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L’agonia della Terra e l’accumulazione capitalistica

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I limiti del pianeta e della crescita

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di Elmar Altvater

Siamo a Terra/ Le maggiori istituzioni internazionali individuano la crescita come panacea universale di tutti i problemi economici. Ma il riconoscimento dei difetti dell’accumulazione capitalistica è il frutto di un’analisi critica dello scambio metabolico tra società e natura

La logica dell’accumulazione capitalistica contrasta con l’etica kantiana di un sistema di regole fondato sui limiti imposti all’uomo dal pianeta Terra. «Anche oggi», notava intorno alla metà degli anni ’60 Kenneth Boulding, «siamo molto lontani dall’aver effettuato quei cambiamenti morali, politici e psicologici che dovrebbero essere impliciti nella transizione dalla prospettiva del piano illimitato a quella della sfera chiusa». Eppure, c’è chi fa finta di niente e nega che il pianeta Terra abbia alcun limite (…). Dieci anni prima del collasso del sistema finanziario globale, l’economista statunitense Richard A. Easterlin glorificava nel suo libro la Crescita trionfante. Anche oggi, cinque anni dopo l’inizio della crisi finanziaria globale, le principali pubblicazioni di tutte le maggiori istituzioni internazionali come la Banca Mondiale (Bm), Il Fondo Monetario Internazionale (Fmi), l’Unione Europea (Ue) o l’Ocse individuano la crescita come panacea universale di tutti i problemi economici. In paesi come la Germania o il Brasile l’accelerazione della crescita economica è prevista per legge. Non sono previsti né limiti né alcuna gradualità nella crescita.

Nei consessi di economisti non sembra esserci alcuna tendenza a domandarsi se i gravi problemi economici, sociali e ambientali che vengono discussi quotidianamente sui giornali possano essere il risultato di decenni di crescita capitalistica. E lo stoicismo di tali studiosi non è stato scalfito nemmeno da eventi disastrosi quali quelli di Fukushima e della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon, o dalle «condizioni climatiche eccezionali» degli ultimi anni. Quasi tutto il pensiero economico critico è stato soffocato dall’ economia mainstream – quasi tutto, poiché alcune isole di pensiero critico sono riuscite a costruire strutture teoriche avanzate, idee alternative solide e visioni lungimiranti che le torbide inondazioni del mainstream non si sono dimostrate in grado di spazzare via.

Le strutture teoriche rilevanti in questo scenario comprendono la termodinamica economica di Nicholas Georgescu-Roegen, una teoria che riconosce il ruolo dello scambio metabolico tra società e natura. Le attività umane e lo sviluppo sociale sono contestualizzati nel tempo e nello spazio e non vivono in un ambiente artificiale privo di qualunque dimensione spazio-temporale, popolato da degli omuncoli quali gli homini oeconomici protagonisti delle teorie mainstream .

I «limiti alla crescita» discendono in termini logici dall’estensione limitata del pianeta e dalle caratteristiche peculiari del processo di accumulazione capitalistica mondiale.

Nel 1870, un secolo prima che il Club di Roma lanciasse il suo grido di allarme, Friedrich Engels discusse i limiti della natura nel suo «La dialettica della natura»: «Non dovremmo glorificare noi stessi contando ad ogni piè sospinto le conquiste del genere umano sulla natura. Per ciascuna di queste conquiste la natura si prende la sua rivincita […] Cosicché, ad ogni passo, siamo obbligati a ricordare di non essere in grado di dominarla in alcun modo […] ricordando al contrario di esserne parte integrante con la nostra carne, il nostro sangue ed il nostro cervello e di esistere nel mezzo di essa […] e tutta la nostra supremazia su di lei deriva dal vantaggio umano sulle altre creature dato dal saper apprendere le sue leggi e dal poterle potenzialmente applicare in modo corretto».

In altre parole, il riconoscimento dei limiti della crescita e dell’accumulazione capitalistica è anche il frutto di un’analisi critica dello scambio metabolico tra società e natura. In un’economia capitalistica questo scambio è espansivo, non solo per il «soddisfacimento dei bisogni-godimento della vita», indentificato da Nicholas Georgescu-Roegen come uno dei motori principali dell’attività economica, ma anche per il ruolo svolto dalla ricerca del profitto e dall’accumulazione compulsiva come Karl Marx notava nel primo libro del Capitale: «Accumulare, accumulare! Questa l’esortazione di Mosè e dei profeti!» (…).

Nell’accumulazione capitalistica, uno stato di crescita stazionaria dell’economia è pressoché impossibile. (…)

Lo stato stazionario potrebbe realizzarsi solo in termini approssimativi e in un orizzonte temporale limitato; presto o tardi collasserà.

A questi argomenti Georgescu-Roegen aggiunge la fondamentale conclusione che, chiunque «creda di poter disegnare un progetto mirato alla salvezza ecologica dell’umanità non ha compreso né la natura dell’evoluzione né quella della storia».

Herman E. Daly, uno dei principali difensori dell’economia dello stato stazionario, rappresenta i sistemi economici come dei cicli di produzione e di consumo, di estrazione di risorse dall’ecosistema e di emissioni che vi riaffluiscono. Ma, facendo ciò, egli ignora l’importante intuizione di Georgescu-Roegen sulla base della quale una dinamica analoga a quella disegnata da Daly può forse essere vera dal punto di vista quantitativo ma non può di certo esserlo da quello qualitativo, dal momento che l’entropia tenderà a crescere in modo irreversibile in questi cicli.

Assumendo come valide le leggi della termodinamica, uno stato stazionario è dunque impossibile. Nondimeno, dati i noti limiti delle risorse naturali e l’odierna realizzabilità di numerose tecniche di riduzione delle emissioni, una diminuzione del consumo della Terra in chiave ecologica è oggi un imperativo assoluto.

I movimenti sociali stanno reclamando esattamente questo, basando le loro rivendicazione sul «programma bioeconomico minimo» che si fonda sulle otto massime di Nicholas Georgescu-Roegen, suggerite nel 1975 come una sorta di imperativo ecologico.

Il suo primo punto riguarda il disarmo degli eserciti; nel secondo, egli promuove un sostegno universale rivolto verso l’indipendenza nello sviluppo dei popoli e degli individui capace di garantire a tutti il godimento delle condizioni materiali proprie di una vita dignitosa; nel terzo, viene sostenuta la necessità di una riduzione nelle dimensioni demografiche del pianeta tale da rendere possibile il sostentamento di tutti gli esseri umani attraverso i prodotti dell’agricoltura organica; il quarto, il quinto ed il sesto punto sono connessi al tema della riduzione degli sprechi vertendo rispettivamente sulla necessità di misure volte al risparmio energetico, al blocco della produzione dei beni di lusso ed alla rimozione degli incentivi allo spreco e al sovraconsumo incoraggiati dalla moda. Giunto al settimo punto, Georgescu-Roegen afferma la necessità di una progettazione dei beni che preveda la loro riparabilità e ne riduca al massimo la potenziale obsolescenza.

Infine, contrastando la globale tendenza verso l’adozione di modelli capaci di garantire una costante accelerazione dei processi produttivi, egli propugna l’opposta necessità dell’ «imparare a rallentare».

Anche Hermann Scheer ha definito un «imperativo energetico» identificandolo come uno strumento utile allo sviluppo di azioni e obiettivi politici in grado di tener conto e di affrontare i limiti, ormai tangibili, all’utilizzazione delle risorse naturali e le pressioni sulla Terra.

L’ipotesi dell’«astronave Terra» potrebbe essere presa in considerazione, nella logica proposta da Scheer, solo nel caso in cui non prevedesse l’utilizzo di carburanti fossili ma fosse in grado di convertire in energia i raggi solari. In altre parole, il sistema energetico della Terra dovrebbe abbandonare l’attuale schema di alimentazione basato sul consumo delle risorse fossili esauribili, convertendosi altresì ad un sistema aperto dove i raggi solari costituiscano la fonte unica di sostentamento energetico.

Altrimenti, i «passeggeri» potrebbero finire come Phileas Fogg nel Giro del mondo in ottanta giorni di Julius Verne, dove, come notato da Peter Sloterdijk, «…giunto all’ultima tappa della circumnavigazione, la tappa atlantica […], esaurite le scorte di carbone […] egli comincia a bruciare la parte superiore della struttura lignea della sua stessa navicella nel tentativo di continuare ad alimentare le camere di combustione del motore. Con questa immagine della navicella di Phileas Fogg in preda all’autocombustione, Julius Verne ha fornito niente di meno che una metafora, su scala mondiale, dell’età industriale».

Qui bisogna aggiungere solo che la rotta e la velocità della barca sono determinate dalla compulsione per l’accumulazione capitalistica; solo con questo vincolo il capitano e il suo equipaggio sono pronti a navigare attorno al mondo e, inoltre, a farlo ad una velocità adeguata a raggiungere lo scopo in un tempo fortemente compresso come gli ottanta giorni di Julius Verne.

Aprire il sistema energetico del pianeta alla potenza del sole è ciò che realmente conta. Tuttavia, per assicurare che tale trasformazione non prenda le sembianze delle teorie economiche dello stato stazionario criticate da Georgescu-Roegen o delle iniziative per la decrescita, la ristrutturazione del sistema energetico planetario dovrà essere connessa con le trasformazioni sociali già in atto in alcune parti del mondo e alla base dell’«economia della solidarietà»: produzione cooperativa, protezione dei beni pubblici, democrazia economica nelle imprese, pianificazione economica dov’è utile e necessaria e reinserimento del mercato nella società.

(traduzione di Dario Guarascio)

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Fonte: sbilanciamoci.info

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Suicidi, casa e povertà: Rapporto sui Diritti Globali 2103

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Diritti globali 2013

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Diritti globali, 2013. Sotto “i riflettori” allarme suicidi, emergenza casa, maggiore povertà

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”Sono 121 le persone che tra il 2012 e i primi tre mesi del 2013 si sono tolte la vita per cause direttamente legate al deterioramento delle condizioni economiche personali o aziendali: nel 2012 i suicidi sono stati 89, mentre nei primi tre mesi del 2013 32, il 40% in piu’ rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente”.
Ad affermarlo è Sergio Segio, nel Rapporto sui Diritti globali 2013, presentato oggi a Roma.

Segio durante la presentaizone del rapporto cita una ricerca della Link Campus University, che rileva come ”la precaria situazione economica personale avrebbe determinato il 49,4% di questi decessi, la perdita del posto di lavoro il 28,1%, i debiti con l’erario il 14,6% e il ritardo nei pagamenti da parte dei committenti il 7,9%. Il 30% delle persone che si sono tolte la vita viveva nel nord-est, il 13,9% nel nord-ovest, il 25,8% nel centro, il 14,6% al sud e il 15,7% nelle isole”.

”Al di la’ delle fonti, del rigore e della completezza o meno dei dati – osserva Segio – e pur assumendo che la comparazione con le cifre dell’Istat mostrerebbe in realta’ un decremento rispetto al 2007-2009 (”numero oscuro” a parte), indubbiamente il fenomeno e’ rilevante e dovrebbe preoccupare”.

“In attesa di un nuovo modello di sviluppo e di una reale riconversione ecologica dell’economia”, il dibattito – aggiunge critico Segio- e’ incentrato sulle risposte alla crisi in termini di rigore e tagli alla spesa: sbagliare i calcoli o enfatizzare una teoria zoppicante, per giustificare drastiche politiche di sacrifici e tagli vigorosi a spesa pubblica e Stato sociale, produce un effetto di ‘condanna a morte per i piu’ poveri’. Eppure – conclude – nessuno se ne sente responsabile e a nessuno ne viene chiesto conto”.

Sulla questione casa non si può non parlare di ”emergenza nazionale”: “L’Italia – è chiaro da quanto emerge nel rapporto – investe in diritto alla casa lo 0,1% della spesa sociale, contro la media Ue27 del 2%, e ha tagliato del 95%, in 10 anni, il fondo che sostiene l’affitto (da 360 milioni di euro a 9,8 milioni). Cosi’ dei 290 mila sfratti emessi negli ultimi cinque anni, ben 240 mila sono per morosita’, con la previsione di un incremento di 150 mila nel prossimo triennio.

A subire gli sfratti – sottolinea il Rapporto – sono per il 21% giovani precari under 35, che nell’ultimo biennio non hanno lavorato, per il 26% famiglie numerose migranti a reddito basso e per il 38% anziani, che vivono da soli. Quelli che hanno perso il lavoro sono nel complesso il 32%, mentre il 60% delle famiglie sotto sfratto ha figli minori.

In generale, in Europa, a causa della poverta’, osserva il documento, ”aumentano le famiglie e le persone costrette a vivere in strada”; in contemporanea ”cresce anche la repressione che Stati e citta’ attuano contro di loro”. Gli homeless in Italia sono stimati in circa 50 mila, vivono soprattutto a nord-ovest (38,8%), sono maschi (86,9%), relativamente giovani (il 57,8% ha meno di 45 anni) e con basso livello di istruzione (65%).

Aumentano in Italia le persone a rischio poverta’ e cresce la deprivazione materiale (+4,3% dal 2010 al 2011). Nei primi nove mesi del 2012 le famiglie indebitate sono passate dal 2,3% al 6,5% e il paese ha speso poco piu’ dell’1% del Pil per i nuclei con minori (2,2% dato Ocse). Nel triennio 2010-2012 il welfare e’ stato la ”vera vittima sacrificale dell’economia italiana”.

A partire dal 2012 a pagare i tagli in modo incisivo – rileva il Rapporto – sono stati i trasferimenti agli enti locali e dunque il welfare (meno 2,2 miliardi nel 2013). Nel 2010-2011 i bambini di eta’ 0-2 anni che hanno la possibilita’ di frequentare un servizio pubblico per l’infanzia non superano l’11,8% (solo +3% sul 2004).

La cooperazione (sociale e non) tra il 2007 e il 2011 ha visto crescere l’occupazione dell’8% (mentre il mercato del lavoro perdeva l’1,2% e le imprese profit il 2,3%): la cooperazione sociale e’ stata il settore trainante, con +17,3% lavoratori, ma rimane ”inchiodata a gare al ribasso e pagamenti pubblici in grave ritardo: alla fine del 2012 il credito dagli enti pubblici si aggira sui 6 miliardi di euro”.

L’impoverimento degli italiani cresce a ritmi sostenuti: il 60,6% afferma di essere costretto a metter mano ai propri risparmi per arrivare a fine mese, il 62,8% ha grandi difficolta’ ad arrivarci e quasi l’80% non riesce ad accantonare un euro. Aumenta inoltre il denaro che gli italiani devono sborsare di tasca propria per le spese sanitarie: nel 2011 raggiunge i 2,8 miliardi, l’1,76% del Pil e il 17,8% di tutta la spesa.

”Il peso della crisi non e’ ‘democratico’: il quinto piu’ povero degli italiani ha l’8% del reddito totale, mentre il quinto piu’ ricco ne detiene il 37,4%, in area euro siamo tra i piu’ diseguali: peggio di noi solo Grecia, Spagna e Portogallo”. Per questo secondo il rapporto serve ”un’altra economia, con tre pilastri: sostenibilita’ sociale e ambientale, i diritti di cittadinanza, del lavoro, del welfare, e la conoscenza come base di un sistema di istruzione e di formazione che porti innovazione e qualita”. Occorre inoltre uno ”sviluppo basato sulla riduzione delle diseguaglianze” e ”il rilancio del reddito di cittadinanza”.

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Fonte: controlacrisi

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L’economia nel 2013? Male come nel 2012!

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di  Stefano Porcari

Il bollettino mensile della Banca Centrale Europea non lascia margini all’ottimismo né alle “luci in fondo al tunnel” che ha visto solo Monti. E’ ormai evidente che nell’Eurozona le ricette imposte sono peggiori della malattia.

L’attività economica nell’Eurozona dovrebbe restare debole anche nell’ultimo trimestre del 2012 e proseguire così nel 2013. Lo afferma il bollettino mensile della Banca Centrale Europea reso noto oggi. Le analisi, spiega la Bce, ”continuano a segnalare la persistente debolezza dell’attività economica nell’ultimo trimestre dell’anno, benchè più di recente alcuni indicatori si siano stabilizzati su livelli contenuti e il clima di fiducia nei mercati finanziari sia migliorato ulteriormente”. Secondo il bollettino della Bce ”sul breve periodo la debolezza dell’attività dovrebbe protrarsi nel prossimo anno, di riflesso all’impatto avverso sulla spesa interna esercitato dal basso grado di fiducia di consumatori e investitori e dalla moderata domanda esterna”. In pratica le esportazioni non sono in grado di sopperire al crollo dei consumi e degli investimenti sul mercato interno dei paesi aderenti all’Eurozona.

L’economia ”dovrebbe iniziare a recuperare gradualmente nel prosieguo del 2013” a fronte ”del rafforzamento della domanda mondiale e della trasmissione all’economia dell’orientamento accomodante della politica monetaria della BCE e del netto miglioramento della fiducia sui mercati finanziari”. In particolare, la Bce prevede un tasso di variazione annuo del Pil in termini reali compreso fra il -0,6 e il -0,4 per cento nel 2012 (-0,4%/-0,2% la precedente stima) e fra il -0,9 e lo +0,3 nel 2013 (da -0,4%/+1,4%).

Per il 2014 la previsione poi è di una crescita tra +0,2 e +2,2. Secondo la Bce, ”vi sono rischi al ribasso per le prospettive economiche dell’area dell’euro connessi in prevalenza alle incertezze sulla risoluzione delle questioni del debito sovrano e della governance nell’area dell’euro, ai problemi geopolitici e alle decisioni di politica di bilancio negli Stati Uniti”. Fattori che ”potrebbero ripercuotersi sul clima di fiducia per un periodo piu’ lungo di quanto ipotizzato al momento e ritardare ancora la ripresa degli investimenti privati, dell’occupazione e dei consumi”. Dunque la luce in fondo al tunnel divinata da Monti l’ha vista solo lui, il che porrebbe dei seri problemi sia sulla credibilità della sua leadership che sulle sue capacità divinatorie. Difficile credere che sia tutta colpa della rientrata in campo di Berlusconi. La realtà – anche secondo le previsioni della Bce – ci dice che le condizioni di vita lavoratori, disoccupati e famiglie dei paesi aderenti all’area dell’euro sono destinate al peggio, a meno che qualcuno non rovesci il tavolo e metta in campo misure del tutto in controtendenza, inclusa la rimessa in discussione dell’adesione ai trattati europei e della stessa adesione all’euro.

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Fonte: Contropiano.org

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