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Pena di morte: “Rapporto 2015” di Nessuno tocchi Caino, l’evoluzione positiva

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ANALISI DEI DATI DEL RAPPORTO 2015 E OBIETTIVI DI NESSUNO TOCCHI CAINO

Verso la fine dello Stato-Caino

Come abbiamo visto emergere dai dati del Rapporto 2015 di Nessuno tocchi Caino, l’evoluzione positiva verso l’abolizione della pena di morte in atto nel mondo da oltre quindici anni, si è confermata nel 2014 e nei primi sei mesi del 2015.
Dalla fondazione nel 1993 di Nessuno tocchi Caino a oggi, ben 64 dei 97 Paesi membri dell’ONU allora mantenitori della pena di morte hanno smesso di praticarla, 22 dei quali lo hanno fatto dal 2006, cioè dopo il rilancio dell’iniziativa pro-moratoria al Palazzo di Vetro.
Il voto del 18 dicembre 2014 dell’Assemblea Generale ONU a favore della moratoria universale delle esecuzioni capitali, il quinto in sette anni e con il numero record di 117 voti favorevoli, testimonia dell’evoluzione positiva in atto nel mondo verso la fine dello Stato-Caino e il superamento del fasullo e arcaico principio dell’occhio per occhio. E’ stato determinato dalla scelta dialogica e creativa di Nessuno tocchi Caino e del Partito Radicale di proporre – sin dall’inizio e da soli – la moratoria delle esecuzioni come passaggio chiave per giungere all’abolizione.
Ancora una volta, dobbiamo salutare con soddisfazione il fatto che negli Stati Uniti, nel maggio 2015, un altro Stato – il Nebraska – ha abolito la pena di morte, diventando il diciannovesimo Stato della federazione ad abolirla e il settimo a farlo negli ultimi otto anni. Altri sei Stati non hanno effettuato esecuzioni da almeno 10 anni e possono essere considerati “abolizionisti di fatto”, mentre altri quattro hanno sospeso le esecuzioni a causa degli evidenti difetti che connotano il sistema capitale.
Inoltre, il Presidente Barack Obama ha mantenuto la moratoria di fatto delle esecuzioni federali, già di per sé rare, che dura da 12 anni, e ha anche ordinato una revisione della pratica dell’iniezione letale e sollevato “forti interrogativi” sull’equa applicazione della pena di morte sotto il profilo razziale.
Infine, il 13 luglio 2015, il Presidente Barack Obama ha ridotto le pene detentive di 46 persone condannate per reati non violenti legati alla droga, 14 dei quali all’ergastolo, perché le loro punizioni erano esagerate rispetto al crimine commesso. Obama ha finora concesso 89 commutazioni durante la sua presidenza, 76 delle quali nei confronti di condannati per reati di droga. Le 46 commutazioni concesse in un solo giorno costituisce un record che non si registrava dai tempi del Presidente Lyndon B. Johnson e le 89 condanne commutate da Obama finora superano il totale complessivo di commutazioni concesse dai Presidenti Ronald Reagan, George Bush, Bill Clinton e George W. Bush messi insieme.
Queste commutazioni vanno inquadrate nel tentativo dell’amministrazione Obama di ridurre i costi e il sovraffollamento delle carceri federali e dare un po’ di sollievo ai detenuti. Ma è solo una goccia d’acqua nel mare della popolazione detenuta negli Stati Uniti, i quali hanno meno del 5 per cento della popolazione mondiale, ma – occorre ricordarlo – quasi il 25 per cento della popolazione carceraria totale del mondo. Da questo dato emerge sempre di più un complesso carcerario industriale americano, che si aggiunge al noto complesso militare industriale, con tutti i suoi effetti collaterali letali, innanzitutto per la democrazia americana. Per fare un paragone di per sé molto significativo e preoccupante: se il “regime dispotico” cinese ha una popolazione carceraria di circa 2.300.000 persone, tra detenuti condannati (1.650.000) e quelli in attesa di giudizio o in detenzione amministrativa (circa 650.000), il “sistema di correzione” americano ha una popolazione detenuta di circa 2.220.300 persone. In altre parole, in Cina ci sono 165 detenuti su 100.000 abitanti; negli USA, 910 su 100.000!

Effetti letali della “guerra alla droga” e della “guerra al terrorismo”

Il lieve aumento delle esecuzioni nel 2014 rispetto al 2013 si giustifica con l’incremento registrato in Iran e in Arabia Saudita. Invece, se si dovesse confermare il trend dei primi sei mesi del 2015, registreremmo un numero record di esecuzioni alla fine dell’anno. Ciò è dovuto in particolare all’escalation registrata in Arabia Saudita, in Egitto e ancora una volta in Iran e alla ripresa delle esecuzioni in Giordania, Pakistan e Indonesia.
La “guerra alla droga” e la “guerra al terrorismo” hanno dato un contributo consistente all’escalation della pratica della pena di morte anche nel 2014 e nei primi sei mesi del 2015.
In Iran, l’elezione di Hassan Rouhani come Presidente della Repubblica Islamica, salutata imprudentemente da molti osservatori come una svolta nel regime iraniano, non ha portato nulla di nuovo per quanto riguarda l’applicazione della pena di morte; anzi, il tasso di esecuzioni è nettamente aumentato. Da quando Rouhani è entrato in carica nel giugno 2013, quasi 2.000 prigionieri sono stati giustiziati in Iran. Il 46% delle persone giustiziate nel 2014 è stato impiccato per casi relativi alla droga e questa percentuale è schizzata al 70% nel 2015, al 30 giugno.
In Arabia Saudita, l’ondata di esecuzioni è iniziata verso la fine del regno di Re Abdullah, morto il 23 gennaio 2015, accelerando sotto il suo successore Re Salman, che ha adottato una politica di “legge e ordine” in particolare nei confronti dei trafficanti di droga. Circa la metà delle decapitazioni nel Regno saudita sono state effettuate per reati di droga.
Dopo una moratoria di fatto che risaliva al 2011, l’Egitto ha compiuto almeno 15 esecuzioni nel 2014 e almeno altre 12 nel 2015 (al 30 giugno), di cui sette per “terrorismo”. Dalla cacciata del Presidente islamista Mohamed Morsi nel luglio 2013, il Governo sostenuto dai militari ha intrapreso un giro di vite implacabile nei confronti del dissenso politico, colpendo in gran parte i sostenitori di Morsi. Nel 2014, in sei diversi processi per reati di violenza politica, i tribunali egiziani hanno irrogato condanne a morte preliminari ad almeno 1.434 membri della Fratellanza Musulmana. Questo è stato il maggior numero di condannati a morte nella storia moderna dell’Egitto.
Tra i passi indietro registrati nell’ultimo anno e mezzo, la ripresa delle esecuzioni in Giordania è forse il più negativo, perché la pena capitale non era praticata dal 2006, grazie soprattutto al volere di Re Abdullah. Nel dicembre 2014, sono stati impiccati undici uomini condannati a morte per omicidio e nel febbraio 2015, due prigionieri di Al-Qaeda sono stati giustiziati in rappresaglia per l’uccisione di un pilota giordano da parte dello Stato Islamico.
Dopo una pausa registrata nel 2014, l’Indonesia ha ripreso le esecuzioni nel 2015 e, al 30 giugno, aveva già giustiziato 14 condannati a morte, tutti per reati di droga. Svuotare in tal modo il braccio della morte dai detenuti per reati di droga era una delle promesse elettorali del nuovo Presidente indonesiano Joko Widodo che si è insediato nell’ottobre 2014.
Nel dicembre 2014, il Pakistan ha revocato una moratoria che durava da sei anni sulla pena di morte per i casi di terrorismo e nel marzo ha formalmente revocato la moratoria anche per tutti i prigionieri condannati per reati comuni. Dal 17 dicembre 2014 al 30 giugno 2015, almeno 181 persone, tra cui 25 condannati per terrorismo, sono state impiccate in varie prigioni del Paese.
Negli Stati Uniti, la pratica legale della pena di morte è diminuita di anno in anno, ma la guerra extragiudiziaria al terrorismo, in particolare attraverso l’uso degli aerei senza pilota, i droni, si sarebbe intensificata nel corso della presidenza di Barack Obama. Le uccisioni sono state estese anche a cittadini americani all’estero sospettati di attività anti-americane, cittadini che in patria avrebbero avuto un processo con tutte le garanzie possibili, anche quelle previste dal sistema arcaico della pena capitale.

Porre fine non solo alla pena di morte, ma anche alla pena fino alla morte

La campagna di Nessuno tocchi Caino per l’abolizione della pena di morte nel mondo non può non includere quella per l’abolizione della pena fino alla morte e cioè dell’ergastolo.
Quella sull’ergastolo è una battaglia storica del Partito Radicale che ha avuto un’eco prodigiosa il 23 ottobre scorso quando Papa Francesco, parlando ai delegati dell’Associazione Internazionale di Diritto Penale, l’ha definito “una pena di morte mascherata” che dovrebbe essere abolita insieme alla pena capitale.
La questione dell’ergastolo sarà al centro del prossimo Congresso di Nessuno tocchi Caino che si terrà entro l’anno in un penitenziario italiano dove c’è un’alta concentrazione di ergastolani, dove far confluire il maggior numero di condannati all’ergastolo, a partire dagli iscritti all’Associazione.
Il progetto di Nessuno tocchi Caino sull’ergastolo si articola su due piani.
Il primo, a livello scientifico, è volto a documentare gli effetti sullo stato psico-fisico del detenuto della lunga permanenza in condizioni di isolamento in attesa di un “fine pena: mai”, analogamente a quanto la letteratura scientifica ha già ampiamente documentato nel caso dei condannati a morte (il cosiddetto “fenomeno del braccio della morte”).
Come scrive Papa Francesco, “la mancanza di stimoli sensoriali, la completa impossibilità di comunicazione e la mancanza di contatti con altri esseri umani, provocano sofferenze psichiche e fisiche come la paranoia, l’ansietà, la depressione e la perdita di peso e incrementano sensibilmente la tendenza al suicidio”.
Il secondo, a livello giurisdizionale, mira a presentare, a partire da casi concreti, ricorsi nazionali – Corte Costituzionale – e sovranazionali – Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e Comitato Diritti Umani dell’ ONU – volti a superare l’ergastolo, quantomeno nei suoi aspetti più duri: il cosiddetto “ergastolo ostativo” (sui 1.576 condannati a vita ben 1.162 sono ostativi, cioè esclusi per legge dai benefici carcerari) e l’isolamento in regime di 41 bis (circa 700 detenuti).
Dopo la storica sentenza del 2013 – Vinter vs Regno Unito –, nel 2014 la Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo ha emesso altre tre sentenze, tutte per dichiarare casi di violazione dell’art. 3 della Convenzione il Life Without Parole previsto in Turchia (Ocalan vs Turchia 2), quello della Bulgaria (Harakchiev and Tolumov vs Bulgaria) ed anche l’estradizione negli Stati Uniti con il rischio di essere condannati al Life Without Parole (Trabelsi vs Belgio).
Il progetto di Nessuno tocchi Caino sull’ergastolo si svolgerà in collaborazione con il Prof. Davide Galliani della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Milano, coordinatore del progetto europeo “Right to Hope”, e con il Prof. Umberto Veronesi, da sempre contrario all’ergastolo proprio a partire dai suoi studi sulla plasticità del cervello.

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Fonte: nessunotocchicaino.it

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Michael Moore: “Siamo tutti musulmani” lettera a Donald Trump

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La polizia di New York ha allontanato Michael Moore, coraggioso regista americano, dall’ingresso della Trump Tower. Il regista stava manifestando solidarietà ai musulmani con un cartello che riportava: “We are all muslim” (Siamo tutti musulmani). Era la sua risposta alla dichiarazione di Donald Trump: “Se verrò eletto alla Casa Bianca ci sarà una completa, totale chiusura delle frontiere a tutti i musulmani che vogliono fare ingresso negli USA”.

Riporto di seguito la lettera originale di risposta che Moore ha inviato all’imprenditore americano. Qui invece potete leggere la sua traduzione in italiano.

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FIRMA LA PETIZIONE

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FROM: Michael Moore
TO: Donald J. Trump

Dear Donald Trump:

You may remember (you do, after all, have a “perfect memory!”), that we met back in November of 1998 in the green room of a talk show where we were both scheduled to appear one afternoon. But just before going on, I was pulled aside by a producer from the show who said that you were “nervous” about being on the set with me. She said you didn’t want to be “ripped apart” and you wanted to be reassured I wouldn’t “go after you.”

“Does he think I’m going to tackle him and put him in a choke hold?” I asked, bewildered.

“No,” the producer replied, “he just seems all jittery about you.”

“Huh. I’ve never met the guy. There’s no reason for him to be scared,” I said. “I really don’t know much about him other than he seems to like his name on stuff. I’ll talk to him if you want me to.”

And so, as you may remember, I did. I went up and introduced myself to you. “The producer says you’re worried I might say or do something to you during the show. Hey, no offense, but I barely know who you are. I’m from Michigan. Please don’t worry — we’re gonna get along just fine!”

You seemed relieved, then leaned in and said to me, “I just didn’t want any trouble out there and I just wanted to make sure that, you know, you and I got along. That you weren’t going to pick on me for something ridiculous.”

“Pick on” you? I thought, where are we, in 3rd grade? I was struck by how you, a self-described tough guy from Queens, seemed like such a fraidey-cat.

You and I went on to do the show. Nothing untoward happened between us. I didn’t pull on your hair, didn’t put gum on your seat. “What a wuss,” was all I remember thinking as I left the set.

And now, here we are in 2015 and, like many other angry white guys, you are frightened by a bogeyman who is out to get you. That bogeyman, in your mind, are all Muslims. Not just the ones who have killed, but ALL MUSLIMS.

Fortunately, Donald, you and your supporters no longer look like what America actually is today. We are not a country of angry white guys. Here’s a statistic that is going to make your hair spin: Eighty-one percent of the electorate who will pick the president next year are either female, people of color, or young people between the ages of 18 and 35. In other words, not you. And not the people who want you leading their country.

So, in desperation and insanity, you call for a ban on all Muslims entering this country. I was raised to believe that we are all each other’s brother and sister, regardless of race, creed or color. That means if you want to ban Muslims, you are first going to have to ban me. And everyone else.

We are all Muslim.

Just as we are all Mexican, we are all Catholic and Jewish and white and black and every shade in between. We are all children of God (or nature or whatever you believe in), part of the human family, and nothing you say or do can change that fact one iota. If you don’t like living by these American rules, then you need to go to the time-out room in any one of your Towers, sit there, and think about what you’ve said.

And then leave the rest of us alone so we can elect a real president who is both compassionate and strong — at least strong enough not to be all whiny and scared of some guy in a ballcap from Michigan sitting next to him on a talk show couch. You’re not so tough, Donny, and I’m glad I got to see the real you up close and personal all those years ago.

We are all Muslim. Deal with it.

All my best,
Michael Moore

P.S. I’m asking everyone who reads this letter to go here and sign the following statement: “WE ARE ALL MUSLIM” — and then send post a photo of yourself holding a homemade sign saying “WE ARE ALL MUSLIM” on Twitter, Facebook, or Instagram using the hashtag #WeAreAllMuslim. I will post all the photos on my site and send them to you, Mr. Trump. Feel free to join us.

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Fonte: michaelmoore.com

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John Trudell, poeta, cantante e guerriero Sioux-Santee, ci ha lasciato

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John Trudell nel 2004 - Photo by Ilka Hartamann

John Trudell nel 2004 – Photo by Ilka Hartamann

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“Sono un guerrigliero che combatte la sua guerra, una guerra fatta con lo spirito, perche’ nessuno possa piu’ scoraggiare il pensiero”

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John Trudell (Omaha, 15 febbraio 1946 – Santa Clara, 8 dicembre 2015) è stato un attivista, cantautore e attore statunitense, di origine nativa americana. Nato in Nebraska da padre di origine Santee Sioux e madre messicana, è cresciuto nella riserva indiana Santee al confine con il Dakota del Sud…Nel 1972 entra a far parte dell’American Indian Movement, del quale diviene presidente operativo fino al 1979…Nel 1979 la sua famiglia è colpita da una tragedia: in un rogo di probabile origine dolosa della loro abitazione nella riserva indiana Shoshone/Paiute in Nevada morirono la moglie incinta Tina Manning, 3 suoi figli e la suocera. Il dramma lo portò a scrivere poesie e gli incontri successivi con Jackson Browne e Bonnie Raitt lo spinsero verso la musica…(Wikipedia)

 

Da   “Tribal voice”  (1983)

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(“Listening/Honor song – Ascoltando/Canzone dell’onore”)
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Ascoltavo / le voci della vita / cantare all’unisono / continuare

la lotta / le generazioni si sollevano / insieme / nella resistenza

per conoscere la realtà del potere / madre terra abbraccia i suoi figli

per durare nella bellezza naturale / oltre / la brutalità dell’oppressore

mentre la farfalla / si libra nella vita / noi siamo lo spirito

della vita naturale / che sempre è / il potere della comprensione

Iireali legami con lo spirito / è il significato della nostra resistenza

la nostra lotta/ non è un sacrificio / sprecato / è energia naturale

usata opportunamente/una volta / stavo visitando / con i miei

parenti/le nuvole,le montagne / il cielo,gli alberi / i miei parenti

toccarono / il mio spirito / mi sollecitarono con amore / ascoltaci

impaziente / noi ci siamo sempre / devi ricordare / la dolcezza

del tempo / stai lottando / per essere / quello che sei / tu dici

di volere / imparare / gli antichi metodi della lotta / quando / tutto

ciò che devi fare / è ricordare / ricordare il popolo / ha sempre lottato

il Cielo e la Terra / ricordare che il popolo / ha sempre lottato

per vivere / in armonia / in pace / lotta contro l’egoismo

e la debolezza / affinché il popolo / possa vivere come nazione

gli antichi metodi sono duri / il popolo ha sempre / dovuto lavorare

insieme / ricorda / impaziente / ricorda e vivi / non temere

la verità / il rispetto / la disciplina / condividi la tua vita affinché

il popolo / possa vivere / onora il cielo / e la terra / onora te stesso

onora i tuoi parenti / ricorda impaziente / la dolcezza / del tempo

tu sei più / di una luce di notte / tu sei più / della luna / tu sei

legame dello spirito / la tua energia è la nostra vita / tu sei la

memoria / per le generazioni passate / sei il creatore delle sensazioni

la forza che tiene la gente in equilibrio / sei un guaritore / per il

dolore dello spirito / nonna luna / noi ti amiamo e / siamo arrabbiati

con / gli invasori che ti devastano / e / violano il nostro universo

con il loro sudiciume meccanico / noi preghiamo per te / per noi e

per l’invasore / che non può capire / il rispetto, l’amore o

l’equilibrio della vita / non uniamoci alla follia degli invasori / i loro

comportamenti parlano della tristezza dello spirito / il progresso

della macchina del denaro / è la causa / del nostro comune abuso

non ti vediamo / nonna / ti sentiamo / ti amiamo / sappiamo / che

continueremo attraverso la tua realtà / siamo una cosa sola

preghiamo per te / noi ti preghiamo

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BLUE INDIANS  (1999)

Dalla rivista Rolling Stone un “appassionato matrimonio tra ritmi tribali, canto tradizionale, arrangiamenti rock moderni e la penetrante poesia di Trudell”.

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Approfondimento

Cuore di tuono si è fermato

La poesia di John Trudell

Ascolta te stesso – Intervista a John Trudell

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