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Lettere: a Regina Coeli viviamo nel gelo più assoluto, i termosifoni non funzionano

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www.radiocarcere.com, 12 febbraio 2012

Pubblichiamo la lettera, inviata a Radio Carcere e letta durante la puntata di giovedì 9 febbraio in onda su Radio Radicale, scritta da una persona detenuta nella VI sezione del carcere Regina Coeli di Roma. Sezione dove 150 detenuti vivono al freddo, perché non ci sono termosifoni funzionanti. Nella lettera si dà notizia anche di un decesso di un detenuto.

Carissima Radio Carcere, ti scrivo per informarti che nella VI sezione del carcere di Regina Coeli è emergenza freddo. Infatti in questa sezione i riscaldamenti sono completamente spenti e tutti noi, 150 detenuti ospitati in questa sezione del carcere di Regina Coeli, viviamo nel gelo più assoluto.
Inoltre, da giorni e giorni non possiamo neanche lavarci in quanto nelle docce non c’è acqua calda ma c’è solo acqua gelida, e noi non possiamo rischiare di ammalarci perché altrimenti rischiamo di non essere curati. Dovresti vedere cosa ci inventiamo per resistere al freddo incredibile che fa qui dentro. Infatti le coperte scarseggiano e i nostri vestiti non sono adatti ad affrontare temperature tanto basse.
Pensa che per resistere al freddo che c’è nelle celle siamo costretti a lasciare accesi i fornelletti da campeggio che usiamo per cucinare, ma abbiamo paura perché, soprattutto di notte, richiamo di addormentarci con i fornelletti accesi.
Purtroppo ti informo anche che qui a Regina Coeli il freddo ha già fatto la prima vittima. Infatti, qualche giorno fa è morto un nostro compagno detenuto e noi siamo convinti che sia morto anche per il gelo che c’è nelle nostre celle. L’ennesima morte in carcere che si poteva evitare e per cui noi abbiamo anche protestano pacificamente con la battitura delle sbarre.
Chiediamo che qualcuno intervenga per aiutarci perché qui la situazione si sta facendo davvero pericolosa e perché non riteniamo giusto abbandonarci a noi stessi e farci fare la galera al freddo e al gelo. Ti segnaliamo infine che qui, oltre la freddo, viviamo in condizioni igieniche a dir poco spaventose e siamo ammassati in 6 persone dentro celle di appena 15 mq. Possibile che, oltre al direttore del carcere, nessuno intervenga? Possibile che la Polverini sia così insensibile e che le Asl siano così indifferenti alla nostra degradata realtà? Tramite Radio Carcere abbiamo saputo che è venuto qui in visita il Presidente del Senato, che però non è stato portato né nella nostra sezione, né nella VII sezione, forse avevano paure che vedesse troppo degrado! Cara Radio Carcere, tremanti dal freddo, ma sicuri che ci darei voce ti saluto insieme ai mie compagni detenuti e dì ai Radicali che fanno bene ad astenersi sul voto per la legge svuota carceri perché è una presa in giro”.

Fabio e i suoi compagni detenuti nella VI sezione del carcere Regina Coeli di Roma

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Fonte: Ristretti Orizzonti

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Da inizio agosto 12 “morti di carcere e malagiustizia”, 10 si sono suicidati!

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OSSERVATORIO PERMANENTE SULLE MORTI IN CARCERE

Radicali Italiani, Associazione “Il Detenuto Ignoto”, Associazione “Antigone”

Associazione A “Buon Diritto”, Redazione “Radiocarcere”, Redazione “Ristretti Orizzonti”

Da inizio agosto 12 “morti di carcere e malagiustizia”, 10 si sono suicidati

A Paliano (Fr) un collaboratore di giustizia muore in cella e la famiglia non vuole riavere il corpo, a Caltanissetta un giovane da poco arrestato muore per encefalite, a Macerata un 35enne esce dal carcere, scopre di avere una malattia infettiva e si impicca nel bagno dell’Ospedale, a Reggio Calabria una testimone di giustizia rifiuta il “piano di protezione” e si uccide bevendo acido muriatico. Queste sono solo alcune delle vicende raccontate nel dossier “morire di carcere”.

Non solo detenuti nel dossier “morire di carcere” di questa estate: da inizio agosto abbiamo registrato 12 decessi, dei quali 10 causati da suicidio e 2 da malattia. Si sono tolti la vita 5 detenuti e 2 persone appena scarcerate, ma anche una “testimone di giustizia”, un condannato in attesa di affidamento ai servizi sociali e la compagna di un carcerato, disperata per il suo arresto.

Da inizio anno salgono così a 45 i detenuti suicidi, mentre il numero complesivo dei decessi in carcere arriva a 138.

Agrigento, 6 settembre 2011

Narces Adrian Manole, romeno di 27 anni, si suicida impiccandosi nella propria cella con delle strisce di stoffa ricavate dalle lenzuola in dotazione.

A scoprire l’accaduto è un agente di polizia penitenziaria, avvertito da altri detenuti. La salma è ora all’obitorio dell’ospedale “San Giovanni di Dio”, per essere sottoposta a ispezione cadaverica. Momenti di tensione si sono vissuti all’arrivo all’obitorio dei familiari e amici del romeno. Un folto gruppo di connazionali del giovane ha protestato vivacemente e inveito contro le forze dell’ordine e il regime carcerario.

Il romeno era stato arrestato una settimana fa dai carabinieri di Canicattì con le accuse di resistenza, violenza, oltraggio e lesioni a pubblico ufficiale. Avrebbe tentato di colpire un muratore e poi si è scagliato contro i militari ferendoli. Sarebbe dovuto comparire in Tribunale per il processo l’8 ottobre prossimo.

Genova, 4 settembre 2011

Giovanni Bisaccia, 42 anni, viene ritrovato morto, seminudo e scalzo, sulle alture di Voltri. In uno zainetto, accanto al corpo, viene ritrovato un flacone di metadone. L’uomo era uscito dal carcere di Genova a fine agosto ed aveva trascorsi di tossicodipendenza. Inizialmente si era pensato che la morte fosse stata causata da una overdose, ma la vicenda presenta alcuni lati oscuri e gli investigatori sono al lavoro per far luce su quanto accaduto. Aperte le ipotesi del suicidio o dell’omicidio.

Macerata, 3 settembre 2011

L.P. 35 anni, originario di Tolentino (Mc), appena uscito dal carcere di Camerino, scopre di avere una malattia infettiva e si impicca in un bagno dell’ospedale.

Il giovane si trovava nella sala d’attesa dell’ospedale civile di Macerata per una visita di controllo quando, sopraffatto dalla disperazione, si è diretto in bagno e lì si è impiccato agganciando un laccio di stoffa alle tubature della toilette. Il corpo è stato ritrovato poche ore dopo dalla donna delle pulizie, che ha richiesto immediatamente l’intervento dei Carabinieri. L’autorità giudiziaria ha disposto la restituzione della salma ai parenti non ritenendo necessario procedere all’autopsia del cadavere. Il ragazzo era uscito ieri dal carcere di Camerino dove era detenuto per reati contro il patrimonio.

Caltanissetta, 2 settembre 2011

Giuseppe Siracusa, 35 anni, in carcere da poco più di un mese con l’accusa di associazione a delinquere, viene stroncato da una meningo-encefalite. Dai primi prelievi effettuati sul cadavere, gli esperti hanno accertato che a uccidere l’uomo è stata una meningo-encefalite, ma la tipologia deve essere ancora chiarita. La relazione completa dell’autopsia sarà depositata fra due mesi dai consulenti della Procura incaricati di verificare la causa del decesso e se era possibile, sulla base dei sintomi manifestati da Siracusa, eseguire i necessari trattamenti diagnostici e terapeutici. Un quesito che si ricollega al contenuto dell’esposto dei familiari del giovane presentato ai carabinieri, in cui hanno denunciato presunti ritardi nelle cure dello staff medico della casa circondariale.

Reggio Calabria, 22 agosto 2011

Maria Concetta Cacciola, 31 anni, testimone di giustizia, si uccide ingerendo acido muriatico. La 31enne a maggio aveva iniziato a collaborare con la Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria raccontando quanto era a sua conoscenza sui segreti del clan Bellocco di Rosarno.

La donna, che è figlia del cognato del boss Gregorio Bellocco, era stata trasferita in una località protetta, ma il 10 agosto era tornata nel suo paese. Sabato sera ha ingerito l’acido nel bagno di casa. È stata trovata dai familiari che l’hanno soccorsa e portata in ospedale ma poco dopo è morta.

Opera (Mi), 18 agosto 2011

Serghiei Dragan, 32 anni, moldavo, si impicca nella sua cella del carcere di Opera. Aveva già tentato due volte di impiccarsi in carcere. I precedenti tentativi di suicidarsi risalgono a quando il giovane era imputato per l’omicidio del ginecologo milanese Marzio Colturani, imbavagliato e ucciso nella sua abitazione milanese dopo una rapina, la notte del 13 novembre 2007. Durante il processo, che si è concluso con la condanna di Dragan a 24 anni e sei mesi di carcere, la difesa aveva chiesto di sottoporre il giovane a una perizia psichiatrica in seguito ai tentativi di suicidio.

“Quando si ammazza un detenuto è sempre un momento molto doloroso – commenta Mirko Mazzali, presidente della Commissione Sicurezza al Comune di Milano – lo conoscevo perché era coimputato di un mio cliente. Nessuno lo ha salvato dopo i precedenti tentativi d’impiccarsi in carcere”. A Opera, Dragan, che continuava a definirsi innocente anche dopo la sentenza di condanna, non era considerato un detenuto a rischio e non era nel regime dei sorvegliati a vista.

Bari, 14 agosto 2011

Una ragazza di 21 anni si suicida perché il suo compagno è stato arrestato. Il corpo esanime di una giovane donna è stato scoperto sul Lungomare Nazario Sauro, davanti alla sede della Regione Puglia. Sugli scogli sono stati recuperati gli abiti della donna, che si è tuffata in mare lasciandosi annegare. Accanto agli indumenti, una lettera con su scritto: “Senza di te non ce la faccio ad andare avanti”. Il messaggio rivolto al suo compagno, detenuto in carcere.

Roma, 11 agosto 2011

Fabrizio, 30 anni, si uccide dopo aver patteggiato una condanna per “traffico di marijuana”, era da mesi in attesa di essere ammesso all’affidamento ai servizi sociali.

Brani dalla lettera della madre di Fabrizio: “Voglio raccontarvi di mio figlio: 30 anni bello, dolce e pieno di speranze, come lo sono i giovani della sua età. La sua vicenda giudiziaria inizia quando, una mattina di luglio di un anno fa, viene arrestato con l’accusa di traffico di marijuana. Viene condotto prima presso la casa circondariale di Regina Coeli e poco dopo trasferito in un nuovo carcere, dove resterà per tre mesi e mezzo, in condizioni degradanti e di sovraffollamento, tipiche delle nostre patrie galere!

Le accuse, pesanti come un macigno, tengono mio figlio in carcere in stato di custodia cautelare e senza alcuna possibilità di accedere agli arresti domiciliari, per la forte convinzione del pubblico ministero del suo coinvolgimento nella vicenda.

L’accusa sin dalle prime fasi del procedimento non ha sentito ragioni: il magistrato ha mantenuto per mesi un ragazzo incensurato, un ragazzo con spiccati riferimenti famigliari e culturali, in stato di custodia cautelare senza mai interrogarlo, stante le richieste della difesa, ha respinto ogni richiesta presentata dai legali di attenuazione della misura, sino a quando, pur di tirarlo fuori da quella prigione – come è nel gioco della forza delle parti e del potere – lo abbiamo convinto a patteggiare; lui non voleva farlo, ha accettato solo per noi.

Pensavamo che il peggio fosse passato, speravamo che i tempi del procedimento fossero più ragionevoli, a maggior ragione dopo la definizione del processo, ma ci sbagliavamo ancora una volta. Il nostro ragazzo doveva accedere alla misura alternativa dell’affidamento in prova e vi erano tutti i presupposti perché il tribunale competente la concedesse.

Ogni giorno, dagli uffici interpellati, le risposte erano sempre le stesse: bisognava aspettare, nonostante vi fosse sentenza, perché il fascicolo passasse dal giudice di cognizione al Tribunale di Sorveglianza e intanto i giorni si consumavano lentamente, solo per ricevere la notifica dei provvedimenti.

Nell’era dei computer e della velocità informatica, impiegavano settimane e mesi per passare da un ufficio all’altro e da un tribunale all’altro. Dall’uscita dal carcere al giorno del suo suicidio sono trascorsi 5 mesi e mezzo (pazzesco, vero?); soltanto per la formalizzazione della sua condanna sono passati 3 mesi e intanto mio figlio scalpitava in casa, deprimendosi, perché vedeva allontanarsi sempre più la possibilità di quella libertà, anche parziale, che gli avrebbe consentito di tornare a fare una vita “passabile”: la sua casa, il suo lavoro, la sua fidanzata che adorava.

Potete pensare che un ragazzo così, pieno di vita e di entusiasmo, potesse sopportare tutto questo? No, soprattutto se sa di essere innocente. Non ce l’ha fatta. Se n’è andato da solo, una mattina, nel modo più terribile, lasciandoci allibiti e disperati, perché, sapete, per quanto noi genitori abbiamo cercato di fare tutto il possibile per lui, i sensi di colpa ci attanagliano, primo fra tutti quello di non avere capito che non ce la faceva veramente più…”.

Paliano (Fr), 10 agosto 2011

Orlandino Riccardi, 54 anni, muore per infarto nel carcere di massima sicurezza di Paliano. L’uomo apparteneva al clan dei Casalesi, ed era in carcere dal gennaio 2007 con l’accusa di complicità in un omicidio. Successivamente avrebbe deciso di collaborare con la giustizia ed era quindi stato trasferito nel carcere di Paliano, dove sono rinchiusi molti collaboratori di giustizia.. Nessuno dei familiari, avvertiti dalla direzione carceraria dell’avvenuto decesso, si è fatto avanti per la restituzione del cadavere del congiunto.

Massa Carrara, 8 agosto 2011

Ioan Tomoroga, 28 anni, romeno, si impicca nella cella di sicurezza della caserma dei carabinieri di Pontremoli (Massa Carrara). L’uomo, operaio, era stato arrestato per il sequestro della giovane moglie avvenuto in mattinata. I carabinieri, chiamati da alcuni vicini, era intervenuti dopo che l’uomo si era recato nell’abitazione di Pontremoli dove la donna vive sola da una ventina di giorni dopo essersi separata dal marito, con cui era sposata da 5 anni. Il romeno è stato così arrestato per sequestro di persona e rinchiuso nella cella di sicurezza della caserma di Pontremoli in attesa del trasferimento al carcere di Massa. Proprio per evitare gesti estremi, era stato privato di oggetti come lacci delle scarpe, la cintura e persino i jeans. L’uomo si è però sfilato la maglietta, l’ha legata alla griglia dello spioncino sulla porta e se l’è legata al collo. Quindi si è seduto su una sedia lasciandosi cadere. La morte è avvenuta per asfissia.

Catanzaro, 8 agosto 2011

Francesco Beniamino Cino, 66 anni, se n’è andato in silenzio. S’è ucciso nella solitudine della sua cella dopo una notte insonne, passata a ripensare all’ultimo spicchio della sua vita che gli era sembrato improvvisamente irrecuperabile.

L’uomo, venditore ambulante, residente a Settimo di Montalto, lo scorso 29 giugno, aveva ucciso i consuoceri Anna Greco (55 anni) e Francesco Cariati (61 anni), a San Vincenzo la Costa, dopo aver ferito a colpi di pistola la nuora Teresa Cariati (37 anni), mentre era in macchina con i suoi due bambini. Braccato dalle forze dell’ordine, dopo circa otto ore di fuga, Cino si era consegnato ai carabinieri di Rogliano confessando il duplice omicidio e il ferimento.

I suoi difensori, Ubaldo e Marlon Lepera, hanno già preannunciato un esposto alla Procura per chiarire le circostanze della morte del loro assistito. Cosa è successo in quel carcere? Perché nessuno ha visto cosa stava facendo il detenuto Cino?

Perugia, 2 agosto 2011

F.P., 36 anni, originario di Rieti, viene trovato senza vita nel bagno della sua cella all’interno del penitenziario di Capanne, a Perugia. È entrato nel bagno della cella poco prima delle 22, con sé aveva una busta di plastica e la bomboletta del gas con la quale i reclusi si scaldano autonomamente i cibi. Il compagno a quel punto non l’ha visto più uscire, il giovane nel breve volgere di pochi minuti si era ucciso inalando il gas. Sono stati immediatamente chiamati i soccorsi, ma, purtroppo, è risultato vano ogni tentativo. La procura ha comunque disposto l’autopsia per chiarire le cause del decesso.

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Fonte: www.ristretti.org

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