.
Ha aumentato il salario minimo del 2%. Ha abbassato la soglia per le pensioni di anzianità a 60 anni. Ha annunciato un’aliquota sui redditi dei ricchi al 75%, una tassa sui dividendi del 3% e sulle scorte petrolifere del 4%. Ha assicurato che aumenterà i contributi – già altissimi – e l’imposta di successione e che recupererà la vecchia patrimoniale. Infine, ha promesso 65mila assunzioni nel settore pubblico. Insomma, per i fautori del libero mercato e delle riforme strutturali, François Hollande è un incubo. Se Mario Monti avesse azzardato una sola di queste misure, il famigerato spread avrebbe toccato vette inarrivabili.
Eppure, tutto tace. Mentre sui quotidiani stranieri, in particolare su quelli anglosassoni, i titoli continuano a somigliarsi tutti (tra i più gettonati: «la luna di miele finirà presto» e «la vie en rose durerà poco»), sui mercati finanziari l’incantesimo regge. Anzi. Non più tardi di lunedì i rendimenti sui titoli di Stato francesi a tre e a sei mesi, per la prima volta nella storia, sono stati negativi. Segno che il mercato pensa che la Francia somigli molto più alla Germania che alle peccaminose Italia o Spagna. Segno che la “rossa” Parigi è diventato un porto sicuro, alla pari dei Paesi “falchi” guidati da austeri conservatori à la Merkel che anelano allo zero deficit come alla panacea di tutti i mali.
Certo, anche Hollande si è impegnato sul rigore. I numeri però sono numeri. Nel primo trimestre dell’anno il debito è salito all’89,3% del Pil e il deficit veleggia a fine anno verso il 4,5%. Il premier Jean-Marc Ayrault si è impegnato a ridurlo sotto il 3% l’anno prossimo e di azzerarlo quello dopo. Ma anche le stime sul Pil sono state riviste allo 0,4% quest’anno e all’1-1,3% per l’anno prossimo. E Hollande non ci pensa neanche, per dire, a rimandarsi le assunzioni nel pubblico o a toccare la legge sui licenziamenti come gli chiedono in molti.
Gli analisti, ovvio, avvertono che bisogna guardare ai rendimenti dei bond decennali e non a quelli a brevissimo termine. E che nei prossimi mesi sono destinati a risentire dell’«effetto Hollande», se non farà anche riforme strutturali. Però lo spread francese, intanto, è inchiodato a 110 punti, a distanze siderali dal nostro. Con tutto che in Francia, negli ultimi 5 anni sono spariti 400mila posti nel manufatturiero e il Pil pro capite è sceso negli ultimi 10 dal 95 al 90% di quello tedesco. E con tutto che una settimana fa i maggiori economisti e imprenditori hanno chiesto allarmati uno «shock per il rilancio della competitività», che è un noto punto debole dell’economia oltralpe. I mercati, per ora, se ne infischiano.
.
.