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Napoli :::LIVE for PALESTINE::: Concerto per la Palestina e per la Freedom Flotilla 3

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“…La Freedom Flotilla 3 è sempre più vicina: il 6 settembre, il veliero Estelle è approdato nel porto spagnolo di Alicante, dove è stato accolto da esponenti politici della sinistra, lavoratori ed attivisti del movimento di solidarietà con il popolo palestinese. Nei giorni successivi, ad Alicante si sono tenute numerose iniziative, quali conferenze, manifestazioni, concerti e visite guidate sulla nave, confermando l’interesse e la partecipazione che Estelle ha già suscitato nelle sue tappe precedenti in Svezia, Norvegia, Francia e nel Paese Basco. Prossima tappa, Barcellona, poi un porto francese del Mediterraneo e, infine, le tappe italiane a La Spezia e Napoli, le ultime prima di volgere la prua verso la Palestina…”  (leggi tutto)

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Napoli –  Sabato 22 Settembre
Mostra d’Oltremare
piazzale tecchio (fuorigrotta) 

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::: LIVE for PALESTINE :::

Concerto per la Palestina e per la Freedom Flotilla 3

dalle ore 20:30 si succederanno sul palco 6 gruppi fino alla notte…

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– Napoli Rockers Syndicate
– Slivovitz
– Rione Junno
– Indubstry

:::A BREVE TUTTI I NOMI DEI GRUPPI CHE HANNO ADERITO AL CONCERTO:::


le sottoscrizioni all’ingresso andranno interamente a finanziare la Freedom Flotilla 3, imbarcazione che, partita dai porti svedesi, farà scalo a Napoli prima di partire alla volta di Gaza per provare a rompere simbolicamene il blocco in cui i palestinesi sono costretti dal governo israeliano.

SPINGIAMO IN MARE LA ESTELLE!

per info
facebook: giulia valle
web:  Freedom Flotilla Italia

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COME RAGGIUNGERE LA MOSTRA D’OLTREMARE… come preferisci!
In auto: A 5 minuti dalle uscite della Tangenziale di Fuorigrotta e Agnano
In treno: A 5 minuti a piedi dalla stazione di Campi Flegrei
In metropolitana: A 5 minuti a piedi da tre linee della Metropolitana di Napoli.
linea 2: stazione Campi Flegrei
linea 6: stazione Mostra
Cumana: stazione Fuorigrotta
In autobus: A 5 minuti a piedi dallo Stazionamento di Piazzale Tecchio (Linee 180,181, 615, C1, C2, C6, C7, C8 e R6)
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Il processo a Gaza per l’omicidio di Vittorio Arrigoni

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di Ramzy Baroud

C’era una volta un giovane di una piccolissima cittadina italiana, chiamata Bulciago, che desiderava cambiare il mondo. Appena finiti gli esami iniziò la sua ricerca. Viaggiò in lungo e in largo e quando arrivò a Gerusalemme nel 2002 seppe di aver trovato il suo posto.

Nel 2008 quel giovane, Vittorio Arrigoni, salpò per l’alto mare su una piccola imbarcazione. Il suo scopo era di contribuire a fermare l’assedio imposto a una popolazione da lungo tempo sofferente che viveva nella minuscola Striscia di Gaza. In una nota di diario che è stata recentemente pubblicata in un libro molto atteso, Marinai della Libertà, Arrigoni scrisse:

“La storia siamo noi; la storia non sono i governi codardi; con la lealtà a chiunque abbia l’esercito più forte; la storia è fatta dalla gente comune.”

La storia di Vittorio considera la ‘gente comune’ come i protagonisti che possono cambiare il mondo: marinai coraggiosi che sono in grado di sfidare la grande potenza degli eserciti, medici che balzano oltre i confini per salvare delle vite, scrittori, insegnanti, oratori, musicisti e gente di ogni provenienza.

Il secondo nome di Vittorio era Utopia, ma la sua non era assolutamente un’impresa utopistica. Era molto reale, e Vittorio stava segnando la via per altri. Una vota a Gaza era deciso a portare la sua missione sino alla fine, nonostante avesse molti motivi forti per andarsene. Nel settembre del 2008 era stato ferito dalla marina israeliana mentre accompagnava pescatori palestinesi nelle acque territoriali palestinesi. Un mese dopo era stato arrestato – o, meglio, sequestrato – dall’esercito israeliano e poi estradato. Un mese dopo era tornato, appena in tempo per riferire sulla cosiddetta Operazione Piombo Fuso. E’ stata una guerra unilaterale contro Gaza, tra il dicembre 2008 e il gennaio 2009, in seguito al fallimento dell’assedio nel conseguire gli obiettivi politici israeliani. La guerra di ventidue giorni uccise più di 1.400 persone e ne ferì migliaia di altre. Vittorio era là per testimoniare tutto ciò. Mentre tanti accendevano e spegnevano la guerra sui loro telecomandi, Vittorio accompagnava ambulanze nel mezzo della notte, confortava i feriti, piangeva con le persone in lutto, si appellava al mondo per aiuto e cercava di sopravvivere egli stesso alla guerra.

Inviava dispacci giornalieri ai media italiani, scriveva sul suo blog e agli amici in tutto il mondo. Il suo libro ‘Restiamo umani’ offre un’occhiata alla coraggiosa esperienza dell’uomo. Nella sua prima nota scriveva da attivista italiano. Alla fine era un palestinese assediato a Gaza.

Agli occhi di alcuni era un uomo pericoloso. Un sito web di estrema destra con sede negli Stati Uniti ne sollecitò l’uccisione. Non era Vittorio la persona che allarmava Israele, bensì l’idea simbolizzata da lui e da altri come lui: una sfida alla prevedibilità di un conflitto da un oppressore potente e un oppresso impotente ma non succube.  Per quanto riguardava Israele, un idealista di una cittadina dell’Italia settentrionale non aveva niente a che fare con Gaza, dove la gente è ingabbiata indefinitamente in una prigione all’aria aperta. Né Vittorio né altri attivisti internazionali dovevano disturbare l’esperimento disumano.

Tuttavia la storia di Vittorio ebbe una svolta inattesa. Nell’aprile del 2011 fu sequestrato e ucciso. I suoi assassini furono palestinesi di Gaza, comandati da un misterioso personaggio giordano le cui origini e i cui motivi restano non chiari. Fu una fine orribile e sconfortante di una storia che non avrebbe mai dovuto avere un così brutto epilogo.

C’è voluto molto tempo alla società palestinese per venire a patti con il fatto che gli assassini di Vittorio erano effettivamente di Gaza, mentre altri hanno gongolato trionfanti. I detrattori di Vittorio stavano conducendo una guerra mediatica per diffamare i palestinesi, gli attivisti internazionali e l’italiano apparentemente malconsigliato che riteneva che la gente comune potesse cambiare la storia.

Scrivendo sul Jewish Chronicle lo storico Geoffrey Alderman ha dichiarato: “Pochi eventi – nemmeno l’esecuzione di Osama bin Laden – mi hanno dato, nelle settimane recenti, un piacere più grande della notizia della morte del cosiddetto “attivista pacifista” Vittorio Arrigoni” (come citato da Harriet Sherwood il 18 maggio 2011 nella rubrica “Visto da Gerusalemme”). Anche se la Sherwood ha trovato ‘sconvolgente’ il commento, il piacere per l’uccisione di un attivista pacifista è del tutto coerente con gli incessanti sforzi israeliani di ‘scoraggiare’ gli attivisti internazionali dal mostrare solidarietà ai palestinesi. Hamas, che controlla la Striscia di Gaza dalla frattura con il rivale Fatah nel 2007, è sembrato sincero nel suo tentativo di catturare gli assassini di Vittorio. Un’indagine ha puntato rapidamente a gruppi salafiti, Tawhid e Jihad, all’Esercito dell’Islam e ad altri. E’ seguita una caccia all’uomo che ha portato all’uccisione di un cittadino giordano, Abbad a-Rahman al-Brizat, e di un profugo palestinese, Balal al-Omari. Altri sono stati catturati e nel settembre del 2011 è iniziato un processo.

Il processo ai presunti assassini di vittorio non è stato esattamente un modello di trasparenza. Per il 4 settembre è prevista la pronuncia del verdetto contro i quattro accusati di essere implicati nell’omicidio. Al-Brizat, il giordano, era forse la chiave più importante del processo. E’ morto e le accuse che il suo vero scopo consistesse nello scambiare Vittorio con un leader salafita incarcerato, Hisham al-Saedni, restano non verificate. Solo undici giorni prima dell’omicidio di Vittorio, un altro attivista, Juliano Mer-Khamis, era stato ucciso a Jenin, nella West Bank. La tempistica delle uccisioni è sconcertante e suggerisce un complotto più vasto. Hamas e altri dirigenti palestinesi hanno suggerito che ci sia la mano di Israele in entrambe le vili azioni, ma il filo deve essere ancora identificato e sbrogliato.

In precedenza, in questo mese, Hamas ha liberato per mancanza di prove al-Maqdissi, l’uomo che i presunti jihadisti volevano liberare.  Alcuni giorni dopo l’uccisione dei soldati egiziani nel Sinai, [Hamas] ha operato un giro di vite sul suo gruppo. Il complotto qui comincia ad allargarsi oltre la capacità di una qualsiasi narrazione chiara di spiegare i fili mancanti.

Il 4 settembre quattro uomini attenderanno il verdetto di un tribunale militare di Gaza. Ma molto di più sarà sotto processo quel giorno, non ultima la credibilità del sistema legale di Gaza. Molte domande dovranno trovare risposta per capire veramente cosa sta succedendo nella Striscia di Gaza e chi sta dietro i piani segreti.

L’uccisione di Vittorio è stata mirata non solo a ucciderlo come persona. Ha inteso anche distruggere l’idea stessa che era salpata con lui e i suoi amici per Gaza nel 2008: che la gente comune è la storia e che essa, e soltanto essa, alla fine farà la differenza in un mondo governato meramente dall’interesse e dalla forza militare.

Sì, la giustizia per Vittorio Utopia Arrigoni è di primaria importanza, ma ci aspettiamo che il governo di Gaza stenda più che un semplice verdetto ma anche delle risposte a quelli che cercano di uccidere il sogno di Vittorio, assieme alla nostra umanità.

Ramzy Baroud (www.ramzybaroud.net) è un opinionista internazionale indipendente e direttore di PalestineChronicle.com. Il suo libro più recente è  ‘My Father Was a Freedom Fighter: Gaza’s Untold Story’ (Pluto Press, London). [Mio padre era un combattente per la libertà: la storia non narrata di Gaza].

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Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://www.zcommunications.org/arrigoni-s-murder-trial-in-gaza-answers-not-just-a-verdict-by-ramzy-baroud

traduzione di Giuseppe Volpe

Traduzione © 2012 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

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Approfondimento (madu)

Vittorio Arrigoni

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Israele si auto-assolve. Rachel Corrie morì per uno spiacevole incidente!

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Israele: “Rachel Corrie morì per sbaglio”

di Emma Mancini

Roma, 28 agosto 2012, Nena News – Israele non è colpevole. Questa la sentenza emessa oggi dal tribunale di Haifa che ha così rigettato l’accusa di negligenza mossa contro lo Stato israeliano per l’omicidio dell’attivista americana Rachel Corrie. Israele si auto-assolve.

A muovere l’accusa contro Tel Aviv erano stati i genitori di Rachel, secondo i quali Israele andava riconosciuto colpevole di omicidio e di aver condotto un’inchiesta incompleta e parziale. Di diverso parere la corte di Haifa: il giudice Oded Gershon ha stabilito che lo Stato non è responsabile per “nessun danno causato” perché si è trattato solo di “uno spiacevole incidente“. Insomma, secondo il tribunale Rachel Corrie è morta per sbaglio ed ne è la sola responsabile perché “non ha lasciato l’area come qualsiasi persona di buon senso avrebbe fatto”.

Ma non solo. La corte di Haifa ne ha approfittato per sottolineare un’altra clausola, fondamentale per la legge israeliana: l’esercito è assolto da ogni accusa perché l’evento evento si è verificato “in tempo di guerra”. Si è trattato, cioè, di “un’attività di combattimento”, conseguente ad un fantomatico attacco subito da Israele poche ore prima nella Striscia di Gaza.

Ventitré anni, residente ad Olympia e attivista dell’International Solidarity Movement, Rachel è morta il 16 marzo 2003, schiacciata da un bulldozer militare israeliano. Un Caterpillar D9-R guidato da un soldato israeliano l’ha uccisa mentre manifestava pacificamente contro la demolizione di case palestinese a Rafah, nella Striscia di Gaza.

Nel 2005, a due anni dalla morte di Rachel, due anni trascorsi senza risposte da parte dello Stato israeliano, la famiglia Corrie ha deciso di muoversi. E ha fatto causa a Tel Aviv. A seguire la loro denuncia, l’avvocato Hussein Abu Hussein che ha accusato lo Stato di Israele di essere responsabile dell’uccisione di Rachel Corrie e di aver condotto un’indagine incompleta e poco credibile.

E così, dopo la lettura della sentenza, questa mattina il primo commento di Cindy Corrie non lascia spazio a commenti: “Sono ferita”, ha detto la madre di Rachel alla stampa. Immediato l’intervento dell’avvocato Abu Hussein, secondo il quale la corte ha ancora una volta garantito l’impunità dell’esercito: “Sapevamo dall’inizio che si trattava di una battaglia in salita per ricevere risposte sincere e giustizia, ma siamo convinti che questo verdetto distorca le prove presentate alla corte”.

Pochi giorni fa, anche l’ambasciatore statunitense in Israele, Daniel Shapiro, aveva espresso le sue preoccupazioni per il modo in cui Israele ha condotto le indagini sul caso Corrie, definendole “una farsa”. Di diverso avviso l’opinione pubblica israeliana che non ha mai mostrato alcun interesse per la morte di Rachel, avvenuta in piena Seconda Intifada, la sollevazione popolare palestinese considerata dallo Stato ebraico un atto di guerra.

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Fonte: Nena News

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