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Allarme suicidi? In Italia oltre 2000 richieste di aiuto. Telefono, il mezzo per raccontare fallimenti e disperazione

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L’allarme suicidi in Italia è all’ordine del giorno. Gli imprenditori sino sempre più sull’orlo della crisi, ma non solo economica.
Sono più di 30 le vittime che nel 2012 si sono tolte la vita dopo aver perso il lavoro e le associazioni che si occupano del fenomeno oggi lanciano l’allarme sul pericolo di altri gesti estremi.
I dati elaborati dall’Adnkronos mostrano oltre 2mila le persone che, negli ultimi mesi, si sono rivolte a progetti di ascolto e supporto psicologico, nati a livello regionale o nazionale.
Cause? Il peso del fisco, la perdita del lavoro, la difficoltà di far quadrare bilanci e di ottenere credito tolgono il sonno a centinaia di migliaia di persone e contro i gesti estremi è boom di telefonate alle associazioni di sostegno come ‘Speranzaallavoro’, voluta da Adiconsum e Filca Cisl per rompere il silenzio e la solitudine dei piccoli imprenditori e delle loro famiglie.
L’iniziativa, partita il 16 aprile scorso,continua a registrare numeri preoccupanti.
“Sono oltre un migliaio le persone -spiega Pietro Giordano, segretario generale di Adiconsum- che già hanno chiamato per chiederci aiuto”. Cifre da aggiungere a realtà come il progetto ‘Terraferma’, nato per volere dell’imprenditore Massimo Mazzucchelli, che dallo scorso marzo ha risposto agli ‘Sos’ di oltre 550 lavoratori in difficoltà.
Ma c’è anche altro: iniziative a livello locale (quasi ogni regione dispone di un servizio ad hoc) come ‘InOltre’ finanziato dalla Regione Veneto. Dallo scorso 11 giugno, il numero verde ha raccolto l’appello disperato di circa 80 imprenditori di una delle zone più colpite dalla crisi.
A livello nazionale dunque la somma supera la cifra di 2mila messaggi di aiuto e il telefono diventa il mezzo per raccontare i propri fallimenti e la dipserazione che si vive.
Il Nord Italia in maggioranza si rivolge a ‘Speranzaallavoro’, mentre sono “le figlie soprattutto a chiedere aiuto, spezzando quel senso di fallimento che pesa sui padri. Per loro -svela il segretario generale di Adiconsum, Giordano- è più dura ammettere la fine di un progetto imprenditoriale”. Più diversificato, invece, l’identikit di chi contatta lo spazio di ascolto e di supporto ‘Terraferma’ che offre sostegno, 24 ore su 24, grazie al contributo di 30 tra psicologi e psicoterapeuti. “In prevalenza si rivolgono a noi gli imprenditori -spiega Mazzucchelli-, ma chiamano anche lavoratori disoccupati di tutte le età. Telefonano soprattutto da Veneto, Lombardia e Piemonte, anche se non mancano richieste di aiuto da Lazio e Campania”.
Circa il 10% delle telefonate, aggiunge il responsabile del progetto “viene fatto da mogli o figlie, le quali si accorgono del disagio di chi si ritrova a fare i conti, oltre che con la crisi, con l’ansia e la depressione”.
Imprenditori, familiari o dipendenti con l’incubo di perdere il lavoro sono le persone a cui presta aiuto anche Emilia Laugelli, responsabile dell’Unità operativa di Psicologia clinica dell’ospedale di Santorso e del progetto ‘InOltre’. “Il nostro -spiega – è un supporto psicologico soprattutto verso i piccoli imprenditori.  Anche per ‘Terraferma’ l’idea di fornire, “con tariffe agevolate, un percorso di sostegno a chi si sente strozzato dal peso delle tasse, a chi pensa a gesti estremi pur vantando crediti nei confronti della pubblica amministrazione”, sottolinea Mazzucchelli. Se al via dell’iniziativa c’è stato un “boom di contatti per i nostri consulenti -avvocati, psicologi e fiscalisti- l’estate non rende più felici gli imprenditori”, sottolinea il segretario generale di Adiconsum, Giordano. “I numeri di chi ci contatta è costante, così come costante è la pressione fiscale a cui sono sottoposte le pmi e che finisce per strozzarle”, evidenzia. Dopo l’accordo con l’ordine degli psicologi, Adiconsum ipotizza un intervento anche economico attraverso il coinvolgimento degli istituti di credito.
“Penso -dice Giordano- a un fondo di solidarietà finanziato dalle banche, grazie a un euro versato per l’apertura di un conto corrente, per realizzare un microcredito con tassi vicini allo zero. Una formula che consentirebbe, insieme a uno stop temporaneo della rivalsa di crediti passati, di aiutare molti imprenditori e scongiurare gesti estremi. Alcune persone – ricorda- si sono suicidate per debiti di poche migliaia di euro”. E a una sorta di welfare sociale pensa anche il responsabile di ‘Terraferma’, progetto promosso dal movimento ‘Impresecheresistono’. “Sarebbe importante creare un fondo di garanzia pubblico finanziato, ad esempio, dalle regioni. Non soldi a fondo perduto, ma temporaneamente a favore delle Pmi che hanno bisogno di piccoli importi, ad esempio 5mila euro, per risollevarsi”. Non bisogna dimenticare, sottolinea Mazzucchelli “che spesso le piccole e medie imprese, pur vantando crediti nei confronti di altre o dello Stato, si ritrovano a fare i conti con l’Agenzia delle Entrate e con Equitalia”. E di fronte alle banche “che hanno ‘chiuso’ l’accesso al credito, l’imprenditore non riesce più a far fronte ai pagamenti dei fornitori e agli stipendi dei dipendenti. A peggiorare la possibilità di ripartire la segnalazione alla ‘centrale rischi'”. Per uscire dal circuito vizioso “è fondamentale una riduzione delle imposte -conclude- per garantire una maggiore competitività e far ripartire il mercato interno”. Mentre il governo sembra vedere la luce in fondo al tunnel della crisi, il buio sembra ancora dominare tra lavoratori in difficoltà, disoccupati e imprenditori, ma una telefonata a volte può davvero allungare la vita.

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Fonte: Controlacrisi

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La fuga della generazione perduta

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Monti si confessa al settimanale Sette, ma il prete sembra lui. Un banchiere figlio di banchieri, grigio e triste, sentenzia la morte della generazione dei 30enni. Forse ha ragione. Ma chi al G8 di Genova aveva avvisato il Mondo del disastro economico imminente puo’ ancora esalare l’ultimo respiro: il colpo di coda prima di fuggire a testa alta.

Il premier Mario Monti si è confessato con Sette, il settimanale del Corriere della Sera. In effetti il titolo è azzeccato, solo che il prete sembrava proprio l’economista lombardo e non il giornalista. Emerge un uomo grigio, triste e pieno di limiti. E soprattutto emerge un vecchio banchiere, figlio di banchieri. Con la crudezza e il realismo di chi gioca con i soldi, riferendosi ai 30enni, ha definito “perduta” questa generazione a cui si puo’ solo limitare qualche danno. Come un becchino che seppellendo la salma aggiusta i fiori sulla lapide prima della sepoltura. Eppure la fotografia, o l’estrema unzione, di Monti non è sbagliata. È vero, come generazione siamo perduti e navighiamo a vista. Colpa di uomini di potere politico-finanziario come l’attuale presidente del Consiglio e un po’ colpa nostra. Siamo cresciuti con i miti del Novecento attraversandone la sua fine. Pensavamo che quei valori ci avrebbero guidato mentre erano ormai verso il declino. Abbiamo poca propensione al mutuo soccorso e alla organizzazione collettiva. Attualmente l’unica reazione della generazione cresciuta negli anni novanta è la fuga. Necessità, ultima spiaggia o definitiva ostilità verso il proprio Paese, come canta Caparezza, “da qua se ne vanno tutti”. Negli ultimi giorni ho chiacchierato con tre ragazzi di età compresa tra i 25 e i 35 anni. Sara raggiungerà il suo fidanzato (italiano) ricercatore a Manchester. Enrico, ricercatore, ritroverà la sua fidanzata (italiana) ricercatrice ad Aberdeen, Scozia. Pasquale, laureando, in attesa della tesi se ne va a Londra e magari per rimanerci. La fuga sembra l’unica soluzione. Anche se per accontentare il nostro Monti servirebbe un esodo: in Italia ci sono 2 milioni di giovani disoccupati. È il caso di approfittare del mese di agosto e organizzare le navi come nel primo novecento: mollate gli ormeggi, i bastimenti possono partire. Eppure credo che i 30enni perduti e moribondi possano essere ancora una mina vagante. Capaci di aver previsto la crisi 7 anni prima a Genova, nelle giornate di luglio del G8; e  presenti per le tante emergenze e terremoti degli ultimi anni, mentre le cricche ridevano contando i soldi dei loro affari. Alla fine questa generazione, la mia generazione, è tutto e il contrario di tutto: scappa e ritorna, si ribella e obbedisce, assalta il cielo e poi ritorna con i piedi saldati a terra. E forse puo’ ancora regalare il colpo di coda: cacciar via il becchino prima di fuggire (o morire) a testa alta.

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Fonte: fanpage.it


La Francia tassa i ricchi, abbassa età pensionabile e aumenta i salari. Alla faccia della Fornero

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Ha aumentato il salario minimo del 2%. Ha abbassato la soglia per le pensioni di anzianità a 60 anni. Ha annunciato un’aliquota sui redditi dei ricchi al 75%, una tassa sui dividendi del 3% e sulle scorte petrolifere del 4%. Ha assicurato che aumenterà i contributi – già altissimi – e l’imposta di successione e che recupererà la vecchia patrimoniale. Infine, ha promesso 65mila assunzioni nel settore pubblico. Insomma, per i fautori del libero mercato e delle riforme strutturali, François Hollande è un incubo. Se Mario Monti avesse azzardato una sola di queste misure, il famigerato spread avrebbe toccato vette inarrivabili.

Eppure, tutto tace. Mentre sui quotidiani stranieri, in particolare su quelli anglosassoni, i titoli continuano a somigliarsi tutti (tra i più gettonati: «la luna di miele finirà presto» e «la vie en rose durerà poco»), sui mercati finanziari l’incantesimo regge. Anzi. Non più tardi di lunedì i rendimenti sui titoli di Stato francesi a tre e a sei mesi, per la prima volta nella storia, sono stati negativi. Segno che il mercato pensa che la Francia somigli molto più alla Germania che alle peccaminose Italia o Spagna. Segno che la “rossa” Parigi è diventato un porto sicuro, alla pari dei Paesi “falchi” guidati da austeri conservatori à la Merkel che anelano allo zero deficit come alla panacea di tutti i mali.
Certo, anche Hollande si è impegnato sul rigore. I numeri però sono numeri. Nel primo trimestre dell’anno il debito è salito all’89,3% del Pil e il deficit veleggia a fine anno verso il 4,5%. Il premier Jean-Marc Ayrault si è impegnato a ridurlo sotto il 3% l’anno prossimo e di azzerarlo quello dopo. Ma anche le stime sul Pil sono state riviste allo 0,4% quest’anno e all’1-1,3% per l’anno prossimo. E Hollande non ci pensa neanche, per dire, a rimandarsi le assunzioni nel pubblico o a toccare la legge sui licenziamenti come gli chiedono in molti.
Gli analisti, ovvio, avvertono che bisogna guardare ai rendimenti dei bond decennali e non a quelli a brevissimo termine. E che nei prossimi mesi sono destinati a risentire dell’«effetto Hollande», se non farà anche riforme strutturali. Però lo spread francese, intanto, è inchiodato a 110 punti, a distanze siderali dal nostro. Con tutto che in Francia, negli ultimi 5 anni sono spariti 400mila posti nel manufatturiero e il Pil pro capite è sceso negli ultimi 10 dal 95 al 90% di quello tedesco. E con tutto che una settimana fa i maggiori economisti e imprenditori hanno chiesto allarmati uno «shock per il rilancio della competitività», che è un noto punto debole dell’economia oltralpe. I mercati, per ora, se ne infischiano.
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