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Wikileaks: la vera storia della pubblicazione senza filtri degli archivi

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La decisione di Wikileaks di rendere disponibile per intero e senza filtri il suo archivio di 250.000 documenti diplomatici statunitensi, rappresenta una delle più grandi sconfitte nella storia del giornalismo. Julian Assange e il suo gruppo aveva infatti per mesi creduto che la stampa, i più grandi giornali del mondo nella fattispecie, dal New York Times al Guardian a El País avrebbe rispettato i patti e agito come grande fattore di democratizzazione dell’informazione. Non è andata così.

Da sempre, in tutti i paesi, gli archivi diplomatici sono filtrati da alcune specifiche professionalità, archivisti, diplomatici, uomini dei servizi di sicurezza. Tali persone stabiliscono, in genere a distanza di 30 anni, quali documenti è interesse nazionale divulgare e quali sono ritenuti così sensibili da essere in parte o del tutto meglio rinviare ai posteri, apponendo segreti di 50 o 100 anni, se non essere addirittura distrutti con procedure al di fuori della legge.

Il sogno di Wikileaks (informato di molta retorica sulla libera stampa e accecato dal dogma della pubblicità) era sostituire le burocrazie statali con presunti rappresentanti di un interesse pubblico in contrasto con l’interesse di “poteri forti”. Tali rappresentanti del pubblico interesse, i giornalisti, si impegnavano ad editare i documenti e inserire filtri (comunque necessari) con l’unico criterio della sicurezza delle persone nominate rispetto ad eventuali persecuzioni politiche.

I giornali contattati (chi scrive conosce in prima persona tale procedura per averla realizzata la scorsa primavera a Londra per il settimanale uruguayano Brecha) hanno tutti firmato un contratto nel quale si impegnavano ad editare TUTTO il pacchetto di documenti a loro consegnati e pubblicarli TUTTI sul sito di Wikileaks indipendentemente dall’usare (e citare) il tal documento in uno o più articoli. In cambio della prima esclusiva (l’unica cosa giornalisticamente rilevante) le testate si impegnavano alla creazione di un enorme archivio pubblico che poteva essere consultato da privati cittadini ma anche da studiosi di varie discipline, storici, economisti, sociologi, politologi, specialisti di diritti umani. Una fonte di straordinaria importanza.      (leggi tutto)

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Fonte: gennarocarotenuto.it

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Internet è il male. Dichiarazione a sorpresa di Julian Assange

Dichiarazioni a sorpresa del founder di Wikileaks: la Rete rappresenterebbe una tecnologia ostile ai diritti umani e alla libertà d’espressione. Internet usata dai governi come una gigantesca macchina di sorveglianza.

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di Mauro Vecchio

“Internet non è una tecnologia che favorisce la libertà d’espressione. Non è una tecnologia che tutela i diritti umani. Piuttosto è una tecnologia che può essere sfruttata per mettere in piedi un regime totalitario basato sulla sorveglianza. Che non si era mai visto prima”. Parola di Julian Paul Assange, l’ormai arcinoto founder del sito delle soffiate Wikileaks. Dichiarazioni che hanno fatto rapidamente il giro del Web, in seguito ad una delle sue – ultimamente rare – apparizioni pubbliche alla britannica Cambridge University. Assange è stato decisamente cristallino: Internet rappresenterebbe un ostacolo alla libertà.

Internet ci offre in qualche modo la possibilità di essere informati a livelli senza precedenti, in particolare sulle attività dei vari governi – ha continuato Assange – ma è anche la più grande macchina di spionaggio che il mondo abbia mai visto”. Uno strumento usato dai governi del pianeta per controllare.

Il founder di Wikileaks ha portato degli esempi, primo fra tutti quello relativo ad un gruppo di dissidenti che avevano dato avvio ad una rivolta in Egitto. Vicenda risalente ad alcuni anni fa, scatenatasi grazie ad un social network come Facebook. Secondo Assange, lo stesso sito in blu era stato sfruttato dalla polizia locale per identificare, arrestare, torturare. (leggi tutto)

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Fonte: PuntoInformatico

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Gli Stati Uniti ordinano a Twitter “Dateci informazioni su Assange”

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WASHINGTON – Twitter per arrivare ad Assange. E’ questa la strada decisa dal ministero della Giustizia statunitense che ha ottenuto dalla Corte federale della Virginia un’ingiunzione affinché il colosso di San Francisco di fornisca informazioni personali, indirizzi di posta e messaggi privati di alcune utenze collegate al profilo di Wikileaks, tra cui quella del suo fondatore australiano. La decisione del tribunale americano impone a Twitter di fornire al dipartimento di Giustizia di Washington oltre ai “nomi, nomi utenti, indirizzi di posta elettronica, indirizzi di casa dei utenti”, anche i dati relativi al militare Bradley Manning, in carcere perché sospettato di aver fornito informazioni riservate al sito.

Nell’ordinanza inviata a Twitter in data 14 dicembre e pubblicata dall’agenzia France Presse, la Corte indica come richiedente “gli Stati Uniti d’America”: “La Corte ritiene che il richiedente abbia offerto fatti specifici e articolati che dimostrano come ci siano fondati motivi per credere che i dati richiesti siano rilevanti per un’inchiesta criminale in corso”, si legge nel documento. Oltre a Manning e Assange, nell’ordinanza si chiedono a Twitter informazioni anche sugli account dell’hacker olandese Rop Gongrijp e della parlamentare islandese Birgitta Jonsdottir, dal primo novembre 2009 a oggi.

Ad annunciare l’ordinanza del giudice è stato lo staff di Wikileaks, secondo il quale la richiesta della Corte dimostra “l’esistenza di un’inchiesta per spionaggio da parte di un Grand Jury segreto del governo americano”. Secondo il sito “il Dipartimento di Stato americano ha reclamato i messaggi privati, i contatti, gli indirizzi Ip e i dettagli personali di Julian Assange e di altre tre persone associate a WikiLeaks”, dei quali però non cita i nomi. (leggi tutto)

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Fonte: FreeAssange.org

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