove Graph Search come uno dei tre pilastri centrali dell’”ecosistema Facebook”.

Gli incentivi finanziari sono chiari. Google, con la sua dimensione tripla di quella di Facebook, realizza la maggior parte delle sue entrate mediante pubblicità nelle ricerche. Così mentre le società ospitano i due siti più visitati degli Stati Uniti, Google spreme più soldi e in meno tempo dai suoi utenti. La ricerca offre a Facebook un modo per vendere di più ai suoi utenti attivi e, naturalmente, per vendere i suoi utenti ad altri. E’ qui che entra in gioco Tom Scott.

Scott, un programmatore inglese ventottenne, burlone ed ex candidato politico – è stato in lista in una piattaforma “Pirata” per smantellare le tasse sul rum – ha lanciato la sua contestazione anticipata di Graph Search. Il suo nuovo blog, “La verità su Graph Search di Facebook” utilizza una versione beta del prodotto per rivelarne il lato oscuro.

Con pochi click Scott mostra come Graph Search rivela i nomi veri e altre informazioni identificative per ogni genere di combinazione problematica, dall’imbarazzante all’ipocrita alle Liste dei Nemici prefabbricate per i regimi repressivi. Le sue ricerche includono madri cattoliche in Italia che hanno dichiarato una preferenza per i preservativi Durex e, più sinistramente, residenti cinesi che hanno membri della famiglia che amano il Falun Gong (ha cancellato i nomi veri, ma presto chiunque potrà lanciare queste ricerche).

“Le burle su Graph Search sono un buon modo per allarmare le persone e indurle a controllare le proprie impostazioni relative alla riservatezza,” dice Scott, che era stato incluso a caso in un campione di prova per l’accesso anticipato al programma. “Non sono sicuro di sostenere tesi più approfondite sulla riservatezza,” ha dichiarato a The Nation. Può essere questo che ha reso così efficace lo spensierato tentativo di Scott.

Nel giro di pochi giorni dal lancio il blog di Scott è diventato, sì, virale. Afferma di aver attirato più di un quarto di milione di visitatori, grazie a una vasta gamma di attenzione della rete, e ha attizzato un maggior controllo di Facebook.

Mathew Ingram, scrittore di tecnologia e fondatore del congresso sulla rete digitale, sostiene che   i risultati della ricerca di Scott evidenziano il rischio di qualcosa di più della “riservatezza” [privacy] tradizionale. Alcuni pragmatici e difensori di Facebook sottolineano che le informazioni di questi risultati di ricerca sono già resi disponibili dagli utenti, così sarebbero questi ultimi da critica e non la tecnologia. (Sapete, Facebook non uccide la riservatezza, la uccide la gente). Ma Ingram contesta questo ragionamento evocando un paradigma del filosofo Evan Selinger, che sostiene che queste questioni, in realtà, si scontrano con i presupposti e i confini dell’oscurità digitale.

“Essere invisibili ai motori di ricerca accresce l’anonimato,” scrive Selinger. “Lo stesso dicasi per l’uso delle impostazioni della riservatezza e per gli pseudonimi, [e] poiché poche rivelazioni in rete sono davvero confidenziali o altamente pubblicizzate, la parte del leone della comunicazione sulle reti sociali ricade nell’esteso continuo dell’oscurità: una gamma che spazia dal completamente celato al totalmente evidente.”

Il motore di ricerca di Facebook è un altro passo nel suo lungo disegno di promettere “un ambiente sicuro e affidabile” per una condivisione potenziata – parole di Zuckerberg – spalancando al tempo stesso quello Spazio Sicuro al miglior offerente. Diventano allora cruciali l’accesso a e il contesto di quello spazio. Dopotutto, molti acconsentirebbero a condividere singoli frammenti di informazioni personali separatamente, mentre recalcitrerebbero a diffondere un dossier di tutte quelle informazioni assieme. La distinzione riguarda più i principi dell’oscurità e dell’accesso che la riservatezza binaria – un concetto che è svanito con il proliferare delle reti sociali – e riceve sostegno anche dalla letterature sui servizi d’informazione e sullo spionaggio.

La CIA, ad esempio, ha da lungo tempo aderito alla Teoria del Mosaico per la raccolta di informazioni. L’idea è che mentre frammenti apparentemente innocui di informazione non hanno valore se considerati singolarmente, quando messi insieme possono formare un’informazione olistica significativa. La Marina ha spiegato una volta l’idea in una dichiarazione sulla segretezza governativa che, se ci si riflette, potrebbe applicarsi al vostro profilo Facebook:  a volte “pezzi apparentemente innocenti di informazione, quando assemblati, possono rivelare un quadro compromettente.”

Gli incentivi di Facebook sono, quasi sempre, di continuare ad assemblare le informazioni e a svelare quel quadro.

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Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

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Fonte:  Z Net Italy

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Facebook come Minority Report?

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Facebook dentro le chat, contro il crimine

Le conversazioni monitorate in cerca di parole chiave e comportamenti sospetti. Se scatta l’allarme parte la segnalazione dei profili alla polizia. La precrimine del social network?

di Mauro Vecchio

Una vasta operazione di monitoraggio delle conversazioni, messa in piedi da Facebook e altre piattaforme social per segnalare agli ufficiali di polizia le più disparate attività criminose. L’esclusiva ha fatto rapidamente il giro del web specializzato, a partire da un’inchiesta pubblicata dall’agenzia di stampa Reuters.

I tecnici del social network di Menlo Park avrebbero implementato uno specifico strumento software per il monitoraggio della chat interna, a caccia di un gruppo di parole chiave sospette. Il programma di sorveglianza è emerso dopo l’arresto di un cittadino statunitense che aveva programmato un appuntamento con una ragazza di appena 13 anni.

I predatori sessuali risultano infatti tra le vittime preferite dal vasto sistema di sorveglianza implementato da Facebook e altre reti sociali. Il tool procede con l’analisi del linguaggio tra i messaggi in tempo reale del sito in blu, andando ad esempio a scovare la differenza d’età tra i protagonisti della conversazione.

In caso di comunicazioni sospette, il programma procede con l’immediata segnalazione dei vari profili ai responsabili di Facebook, che possono poi contattare la polizia per denunciare il caso. Non è dato sapere se il sistema preveda l’archiviazione degli stralci di chat all’interno dei server, una problematica che farebbe insorgere gli attivisti della privacy.

Da parte degli stessi vertici del sito pare non vi sia nessuna intenzione di spiare in massa le attività degli utenti. Solo utilizzare una tecnologia capace di prevenire crimini come ad esempio l’abuso sessuale sui minori. Facebook è in grado di consegnare alle autorità le informazioni personali degli utenti, in presenza di una specifica richiesta – subpoena – da parte di un giudice.

Qui si tratta però di una consegna automatica in base all’analisi delle parole chiave all’interno di una conversazione in chat. Facebook ha sottolineato come la condivisione dei dati con la polizia si basi su “sospetti effettivi”. Ovvero per prevenire un crimine arrestando un predatore sessuale prima che incontri la sua vittima. Resta da chiarire se, nonostante le buone intenzioni, la faccenda non superi una certa linea: non è che Facebook ha inventato la pre-crimine?

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Fonte: Punto Informatico

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URGENTE!!! FACEBOOK #nontoccarelaprivacy#

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da: Operation Payback ITA

ATTENZIONE!!!! URGENTE!!!! La privacy non si vende! ..Figuriamoci se si regala! FACEBOOK ha aperto un referendum ai suoi 900.000.000 di iscritti dal 1 giugno 2012 al 8 giugno 2012 per avere la possibilità di vendere i nostri dati. Per negargli questo c’è bisogno del quorum del 30%, perciò VOTATE tutti la 2° opzione “Documenti esistenti” per non far vendere i nostri dati! Non siamo stati avvisati prima, neanche nel modo in cui ci fà notare le novità introdotte in Facebook con dei fumetti al Login, e già questa è una vergogna!, in questi 4 giorni di tempo rimasto accorrete a VOTARE!

Traducete questo messaggio in altre lingue e DIFFONDETE a più non posso! Notizia riportata dal CORRIERE della SERA!

Per VOTARE eccovi il seguente link da cliccare: https://apps.facebook.com/fbsitegovernancevote/contests/230120

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“…Per Facebook è d’altra parte importante poter gestire con mano più libera i dati personali degli utenti, conquistando la libertà di fornirli a terze parti e poter creare così un business interessante: secondo diversi analisti il tonfo del valore delle azioni si spiega in parte proprio col fatto che Facebook non produce niente, né vende niente; tutto ciò che ha è costituito soltanto dai dati degli utenti.

Si tratta di una merce potenzialmente molto preziosa, ma anche delicata: se il social network riuscirà a dimostrare di poterne fare commercio con l’approvazione dei titolari delle informazioni stesse potrà forse dire di aver trovato un modo per fermare la discesa in Borsa…”   (fonte: ZeusNews)

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