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Messaggi da Obungos: John ed il vecchio

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Da: John (Ricordi da Las Vegas)

a: maribù duniverse

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Seduto sul marciapiede osservavo la gente passare. Vagavano creature dai coloriti cerulei e dagli sguardi vuoti, privi d’espressione. Quel giorno sembravano tutte allegramente esasperate e sinceramente annoiate, ma certe di ciò che dovevano fare: acquistare e consumare.

Quel giorno era particolare: esso chiudeva l’anno 1999.

Spostando lo sguardo lo vidi: lui era lì, immobile, dinanzi ad una vetrina. Capii dall’espressione che il suo sguardo andava oltre la vetrina, oltre il palazzo, forse oltre la vita stessa.

Chissà in quell’istante quali erano i pensieri che s’intrecciavano nella sua testa. Probabilmente non aveva dimora e vagava per la città in cerca di un posto dove dormire o di qualcosa da mangiare. Forse era ubriaco ed in cerca del suo cane, dei compagni, o della solitudine che aveva perso in un momento di distrazione. Era vecchio, troppo vecchio per sognare ed avrei voluto regalargli un po’ della mia euforia.

Le strane creature, ormai sempre più numerose continuavano a passarmi davanti e sempre più freneticamente. Erano ormai diventate troppe, un’immensità ed io avevo perso il vecchio. Allora mi alzai e lo cercai: si stava inginocchiando e alzando le braccia al cielo lo sentii urlare:

– Maledetta! Perché non vieni? Sei forse stanca anche tu?

Poi si lasciò cadere. Mi feci spazio tra la folla e di corsa attraversai, mi avvicinai e gli sollevai la testa. Carezzandogli il viso avvertii sotto la mano le sue profonde rughe, in quell’attimo mi sembrò di sfiorare qualcosa di sacro. Aprì gli occhi, poi li sbarrò e si aggrappò al mio braccio. In quell’istante lessi sul suo volto il terrore. Mosse leggermente le labbra e sussurrò:

– Ti prego, non chiamare nessuno. Finalmente è venuta, sii umano lascia che mi prenda qui!

Lo appoggiai al muro, lo guardai negli occhi e per la prima volta, come un bambino sentii dentro di me un immenso dolore, vero, puro. Gli abbozzai un misero sorriso e sparii tra la folla.

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John

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Messaggi da Obungos: Yasser

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Messaggi da Obungos

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Da: Yasser

a: maribù duniverse (madu)

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Per sopravvivere bisognava lavorare, non sognare! In quel periodo non c’era tempo per sognare!

Sognare era un lusso!

Ma io, come tutti i ragazzi dei popoli, volevo sognare. Quello spazio onirico mi era dovuto!

Dimenticavo però che la guerra, signora e padrona, non faceva differenze e così, ogni notte quello spazio me lo rubava riempiendomelo d’incubi. Solo una volta, stranamente riuscii ad ingannarla.

Una notte sognai un’immensità di petali di rosa che, trasportati dal vento, passavano sul mio paese. Un paese terrorizzato e pietrificato nel suo dolore. Ad un tratto i petali cominciarono a cadere andando a posarsi sul capo d’ogni bambino, d’ogni ragazzo regalando loro un sorriso.

D’improvviso tutto si animava: i ragazzi cominciavano a correre gioiosamente per le vie, risvegliando la città ed urlando che la paura ed il terrore erano stati sconfitti e che ora, ognuno poteva vivere serenamente la propria età. Ognuno poteva amare, giocare, sognare.

Ognuno doveva semplicemente vivere la propria vita!

La gioia fu breve! La signora guerra si accorse dell’inganno ed allora, con un’esplosione manifestò la sua rabbia. Un attimo ed il mio sogno fu spazzato via dal vento dell’orrore!

Mi svegliai sotto le bombe che piovevano dal cielo.

Piangendo cominciai a correre verso un rifugio. Era passato circa un mese da quel sogno e quel giorno, come sempre, ero in cerca di un maledetto lavoro. Insieme a tanta gente mi avviavo su per le scale che dalla piazza portavano alla strada principale del paese. Salendo cercavo di non cadere tra i poveri che chiedevano l’elemosina. Mi fermai per riposarmi e voltandomi vidi tante mani! Mani piccole, mani vecchie, mani grandi, mani storpie. Mani, che inquiete nell’aria, cercavano aiuto, che chiamavano, che salutavano. Mani che invitavano ad un momento di riflessione. C’era una donna, una donna molto vecchia, che con lo sguardo cercava solo un po’ di comprensione, ma era sola tra una moltitudine d’infelici.

Capii, in quel momento, che stavo assistendo alla rappresentazione della tragedia umana.

Quella mia riflessione fu subito turbata dal rumore di uno sparo, poi urla e pianti. Uno di quei poveri disgraziati era caduto sotto i colpi di un cecchino. Subito corsi, insieme con altri, per soccorrerlo. Era un ragazzo che aveva la mia stessa età, proprio la mia età e stava morendo. Con la mano gli carezzai i capelli mentre sul suo viso andò creandosi una smorfia di dolore.
Quell’espressione rimarrà scolpita per sempre nella mia mente. Chiusi gli occhi, e fu a quel punto che mi ricordai dei petali di rosa. In quell’assurda visione vidi un petalo adagiarsi sul suo capo. Riaprendo gli occhi, con immenso stupore, osservai il suo volto rilasciarsi in un tenue sorriso.

Immediatamente alzai gli occhi al cielo, poi mi voltai verso la città, ma non vidi né bambini, né ragazzi sorridenti, e neanche i petali di rosa. Tristemente, tutto era immutato!

La paura ed il terrore erano sempre lì! E con la loro sinistra presenza s’insinuavano tra uomini e cose. Mi toccai gli occhi con le mani e mi accorsi di piangere.

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dalla Palestina

Yasser (il ragazzo)

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