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OGM – Decreto pronto: ministro firma! Intanto, Monsanto semina in Friuli.

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Ogm, melina del Governo: decreto pronto ma nessuno firma. E Monsanto semina in Friuli

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di fabio sebastiani

Il decreto per fermare gli OGM in Italia, a tutela della biodiversità e dell’agricoltura sembra sia pronto da tempo, ma manca la firma definitiva del ministro. E intanto la Monsanto sparge i suoi prodotti nocivi. La risposta del ministro Lorenzin? Allo studio un testo inattaccabile. Nei giorni scorsi c’è stata la mobilitazione di Greenpeace, ovviamente ignorata dal mainstream dell’informazione, con al centro la semina di mais MON810 della Monsanto in Friuli che, affermano gli attivisti, rischia di essere ripetuta in altre regioni.

“Nonostante dichiarazioni e proclami, ancora nessuno dei ministri competenti ha adottato misure idonee a bloccare la contaminazione in corso e a vietare definitivamente la coltivazione di OGM in Italia – denuncia Greenpeace –. Sia il Senato che la Camera hanno firmato mozioni unitarie per impegnare il Governo a vietare la coltivazione di OGM. I ministri De Girolamo, Orlando e Lorenzin sono le autorità in grado di procedere in materia. In particolare, sulla scrivania del ministro della Salute Beatrice Lorenzin, sosta da settimane il dossier che permettere l’adozione di misure emergenziali per fermare queste semine”.

Sono già otto i Paesi europei (Austria, Francia, Germania, Lussemburgo, Ungheria, Grecia, Bulgaria, Polonia) che hanno adottato il divieto alla coltivazione del mais MON810 della Monsanto. E in pochi giorni, attraverso il sito www.StopOgm.org, oltre 55 mila persone hanno inviato al ministro della Salute la richiesta di fermare gli OGM. “Per farlo, al ministro Lorenzin basta firmare il decreto che attiva le misure di emergenza contro il mais MON810, così da vietarne la coltivazione e tutelare il modello economico e sociale di sviluppo dell’agroalimentare italiano”, spiega l’associazione ambientalista. “Gli OGM e il tipo di agricoltura di stampo industriale che rappresentano costituiscono un rischio per ambiente e salute. Un modello che è estraneo al percorso scelto dalla parte migliore dell’agricoltura italiana. Fermarli è un obbligo”, afferma Federica Ferrario, responsabile campagna Agricoltura Sostenibile di Greenpeace.

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Fonte: controlacrisi.org

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Approfondimento

Allarme OGM in Italia. Firma la Petizione!

Articoli NO-OGM e Monsanto!

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Francia NOTAV – Manifestazione a Modane. “Les Vallées qui résistent!”

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Foto di  Luca Perino  29/giu/2013

Foto di Luca Perino 29/giu/2013

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Report della Manifestazione a Modane: les Vallées qui résistent!

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Anche la Francia si muove. Nonostante le maldestre bugie della lobby del TAV e dei suoi pennivendoli, alla faccia dei vari Virano ed Esposito, l’opposizione al TAV si concretizza anche in Francia, a partire dai territori che sono già stati investiti dalle discendererie e che, traendo stimolo dalla nostra lotta, hanno deciso di opporsi concretamente al progetto del megatunnel  e all’ulteriore devastazione della propria vita.

Proprio perché la lotta è comune e insieme si è più forti, abbiamo partecipato alla manifestazione NO TAV ,  che oggi si è svolta in Francia da Modane a Villarodin.

Un pullman e varie auto hanno lasciato il sole velato della Valle per immergersi nella pioggia e nel vento della Val d’Arc.

I soliti noti ci aspettano al tunnel del Frejus, dove per l’occasione vengono puntigliosamente controllati tutti i mezzi in transito. Ma noi abbiamo deciso di passare dal Colle del  Moncenisio, un paesaggio di alte vette, sempre affascinante, con le sue solitudini punteggiate di greggi e mandrie.

Nessun controllo fino a Lanslebourg, dove ad attenderci troviamo tre mezzi della Gendarmerie. Abbiamo escogitato di “travisarci” da pellegrini ( del resto, a guidare il pullman c’è il gran maestro degli scherzi, Giacu di Clarea, per l’occasione italianizzato in “Giacomo”…) Sconcerto dei poliziotti che, saliti a bordo per controllare i documenti, si trovano in piena recita del Rosario. Dopo aver chiesto intimoriti la destinazione (ma hanno fermato il pullman giusto?),  avendo constatato che non siamo diretti a santuari e che quindi non sono a rischio le relazioni diplomatiche con il Vaticano, ci lasciano ripartire, con evidente loro sollievo e nostre risate.

A Modane ci attende una piccola folla colorata con striscioni, bandiere, tamburi, palloncini rossi a forma di cuore.

La passeggiata parte puntuale. Lungo il percorso si distribuiscono volantini. Gente affacciata alle finestre guarda sfilare il corteo non numeroso, ma vario e dignitoso.

I controlli polizieschi sono  quasi inesistenti o comunque non appariscenti

Rriconosciamo i poliziotti che ci hanno “accolti “ all’entrata in territorio francese;spuntano anche facce note di Digos.

Il percorso si snoda lungo il fiume Arc, verso la periferia di Modane, poi tra prati e orti fino ai cantieri della discenderia. Costeggiamo chilometri di reti che contengono il nulla, luoghi degradati e abbandonati, che la natura si sta riprendendo. Nessuna attività, nessun controllo. Se questi sono i lavori del TAV in territorio francese, millantati da Ltf e presentati da Virano e C. come la garanzia che “ in Francia tutto è partito per cui non si potrebbe più tornare indietro”, allora la Clarea è una base militare, l’avamposto di incombenti guerre stellari….

Arriviamo in prossimità del “buco” di Villarodin, il cuore del cantiere. Cumuli di detriti, un parco-macchine che si intravede in disparte, un solo gendarme a presidiare il cancello d’entrata, completamente spalancato. Qualcuno si avvicina al varco, convinto che si materializzeranno poliziotti in assetto antisommossa ad impedire l’accesso…. Invece niente, solo le raccomandazioni dell’ unico gendarme: visitare ma non danneggiare. Qualcuno sale su una ruspa per una foto ricordo. Poco più di un’ora di viaggio e meno di cento chilometri ci dividono dalla Clarea, ma tutto qui ci sembra anomalo, un altro mondo… come se normalità fosse quella galera a cielo aperto in cui grandi sporchi interessi cercano di trasformare la nostra Valle e la nostra esistenza.

Eppure anche qui i danni ci sono e irreversibili: lo racconta il sindaco di Villarodin, presente alla manifestazione a nome dell’unica amministrazione  che ha preso con forza e ufficialmente posizione contro il progetto della Torino-Lion: il suo Comune, un paesino che si affaccia sopra la discenderia, è investito quotidianamente dalla polvere dei detriti , una fitta nebbia che il vento solleva e porta dritto sulle case. Sabbia e sete, a causa degli scavi che hanno tagliato le vene d’acqua prosciugando sorgenti e pozzi.

Si snodano gli interventi di saluto e di informazione, sono ribaditi  i propositi di lotta comune.

Ripartiamo a sera, sotto un cielo che si sta aprendo.

Ritroviamo la struggente malinconia del Moncenisio con le mandrie che tornano dal pascolo e le marmotte ritte all’erta sulle rocce. Comincia la discesa.

Dal Rocciamelone ci accoglie uno splendente arcobaleno ad abbracciare la Valle che resiste, la nostra valle, la nostra valle sulla Terra, la Terra che è un astro.

Nicoletta

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Fotogallery

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Fonte: NOTAV.INFO

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Tribù amazzoniche Vs petrolieri

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Il Popolo del Giaguaro - Foto: Revistamundoverde.net

Il Popolo del Giaguaro – Foto: Revistamundoverde.net

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di Alessandro Graziadei

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C’era chi i giaguari voleva “smacchiarli” e c’è la tribù amazzonica dei Matsés che vive lungo la frontiera tra Perù e Brasile e prova a non far “smacchiare” i suoi fratelli incontattati minacciati dalla multinazionale petrolifera Pacific Rubiales. Il “Popolo del Giaguaro”, chiamato così per i tatuaggi e le decorazioni del viso, vive attorno al “Lotto 135” nel dipartimento di Loreto dell’Amazzonia peruviana, dove la compagnia canadese-colombiana ha già iniziato le prospezioni petrolifere nonostante questo si estenda in un’area proposta come riserva per le tribù incontattate, ed ha in progetto ulteriori esplorazioni nel territorio Matsés con un progetto da 36 milioni di dollari che prevede lo sfruttamento della foresta pluviale utilizzata dagli Indiani per cacciare e raccogliere.

Vicino ai Matsés, un popolo di circa 2.200 persone, vivono, infatti, altri gruppi indigeni incontattati, sia in Perù sia in Brasile. Negli anni ‘90, i taglialegna invasero la terra Matsés e gli Indiani incontattati fuggirono. “Oggi abbiamo mandato via i taglialegna e gli Indiani stanno tornando. Ma le ambizioni della compagnia petrolifera li costringerà a fuggire di nuovo” ha dichiarato Salomon Dunu, un capo Matsés a Survival International. “I nostri fratelli incontattati vivono nella foresta. Li abbiamo sentiti molte volte, sappiamo che ci sono”, ma “Se i lavori dovessero continuare, gli Indiani incontattati e gli operai della compagnia petrolifera si ritroverebbero entrambi a rischioha ricordato la scorsa settimana il direttore generale di Survival International Stephen Corry. “Gli Indiani sono particolarmente vulnerabili alle malattie trasmesse dall’esterno, verso cui non hanno difese immunitarie, mentre i lavoratori rischiano di essere attaccati dagli Indiani, che li vedranno come invasori nel loro territorio”. Inoltre ha ricordato in un video messaggio Dunu “Siamo un popolo indigeno, e abbiamo bisogno di spazio per vivere. Non abbiamo solo bisogno di spazio per i nostri orti e le nostre case, ma anche per cacciare. Ora, i luoghi dove cacciavamo abitualmente sono tagliati dalle linee sismiche della compagnia petrolifera. Dite al mondo che i Matsés rimangono fermamente contrari alla compagnia petrolifera. Non la vogliamo nella nostra terra per il bene e il rispetto dei diritti nostri e dei nostri fratelli incontattati”.

Per questo i Matsés in collaborazione con Survival hanno inviato un appello urgente agli azionisti della Pacific Rubiales (tra cui Citigroup, JP Morgan, General Electric, Blackrock, HSBC, Allianz, Santander, Legal and General e gli azionisti italiani come ARCA, BNP Paribas, Credit Suisse e Rossini Lux Funds) chiedendo di disinvestire dalla Pacific Rubiales e nella speranza che l’intera area sia al più presto protetta, come le vite degli Indiani incontattati. “Vi scriviamo per farvi pervenire un messaggio da parte degli Indiani Matsés del Perù settentrionale – si legge nella lettera agli investitori (.pdf) – È noto che alcune tribù incontattate vivono nel Lotto 135: se dovessero entrare in contatto con l’esterno, le loro vite, e quelle dei lavoratori petroliferi, sarebbero messe in grave pericolo. I Matsés hanno diritti territoriali sull’area che si trova proprio a nord del Lotto 135, e utilizzano l’area dove lavora la compagnia per cacciare e raccogliere cibo. Il loro territorio ufficiale è stato inserito all’interno di un secondo lotto (il 137), sempre di proprietà della PacificRubiales e in cui la compagnia ha confermato di avere in progetto future prospezioni. […] Vi preghiamo di rispettare le leggi internazionali proteggendo il diritto dei popoli tribali alle loro terre e alla vita. Per questo, chiediamo alla vostra società di disinvestire dalla Pacific Rubiales”.

Una battaglia persa in partenza? No perché cacciare una multinazionale dal proprio territorio è possibile, così come denunciarla di fronte alla Commissione Interamericana per i Diritti Umani e veder riconosciuti i propri diritti: ce lo hanno insegnato gli indigeni Sayaraku, un popolo composto da non più di mille abitanti che abita in Ecuador, sulle rive del Rio Bobonaza, nella zona orientale del paese, anche loro residenti in piena foresta amazzonica. La loro incredibile storia è stata raccontata dall’attivista Sayaraku Eriberto Gualinga, uno dei leader della sua comunità, che ha girato il documentario I discendenti del giaguaro, visibile in Italia grazie ad un tour organizzato all’inizio di giugno di quest’anno da Amnesty International che ha permesso a questa piccola comunità ecuadoriana di far conoscere la sua storia di dignità e resistenza di fronte all’invasione straniera, quando un’impresa petrolifera argentina ha iniziato all’improvviso a svolgere i primi sondaggi petroliferi sotto la protezione militare del Governo ecuadoregno nel territorio Sayaraku. Eriberto ha filmato questi primi tentativi di estrarre il petrolio nel 2002 e le sue riprese sono servite a bilanciare una comunicazione che fino ad allora era stata manipolata dall’impresa petrolifera e dai militari. Nel documentario emerge più volte l’arroganza dei militari e la fierezza dei Sarayaku, con le donne in prima fila durante l’assemblea durante la quale viene scelta la delegazione che si recherà in Costarica per presentare la denuncia di fronte alla Commissione Interamericana per i Diritti Umani.

Il risultato? La Commissione Interamericana ha visitato il territorio Sayaraku e ha toccato con mano i disastri compiuti dall’impresa argentina. Si è trattato di un fatto storico perché mai la stessa Corte, prima d’ora, si era occupata di un popolo indigeno e tantomeno aveva messo alle strette uno stato. Dopo dieci anni di lotte per la difesa del proprio territorio, infatti, la Corte ha reso pubblica la sua sentenza nel giugno 2012, stabilendo che sull’Ecuador pesa “la responsabilità di non aver consultato i Sarayaku in relazione al progetto petrolifero appaltato all’impresa argentina”. Inoltre, la Commissione ha ribadito l’obbligo, per qualsiasi stato, di svolgere una consultazione previa con i popoli indigeni. L’Ecuador ha calpestato questo principio mettendo a rischio il diritto alla vita e all’integrità personale dei Sarayaku, soprattutto permettendo all’impresa argentina di introdurre oltre 1.400 chilogrammi di esplosivo in varie zone del territorio indigeno. Ora dopo l’interruzione dei lavori, l’Ecuador avrebbe l’obbligo di risarcire i Sarayaku con un indennizzo significativo.

Per fortuna non si tratta solo di un lieto fine in stile Avatar, ma di una storia vera che sarà raccontata da Eriberto Gualinga in un nuovo documentario che si chiamerà El canto de la flor: uscirà a settembre e racconterà i festeggiamenti della sua comunità in seguito alla sentenza del giugno 2012, ma la battaglia non è finita. L’Ecuador deve ancora attenersi alla sentenza imposta dalla Commissione Interamericana e non è detto che lo faccia.

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Fonte: unimondo.org

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