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Come era nell’aria, Grillo ed il suo movimento hanno ottenuto uno strepitoso successo alle amministrative sfondando nelle città del Nord e sembra avviato ad un notevole successo nazionale che potrebbe anche superare il 10%. Va detto che nei centri minori il movimento esiste poco anche al nord e che nel sud (anche in una grande città come Palermo) si attesta su percentuali assai inferiori. Va però considerato l’effetto “valanga” che può determinarsi con questo risultato e che la credibilità dei partiti ormai sta sprofondando nei numeri negativi. La crisi inizia a mordere e chiede atteggiamenti radicali, mentre l’esperimento di Monti sembra avviato ad un malinconico declino. Questo sta creando una forte reazione da parte dei partiti (cosa del tutto comprensibile) che cercano di esorcizzare il fantasma con l’accusa di demagogia antipolitica ecc. Un numero di varietà già visto e fallito con la Lega 20 anni fa. Ma Grillo raccoglie antipatia anche da Sel, Rifondazione ed Idv (che ne temono la concorrenza) e dall’estrema sinistra dei centri sociali e del sindacalismo di base che non ne apprezzano le sortite di destra e l’esasperato legalismo.
Lasciamo perdere il Pd, ma anche la sinistra parlamentare che aspira a rientrare in Parlamento, farebbe meglio ad interrogarsi sul perché in Germania, Francia, Portogallo, Grecia, Spagna, Islanda la sinistra anticapitalistica aumenta i suoi voti ed oltrepassa spesso l’8%, mentre in Italia non si schioda dal 5% e sostanzialmente non supera il trauma del 2008. Il M5s inizialmente composto da una buona fetta di simpatizzanti di sinistra delusi (parlo del Vaffa day di 5 anni fa), ha poi aggiunto componenti assai diverse ed il movimento è cresciuto a “macchie di Leopardo”: con percentuali elevate in Piemonte (dove ha influito la protesta no Tav) ed a Bologna (dove si sentiva l’effetto degli errori del Pd nella scelta dei candidati sindaci), ed ora dilaga negli altri centri settentrionali. Grillo sta tentando anche lo “sfondamento” sull’elettorato leghista squassato dagli scandali e per questo ha accentuato alcuni accenti discutibili (il corteggiamento agli evasori fiscali, la frase infelice sulla mafia).
Siamo in presenza di un movimento che ha molti punti di contatto con quelli del “punto di confusione” di cui abbiamo detto nell’articolo precedente.
In primo luogo, siamo esattamente in un momento di crisi frontale del sistema politico, che tocca il grado più basso della sua credibilità e questo non avviene solo in Italia, ma, per effetto della crisi, anche in molti altri paesi europei, nei quali, infatti, si stanno affacciando movimenti di protesta di tipo populista. E, come abbiamo detto, è esattamente in questi momenti che si manifestano movimenti caratterizzati da elevata disomogeneità interna ed accomunati dalla protesta verso il sistema.
E, infatti, va considerata la forte eterogeneità sociale del M5s: ormai il ruscello degli inizi sta diventando un torrente in piena che mescola giovani esacerbati per il furto di futuro che stanno subendo e pensionati ai limiti della sussistenza, lavoratori autonomi esasperati dalla pressione fiscale ed evasori incalliti, cittadini disgustati dei privilegi da satrapi dei nostri politici e furbetti che fanno conto di avviare una facile carriera politica con una manciata di voti personali, lavoratori precari che non si sentono rappresentati dai sindacati e padroncini che odiano i sindacati perché ostacolano lo sfruttamento dei lavoratori, valligiani xenofobi e pezzi di movimenti antimafia. Insomma di tutto un po’ ed anche del contrario di tutto. In qualche modo, è lo stesso Grillo (come spesso succede ai leader carismatici) ad incoraggiare queste confluenze eterogenee, mescolando elementi di discorso politico di sinistra (come la richiesta di maggiore partecipazione democratica o la difesa dei beni comuni contro le privatizzazioni) con elementi fungibili tanto a destra che a sinistra e condotti spesso in modo ambiguo (la critica al sistema finanziario, la protesta contro la corruzione, l’ ambientalismo, il richiamo al principio di legalità ecc.) con discorsi propriamente di destra (le sparate contro gli immigrati –imperdonabili-, le strizzate d’occhio agli evasori fiscali, qualche uscita infelice in tema di omosessuali o di lotte operaie).
In terzo luogo il discorso di Grillo presenta un tratto tipico del populismo: la speranza, del tutto infondata, di trovare soluzioni semplici ed immediate a problemi complessi. Intendiamoci: il più delle volte i movimenti populisti partono da esigenze giustissime cui, troppo spesso, politici ed intellettuali “di corte” rispondono con discorsi speciosamente complicati ed incomprensibili per respingere quelle domande. Questo è vero, ma non significa che quelle esigenze possano essere soddisfatte con ricette semplici. Accade allora che il bisogno di una comunicazione immediatamente comprensibile anche dagli strati meno colti della società spinga a semplificare indebitamente il discorso, prospettando soluzioni miracolistiche, ottime per mobilitare ma inefficaci o irrealizzabili, con l’esito finale che l’attenzione si sposta sempre di più dalla credibilità del discorso a quella del leader.
Fuori discussione l’onestà personale di Grillo e il suo desiderio di servire il paese e la democrazia senza aspirazioni personali di carriera (ha ripetuto spesso di non essere disposto a candidarsi e penso gli si possa credere). Il punto è un altro: le dinamiche oggettive del “punto di confusione” che possono spingere un movimento anche lontano dalle intenzioni di chi lo ha promosso. Ne deriva che il necessario sforzo di rifiutare una dimensione minoritaria e di omogeneizzare domande politiche potenzialmente confliggenti fra loro, piuttosto che unificarsi intorno ad una strategia politica –che richiede una operazione culturale di alto profilo- finisce per trovare il suo punto di convergenza nella funzione del leader.
E questo apre la strada a diversi esiti “pericolosi”: se è vero che Grillo (per ragioni di età, per il suo modo di porsi più come “testimonial” che come capo del movimento, per le sue caratteristiche di disinteresse personale e di ispirazione democratica, nonostante qualche caduta come quelle ricordate) non va in questa direzione, è anche vero che il carattere poco strutturato del M5s (altro punto di contatto con i movimenti protestatari del “punto di confusione”) potrebbe obbligarlo a svolgere controvoglia questo ruolo oppure costringerlo ad inseguire il suo stesso movimento che potrebbe sfuggirgli di mano. E il meno che possa accadere è che finisca per regalarci altri Scilipoti, Razzi, De Gregorio e via di questo passo. L’assenza di una cultura politica omogenea e al livello dell’ampiezza dei consensi raccolti potrebbe rivelarsi determinante in questo senso.
D’altra parte, non è affatto detto che le cose debbano andare in questo modo e che l’unica alternativa sia fra la nascita di un pericoloso movimento populista di destra ed il fallimento del movimento. Anzi, nonostante le citate deprecabili uscite di Grillo, va detto che questo movimento ha in sé notevoli potenzialità di segno opposto che sarebbe sciocco non vedere.
In secondo luogo c’è un aspetto ambiguo del discorso di Grillo che però non è detto debba sciogliersi per forza in senso negativo. Parliamo delle sue campagne sulla finanza che ormai risalgono a circa 10 anni, quando ancora la crisi non si era manifestata. E qui la sinistra deve farsi una autocritica da saio penitenziale ed autoflagellazione: il Pd è da sempre il cavalier servente dei poteri finanziari, “spalmato” sui desiderata dei maggiori gruppi bancari del paese ed incapace di dire qualcosa di sensato sulla crisi, Vendola ha deciso che non è un argomento di cui valga la pena di occuparsi e parla d’altro (esattamente come i Verdi ecc.) e Ferrero, su questo come sul resto, apre bocca per dare aria ai denti. Quanto alla base della sinistra (dal Pd al sindacato e ai centri sociali) dobbiamo costatare che è affetta da una crisi di rigetto nei confronti del tema: si intuisce che il nemico stia lì, ma ci si rifiuta con decisione di capire come funzioni la cosa. Un rifiuto “di pancia” che non ammette sforzi di testa; e me ne accorgo sia quando mi capita qualche dibattito con sindacalisti (che se la prendono con la “cattiveria” delle banche) sia a lezione, quando cerco di spiegare ai miei studenti il nesso fra globalizzazione e finanziarizzazione e vedo facce da sala d’attesa del dentista. Posso anche capire che il tema risulti ostico ai più, con le sue formule esoteriche ed i suoi astrusi calcoli: d’accordo, ma se la sinistra non capisce che è su questo terreno che ci si sta scontrando, la battaglia è persa.
Grillo lo fa in modo discutibile: senza un minimo di dimensione di classe del fenomeno ed in compagnie molto poco raccomandabili di estrema destra. D’accordo, ma ha riempito il vuoto lasciato dagli altri. Il problema è: perché la sinistra ha smesso di capire il mondo ed ha perso la sua cultura politica che aveva il suo cuore proprio nella critica dell’economia politica? E questo è proprio grave per quelli che pretendono di essere gli eredi di Karl Marx (che nella tomba starà facendo i salti mortali).
L’M5s non va assunto come un avversario pregiudiziale o, all’opposto, come l’Arca della salvezza su cui imbarcarsi. Niente demonizzazioni e niente esaltazioni. Anche in questo caso vale l’aurea regola: “Humanas actiones nec ridere nec lugere neque detestari, sed intelligere”.
Si tratta di un movimento in formazione e, come tale, aperto a diversi possibili esiti: non è detto che l’albero debba necessariamente cadere da destra, anzi, intelligenza vorrebbe che ci impegnassimo a farlo cadere da sinistra, sciogliendo le ambiguità in senso progressista e di classe.
Bisogna mantenere un atteggiamento critico: respingere le uscite inaccettabili come quelle sull’immigrazione, ma valorizzare i punti di contatto, cogliere ogni occasione di convergenza per spingere il M5s a definire una sua cultura politica in senso libertario, democratico, egualitario.
Ma per fare questo occorre avere idee chiare e proposte forti: siamo in grado di dire questo dello stato in cui versa tutta la sinistra?
Aldo Giannuli
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Fonte: ALDOGIANNULLI.IT
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