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Dove ti Curi. Scopri i migliori (e i peggiori) ospedali d’Italia

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Per aiutarti a capire dove ti curi, ma anche dove vanno i tuoi soldi di contribuente, Wired pubblica i dati integrali sulla qualità delle cure in tutti i 1.200 ospedali italiani, pubblici e privati, raccolti dall’Agenzia nazionale per i servizi sanitari (Agenas) del ministero della Salute. Per ogni ospedale, Agenas ha raccolto gli esiti delle cure per le principali patologie. Sono gli indicatori utilizzati in tutto il mondo e rappresentano le operazioni chirurgiche più comuni, come l’intervento a seguito di infarto oppure per frattura del femore (un parametro prezioso per comprendere la bontà delle cure agli anziani). Per ognuno di questi indicatori, ogni ospedali mostra un valore percentuale: l’indice di rischio. Questa variabile rappresenta la percentuale dei pazienti deceduti sul totale dei ricoveri effettuati. Un valore poi aggiustato, cioè corretto per rimuovere tutti i fattori che possono alterarlo a monte. Per esempio, l’età del paziente, la presenza di altre malattie durante l’operazione oppure la gravità delle sue condizioni. In questo modo gli ospedali di tutta Italia diventano davvero confrontabili. Con un po’ di buon senso, poi, è facile evitare i trabocchetti: un piccolo ospedale con due pazienti l’anno e decessi non è comparabile a un grande policlinico con migliaia di pazienti e, ovviamente, più rischi.

Da dove arrivano esattamente questi dati? Ogni anno Agenas raccoglie i valori presenti nelle schede di dimissione ospedaliera (Sdo) che l’ospedale compila per le dimissioni di ogni paziente ricoverato. Da tutte le schede di dimissione ospedaliera vengono calcolati gli indici di rischio con cui il ministero della Sanità tiene sotto controllo le performance dei vari nosocomi. Un lavoro imponente che fino allo scorso anno veniva eseguito in silenzio. Solo nel 2012, infatti, questi dati stati resi accessibili ai medici e ai giornalisti accreditati. Wired li pubblica integralmente per la prima volta in un formato ricercabile.

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Fonte: WIRED.IT

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Cinghiali radioattivi: Chernobyl o nucleare italiano?

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I cinghiali radioattivi della Valsesia. Eredità di Chernobyl o del nucleare italiano?

di Umberto Mazzantini

E’ noto che non solo nell’area proibita di Chernobyl, ma anche in aree interessate dal fall-out del più grande disastro del nucleare civile della storia, ci sono animali con alti livelli di radioattività. Proprio per questo in Germania in alcune aree la caccia al cinghiale è vietata e la legge tedesca sull’energia atomica risarcisce i cacciatori che abbattono animali troppo contaminati per poter essere mangiati. Ora questo incubo radioattivo si è presentato anche in Italia. Ieri sera  il ministero della salute ha comunicato che «Tracce di cesio 137, oltre la soglia prevista dal regolamenti, sono stati riscontrati in seguito a controlli nella lingua e nel diaframma di cinghiali del comprensorio alpino della Valsesia. Sono stati analizzati campioni di lingua e diaframma di capi abbattuti durante la stagione venatoria 2012/2013. Su 27 campioni il livello di cesio 137 è risultato superiore allo soglia indicata dal Regolamento 733 del 2008, come limite tollerabile in caso di incidente nucleare».

I campioni erano stati prelevati per essere sottoposti ad una indagine sulla trichinellosi, una malattia parassitaria che colpisce prevalentemente suini e cinghiali, poi  sono stati sottoposti a un test di screening per la ricerca del Cesio 137, per mettere a punto la metodica stessa, coerentemente con la Raccomandazione della Commissione Europea del 14 Aprile 2003 (2003/274/CE).  «I risultati hanno evidenziato la presenza di un numero consistente di campioni  con livelli di Cesio 137 superiori a 600 Bq/Kg (Becquerel per Kilo, unità di misura per il cesio 137) – spiega il ministero – I valori dei campioni oscillano in un range tra 0 e 5621 Bq/Kg e 27 campioni presentano valori al di sopra dei 600 Bq/kg. Ad oggi dei 27 con valore superiore alla soglia ne sono stati inviati 10 al Centro di Referenza Nazionale per la Ricerca della Radioattività nel Settore Zootecnico Veterinario dell’IZS di Puglia e Basilicata; 9 sono stati confermati, con la metodica accreditata, con valori superiori ai 600 Bq/Kg. Il decimo campione ha un valore attorno ai 500 Bq/Kg. E’ programmato l’invio dei 17 rimanenti campioni positivi allo screening al Centro di Referenza nazionale di Foggia. Il cesio 137 è un isotopo radioattivo rilasciato, tra l’altro, nel 1986 dalla centrale di Chernobyl».

Anche Gian Piero Godio, un esperto in questioni nucleari di Legambiente Piemonte e Val d’Aosta, parla di un’eredità del fall-out  del disastro nucleare del 1986: «Non può essere altro che la ricaduta delle emissioni della centrale di Chernobyl. Altre spiegazioni non potrebbero esserci: il comprensorio della Valsesia non presenta alcuna sorgente radioattiva. La causa più probabile del contagio sono le sostanze emesse in seguito all’incidente nucleare dell’86. Anche se i livelli di Cesio 137 riscontrati negli animali abbattuti mi sembrano quasi inverosimili».

Elena Fantuzzi, responsabile dell’Istituto di Radioprotezione dell’Enea, in un’intervista al Corriere della Sera avanza anche altre ipotesi: «Il cesio 137 è un radionuclide artificiale prodotto dalla fissione nucleare. Viene rilasciato da siti nucleari. Le ipotesi più immediate sono quelle secondo cui potrebbe essere stato rilasciato in seguito all’incidente nella centrale nucleare di Chernobyl del 1986. Ma bisogna considerare anche i siti nucleari nella zona, fra i quali la centrale di Trino Vercellese smantellata nel 1987 e il sito sperimentale dell’Enea, a Saluggia. Non è esclusa neppure la pista dei rifiuti tossici.  Bisognerebbe considerare anche il metabolismo dei cinghiali, capire se ha caratteristiche tali da favorire l’accumulo del cesio 137 al di sopra dei limiti considerati sicuri».

Coldiretti è molto preoccupata: « Occorre estendere immediatamente le analisi ad altri animali selvatici e fare al più presto chiarezza sulle fonti di contaminazione in un Paese come l’Italia che ha fatto la scelta di non avvalersi del nucleare, a differenza di quanto accade nei Paesi confinanti». La più grande associazione degli agricoltori italiani sottolinea che «Iil disastro nucleare di Fukushima in Giappone ha aumentato la sensibilità a livello nazionale dove per un italiano su quattro (24%) la contaminazione dell’ambiente è il pericolo più  temuto che batte addirittura gli effetti della crisi economica (20%), le paure per la salute che derivano dal consumo dei cibi (17%), il rischio di un incidente automobilistico (11%), la criminalità e la malattia entrambe fonte di preoccupazione per il 10% della popolazione, secondo una elaborazione della Coldiretti, sulla base dei dati Eurobarometro».

Il ministro della Salute Renato Balduzzi, in accordo con le autorità sanitarie e la presidenza della Regione Piemonte, «Ha immediatamente attivato il Comando dei Carabinieri del Nas e del Noe, nel cui Reparto operativo è inserita una Sezione inquinamento da Sostanze radioattive, (orientata al contrasto di traffici illeciti di rifiuti e materiali radioattivi e dotata di complessi laboratori mobili di rilevamento), che insieme alla Direzione Generale per l’igiene e la sicurezza degli alimenti e la nutrizione dello stesso Ministero coordineranno tutti gli accertamenti». Il ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, ha dato disposizione al comandante dei carabinieri del Nucleo operativo ecologico, il generale Vincenzo Paticchio, di fare tutti accertamenti necessari ad individuare la causa della contaminazione.  La prima riunione urgente di coordinamento è prevista per oggi.

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Fonte: greenreport.it

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Approfondimento (Ki)

Disastro di Černobyl’

Centrale elettronucleare di Trino

L’ impianto ex-ENEA EUREX di Saluggia (Vercelli)

Cinghiali radioattivi in Germania a 24 anni da Chernobyl    (14/12/2010)

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Scarpe tossiche al cromo

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Bata ritira scarpe tossiche, contengono cromo esavalente

Il noto marchio di calzature Bata ha ritirato dal mercato alcuni modelli di scarpe tossiche all’interno delle quali sono state trovate tracce di cromo esavalente, una sostanza cancerogena utilizzata per la concia delle pelli. La decisione, risalente allo scorso 21 febbraio, è la conseguenza di un servizio andato in onda durante Patti Chiari, trasmissione dedicata ai consumatori parte del palinsesto della Radiotelevisione svizzera (RSI).

Il servizio, andato in onda il 22 febbraio, ma il cui contenuto era stato anticipato dalla stessa RSI agli inizi del mese, aveva svelato che in 14 delle 21 paia di scarpe acquistate da Patti Chiari nella Svizzera italiana e a Como erano presenti tracce di cromo esavalente (detto anche cromo VI). All’interno delle calzature questi residui possono avere un effetto allergizzante e scatenare forme di dermatite anche cronica.

L’inchiesta, girata in Bangladesh, ha rilevato livelli di cromo VI anche 15 volte superiori rispetto ai limiti consigliati dalle autorità europee. Le normative vigenti a livello internazionale non sono, però, univoche. Per quanto riguarda l’Unione Europea, le disposizioni in materia non riguardano tutte le calzature. Esiste, infatti, solo un limite obbligatorio di 10 mg per kg nelle calzature ad uso professionale. Lo stesso limite deve essere rispettato dalle calzature recanti il marchio Ecolabel.

Ogni nazione ha, però, la sua propria legislazione a proposito. In alcune le restrizioni sono maggiori, come avviene in Germania, dove il tetto da non superare è imposto a 3 mg per kg. Per quanto riguarda l’Italia e la Svizzera, attualmente non esiste una normativa che regoli le quantità massime di questo metallo nelle scarpe.

Dopo la diffusione della notizia Bata ha provveduto ad effettuare test interni all’azienda, che avrebbero dimostrato che le quantità di Cromo VI nei modelli incriminati non sono superiori a quelli ammessi dalle normative internazionali. Il ritiro è però precedente alla diffusione della notizia di questa nuova verifica.

Accanto a Bata, anche Vögele, altra importante azienda calzaturiera, ha ritirato dal mercato le scarpe incriminata. In totale i modelli eliminati dagli scaffali sono quattro. Nei giorni scorsi uno scandalo simile ha coinvolto cinque marchi di abbigliamento per bambini.

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Fonte: benessereblog.it

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