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Il commento del giornalista che era nella scuola Diaz
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Antonio Manganelli, la polizia di Stato e Genova G8
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La morte del capo della polizia e il cordoglio per una fine prematura. Nel diluvio di commenti, un contributo utile a inquadrare meglio la figura di un uomo dello Stato e le sue scelte su un caso delicato, affrontato in modo pessimo da lui e dal suo predecessore. La questione delle “scuse” per la Diaz: tardive, ambigue e reticenti
di Lorenzo Guadagnucci
La morte prematura di una persona è un fatto triste che merita rispetto e Antonio Manganelli è un uomo che ha lottato e sofferto per la malattia: è giusto quindi manifestare ai familiari e agli amici solidarietà e dispiacere. D’altronde Antonio Manganelli era da molti anni un personaggio pubblico e oggi in questa chiave se ne parla: raccontandone la carriera e i passaggi più importanti del suo impegno pubblico. È giusto farlo senza tacere niente, per rispetto verso l’uomo di stato.
Non ho conosciuto personalmente Manganelli ma dopo Genova G8 mi sono indirettamente imbattuto in lui continuamente, poiché ha guidato la polizia di stato dal 2007, ed essendo stato uno dei vice di Gianni De Gennaro fin dal 2000. Le critiche mie e di molti altri che hanno vissuto il post Genova G8 nella società e nei tribunali non sono certo mancate.
Manganelli detiene una quota parte altissima di responsabilità per la pessima prova data dalla polizia di stato nel dopo G8. Pensiamo solo al processo Diaz. Si è chiuso in primo grado nel 2008, in appello nel 2010, in Cassazione nel 2012: tutti passaggi chiave affrontati dalla polizia di stato senza mai cambiare quell’atteggiamento protervo messo in atto fin dal 2001, quando fu chiaro che il G8 di Genova sarebbe passato alla storia come una pagina nerissima nella storia della polizia italiana.
La polizia di De Gennaro e Manganelli è la polizia che rifiuta ogni autocritica, che ostacola il lavoro dei magistrati, che tiene in servizio gli imputati e i condannati, arrivando a promuovere quelli di grado più alto; è la polizia che non prende alcun provvedimento disciplinare per i picchiatori sfuggiti ai processi (perché non riconoscibili) né per i condannati e i prescritti giudicati colpevoli di gravi reati in tre gradi di giudizio. Antonio Manganelli è il capo della polizia che assiste indifferente alle manipolazioni tentate e in parte realizzate nell’ambito del processo Diaz (l’ex questore di Genova è stato anche condannato in primo grado per falsa testimonianza).
Da cittadino che ha subito un grave abuso da parte di uomini dello stato, posso dire di non avere mai percepito il capo della polizia (De Gennaro prima, Manganelli poi) come un funzionario deciso a mettersi dalla mia parte di cittadino privato ingiustamente di diritti fondamentali.
Si dice ora che Manganelli ha avuto il coraggio di chiedere scusa dopo la condanna definitiva nel processo Diaz. Certo il suo commento fu migliore di quello espresso dal suo predecessore De Gennaro, nel frattempo diventato sottosegretario, ma è bene precisare, come in molti facemmo all’epoca, che si trattò di scuse tardive e reticenti. L’esatta espressione fu:
«Ora, di fronte al giudicato penale, è chiaramente il momento delle scuse. Ai cittadini che hanno subito danni ed anche a quelli che, avendo fiducia nell’istituzione-polizia, l’hanno vista in difficoltà per qualche comportamento errato ed esigono sempre maggiore professionalità ed efficienza»
Fu un pronunciamento del tutto insufficiente. Manganelli non chiese scusa in modo esplicito e diretto: scelse un’espressione ambigua -“è il momento delle scuse”- e non la accompagnò né con le dovute spiegazioni e precisazioni né con provvedimenti concreti. Per che cosa in definitiva Manganelli chiedeva così sibillinamente scusa?
Chiedeva scusa perché la polizia inflisse un pestaggio brutale a 93 cittadini? Perché ne spedì tre in coma e altri 60 in ospedale? O perché tutti e 93 furono arrestati sulla base di prove costruite dalla stessa polizia? O perché il verbale d’arresto e la ricostruzione ufficiale consegnata ai magistrati e ai media erano totalmente falsi? O per gli ostacoli frapposti all’azione della magistratura? Forse per le bombe molotov sparite dal processo? O per il rifiuto di dare un nome e cognome ad agenti fotografati o filmati mentre commettevano abusi? O per il fatto che nessuno dei dirigenti coinvolti è mai stato sospeso e qualcuno ha invece migliorato la propria posizione? Si potrebbe continuare con le domande…
E resterebbe comunque il fatto che un messaggio di scuse così reticente, non può essere recapitato a undici anni di distanza dai fatti e solo perché la magistratura ha emesso finalmente – e nonostante la polizia di stato – una sentenza di condanna definitiva. I fatti storici, cioè che la perquisizione alla scuola Diaz fu in realtà un brutale pestaggio seguito da una serie incredibile di falsi, sono noti e accertati da almeno dieci anni, a prescindere dalle sentenze della magistratura. Se i pm non fossero riusciti a individuare responsabilità penali, forse non ci sarebbe stato da chiedere scusa?
Antonio Manganelli se ne è andato e molti lo stanno ricordando -giustamente- per la complessità della sua lunga carriera, ma credo che sia altrettanto giusto, da parte di chi lo ha incontrato in una fetta non secondaria del suo impegno (Genova G8 e tutto ciò che ne consegue), ricordare come abbiamo sempre fatto che lascia un’eredità -almeno su questo versante- gravata dal peso di errori non piccoli e destinati a pesare ancora a lungo sull’immagine e la credibilità della polizia di stato.
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Fonte: altreconomia
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