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Amnesty: “…chiesta mano dura sui migranti dall’Unione Europea”. In Italia pestaggi e torture

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“Le autorità italiane dovrebbero accelerare gli sforzi, anche sul piano legislativo, per fornire un quadro giuridico più solido ai fini dello svolgimento delle attività presso i punti di crisi [hotspot], in particolare per consentire l’uso della forza e prevedere disposizioni in materia di trattenimento a più lungo termine nei confronti dei migranti che rifiutano di fornire le impronte digitali. L’obiettivo del 100% dei migranti in ingresso sottoposti a rilevamento delle impronte va raggiunto senza ulteriori indugi” (Commissione europea, Relazione sull’attuazione dei punti di crisi in Italia, 15 dicembre 2015)

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Negli Hotspot italiani

Amnesty conferma: violenze contro i migranti

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di Piero Bosio e Andrea Monti

La denuncia di Amnesty International sulle violenze ai migranti negli hot spot diventa un caso politico, non solo italiano, con pesanti polemiche e accuse.

Le pressioni dell’Unione europea affinché l’Italia usi la “mano dura” nei confronti dei rifugiati e dei migranti hanno dato luogo a espulsioni illegali e a maltrattamenti che, in alcuni casi, possono equivalere a torture. Lo sostiene il rapporto reso pubblico oggi da Amnesty, intitolato “Hotspot Italia: come le politiche dell’Unione europea portano a violazioni dei diritti di rifugiati e migranti”.

Il ministero dell’Interno e la polizia hanno risposto duramente, contestando il rapporto di Amnesty, parlando di falsità. E’ intervenuta anche la Commissione europea, sostenendo che “non risulta che negli hot spot si siano verificate violazioni”. Amnesty ha confermato tutte le denunce e le accuse.

Le contestazioni al rapporto di Amnesty sono partite dal prefetto Mario Morcone, capo del Dipartimento immigrazione del ministero dell’Interno. “ E’ totalmente falso – ha detto Morcone – che le forze di polizia operino violenze sui migranti. Sono rimasto sconcertato nel leggere queste cretinaggini”.

Poi il capo della polizia, Franco Gabrielli: “Le informazioni di cui si avvale il rapporto di Amnesty fanno riferimento a presunte testimonianze, raccolte in forma anonima e che non risiedevano negli hot spot. Smentisco categoricamente che ci siano state violenze sui migranti”.

Infine l’intervento della Commissione europea.

“Non ci risulta che ci siano state violazioni negli hot spot italiani, non ci è stato riportato nulla di tutto ciò”, ha detto Natasha Bertaud, portavoce della Commissione per l’Immigrazione. “Basta sparare sulla Commissione, l’approccio degli hotspot tramite il dispiegamento delle agenzie Ue lavorando a stretto contatto con le autorità italiane e le ong, è quello di assicurare che la raccolta delle impronte digitali, la registrazione e lo screening di tutti i migranti vengano fatti in accordo con la legislazione e gli standard europei ed internazionali e nel pieno rispetto dei diritti fondamentali”.

Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia, ha respinto le accuse, confermando tutte le denunce, contenute nel rapporto.

Noury, il Prefetto Morcone smentisce categoricamente quello che voi sostenete, parlando di falsità. Cosa risponde?

“Sarebbe bello avere un confronto con lui e a maggior ragione col ministro dell’Interno Alfano. A lui stiamo chiedendo da tempo di incontrarci, ma non ci risponde mai. Tutto quello che è stato documentato in questo rapporto meriterebbe non un diniego puro e semplice, ma un’inchiesta approfondita e indipendente sulle prassi utilizzate negli hot spot e sulle singole denunce raccolte da Amnesty durante le sue missioni di ricerca in Italia, ben quattro durante il 2016”.

Il capo della polizia Gabrielli dice che “le informazioni di cui si avvale Amnesty fanno riferimento a presunte testimonianze anonime di migranti che non risiedevano in alcun hotspot”.

“Noi abbiamo intervistato 170 migranti. Molti provenivano da hot spot, li abbiamo incontrati a Ventimiglia e a Como. Abbiamo parlato con molti migranti anche dentro gli hot spot: penso in particolare a Taranto, che abbiamo visitato più volte. Naturalmente quando si è vulnerabili l’intenzione di sporgere denuncia alle autorità del paese che li sta sottoponendo a maltrattamenti è molto bassa. Queste denunce sono state rese in forma anonima per proteggere queste persone, ma noi conosciamo l’identità di ognuna di loro. Questo è un metodo che Amnesty applica abitualmente. In molti casi si tratta di persone che hanno cercato o cercano tuttora di abbandonare l’Italia e lasciarsi alle spalle le esperienze che ci hanno vissuto il più presto possibile”.

Il Viminale, attraverso il prefetto Morcone, dice che Amnesty costruisce i suoi rapporti a Londra e non in Italia.

“Ripeto che durante il 2016 abbiamo svolto quattro missioni di ricerca in Italia. Credo che complessivamente abbiamo usato centinaia di ore dietro questo fenomeno. Abbiamo incontrato migranti, autorità, ong a Roma, Palermo, Agrigento, Catania, Lampedusa, Taranto, Bari, Genova, Ventimiglia e Como. I nostri ricercatori sono stati fisicamente in tutte queste città. Se si vuol dire che un rapporto fatto da remoto a Londra non è accurato e approfondito, questa affermazione è smentibile sulla base dei luoghi che ho elencato e che abbiamo visitato”.

Il prefetto Morcone parla addirittura di “cretinaggini e falsità”.

“Mi ricorda situazioni che accadevano a metà dello scorso decennio. Ricordo scontri molto duri con l’allora ministro dell’interno Pisanu. Quella era la stagione dei respingimenti di massa. Qualche anno dopo c’è stata quella degli accordi con la Libia, e anche lì lo scontro fu molto duro. Non è piacevole veder liquidare come falsità questo rapporto che si basa su ore e ore di ricerche e interviste individuali”.

Quindi cosa risponde al ministero dell’Interno?

“Che per quanto riguarda i contenuti del lavoro di Amnesty come sempre la ricerca è stata accurata e c’è materiale non per negare quello che è successo, ma per approfondire attraverso un’inchiesta indipendente. Con una battuta direi che è meglio essere cretini che falsi, ma credo che siano entrambe accuse ingenerose. Nessuno mette in evidenza quanto è scritto sia nel rapporto sia nel comunicato stampa riguardo all’Italia come paese che svolge uno straordinario lavoro di ricerca e soccorso in mare. Poi le cose cambiano spesso quando le persone arrivano sulla terraferma e stanno negli hotspot. Abbiamo anche scritto che nella stragrande maggioranza dei casi il comportamento dei poliziotti è professionale, rispettoso della loro etica e della dignità delle persone che hanno di fronte. Come sempre si citano dei casi, si chiede un accertamento e si risponde che stiamo deligittimando un intero corpo di polizia. Questa storia va avanti da anni, se ne parla ogni volta che si tocca il tema del reato di tortura. Questa fase andrebbe superata”.

La portavoce per l’immigrazione della commissione europea ha detto: “non ci è stato riportato nulla di tutto ciò che sostiene Amnesty. Non ci risulta che negli hotspot italiani si siano verificate violazioni”.

“Qui prendo in prestito le parole del prefetto Morcone e dico che forse da Bruxelles non si ha una visione approfondita di quello che accade. Sul piano politico la commissione europea è la responsabile principale di quello che accade. È sua l’idea degli hotspot come luoghi di identificazione frettolosa e sommaria, di impronte digitali da prendere a tutti i costi, poco dopo l’arrivo di persone traumatizzate da viaggi infernali. È la commissione che ha imposto questo all’Italia, dandole come contentino il programma mai attuato di ricollocamenti. Era stato promesso di prendere 40mila persone dall’Italia nel 2015. ne sono state prese solo 1.200 e nel frattempo ne sono arrivate 160mila. Direi che a Bruxelles c’è un grosso problema di comprensione del fenomeno”.

Fonte: Radio Popolare

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Nel 2014, 170mila persone hanno compiuto la traversata e 3.186 sono morte; nel 2015, 153mila hanno compiuto la traversata e 2.794 sono morte; e oltre 153mila persone hanno compiuto la traversata e 3.252 sono morte al 24 ottobre 2016 (Amnesty International)

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Approfondimento:

Hotspot Italia – Amnesty International

(Documento “EUR3050042016ITALIAN.pdf)

Hotspot Italia: i diritti dei rifugiati violati nei centri di identificazione …

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Educare alla pace al tempo della guerra permanente

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Educare alla pace. Ma cosa significa?

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Educare alla pace: questione complessa. Intanto c’è la parola “educare” che ha valenze differenti per chiunque la pronunci, valenze che per ogni cultura e per ogni diversità di genere, di nazionalità, di religione, hanno differenti sfumature.

Sì, non è facile. Bellissimo osservare la marcia della pace Perugia-Assisi, le persone colorate di sorrisi e parole gentili reciproche, portatrici di un segno di amore e di esempio. Tuttavia, l’educare non parte soltanto da chi come loro è già”arrivato” ad Assisi, parte dal momento della nascita e dai contatti, dalla rete di relazioni quotidiane e dentro la rete. Sicuramente la scuola, fin dal nido, si accorge per prima che i gruppi giocosi e sereni dei piccoli hanno già in sé il germe dei contrasti, e su quei contrasti dovrebbe riflettere e infine agire a seconda delle situazioni affettive ed emotive che si creano volta per volta.

Educare, estrarre il succo più dolce da ognuno e ognuna, presuppone un avvicinamento delicatissimo alla persona del piccolo e ai suoi giovani genitori. Anche ai genitori, i quali appena divenuti tali, vengono toccati dal soffio delle parole “mio”e”io” “la mia educazione è questa”: parole che del resto ogni essere umano “sente” prepotenti dentro di sé allo sbocciare delle relazioni con sconosciuti un po’ “ingombranti”. Inizia qui l’avventura dell’”educazione alla pace”: dai primi passi, i quali, uno dopo l’altro, si mettono in un cammino in una marcia delicata sul duro terreno di “mio”, “io”, “la mia educazione è questa”.

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ARTICOLI CORRELATI

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La figura di chi educa è importante, così come sono importanti la Costituzione e le Leggi. Insieme potrebbero cominciare ad accordarsi ricordando che esse sono qui proprio perché da tempi innumerabili ce ne è bisogno per condurci alla fine, fine che perdura in tempi futuri altrettanto innumerabili. Di esse c’è estremo bisogno e sappiamo bene che non bastano a regolare la convivenza in casa, per le strade, fra amici e, in particolare, insieme con quelli che si considerano gli “altri”.
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Ma se chi educa, chi fa le Leggi, chi dovrebbe tenere in alta considerazione una Costituzione nata proprio per scongiurare le guerre di qualsiasi tipo, da quelle interne a quelle esterne, trova espedienti per aggirare gli ostacoli e riportare il tutto sulla strada della velocizzazione delle scelte che riguardano un intero popolo, si rischia di riprodurre il seme della guerra. Il rischio di una politica del “fare” velocemente è quello di far dimenticare che la democrazia è lenta (per approfondire il bisogno di educare alla lentezza, leggi il quaderno Ci vuole il tempo che ci vuole), che ancora non è compiuta, che sovente dà spazio a chi ha la lingua più lunga e l’intelligenza per portare acqua al proprio “io”, al proprio “mio”, alla convinzione che esista un unico tipo di “educazione”, quella che rispetta i tempi in cui si vive, ma non rispetta quelli a venire. Cioè quelli dell’utopia.
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Tante sono le “scuole” di pensiero e di azione per educare l’infanzia, tuttavia quella costituzionale dei diritti e dei doveri di ogni cittadino e cittadina dovrebbe farci meditare su numerose scelte che sono state fatte e che si fanno per comprendere che per marciare in direzione della “pace”, i singoli della marcia contano eccome, e chi ha a che fare con l’inizio della camminata, insieme con i piccoli singoli che incontra, sa che procede sul territorio minato delle differenti provenienze e, senza annullarle, sa che deve armonizzarle e farle sfociare nell’interiorizzazione del rispetto verso la fioritura di un’affettività accogliente e serena.
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Ma il come farlo è complesso e insidioso perché studi e teorie, cuori e intelligenze proprie e di altri indicano strade che di primo acchito possono sembrare scintillanti di luci, piane e percorribili in velocità, adornate del “nuovo” che avanza per tutto velocizzare e rendere concreto e pragmatico, in linea con i tempi del presente, il quale sempre pretende soluzioni pratiche e di pubblica e facile comprensione. La semplificazione pare bella, eppure va in direzione contraria all’educazione alla pace. A essa sfuggono il tempo della mediazione, il tempo della ricerca, il tempo del dialogo che si fa conversazione, il tempo dei corpi che si devono avvicinare negli spazi dati, il tempo del compromesso verso l’alto, il tempo del giudizio che scarta, sfuggono gli scarti da recuperare, le ferite da curare.

Educare alla pace si potrebbe, se si comprendesse che la guerra nasce nel cuore dei piccoli di tutto il mondo quando li si induce con strumenti educativi a marcare più le differenze d’origine che non ad esaltare le possibilità della “bravura” individuale costruita insieme con altre “bravure” individuali.

La guerra nasce nei cuori dei piccoli quando li si educa a essere principi unici e li si esalta per un principato che esclude le ragioni dell’altro, i procedimenti dell’altro, le debolezze e i punti di forza dell’altro. Nasce così e si perpetua nella Storia dei popoli.

La guerra è qui, nei nostri condomini, nei nostri giardini, nei giocattoli dei piccoli, nei cortili, in spiaggia, in montagna e tante volte nella nostra scuola dei piccoli quando non li aiuta a gioire delle proprie scoperte, a mediare i conflitti, a imparare a diventare maestri di se stessi, quando li differenzia con scale di giudizio o parole giudicanti. Ma la guerra è nei cuori dei bambini anche se si sentono presi per il naso da adulti insinceri che invece di aiutarli ad accedere al sapere in modo profondo e competente, li blandiscono e non li ascoltano ragionare, sbagliare, riprendersi e ricadere, quando non li avviano alla bellezza dello studio personale che dà ai singoli la possibilità di sapere il perché della propria storia e di quella della Terra su cui vivono, il perché delle cose, il perché delle differenze fra culture e costumi. La via della pace è fatta di scalini che andrebbero saliti ogni giorno insieme, proprio a cominciare dal respingere tutto ciò che non ha sfumature, che ha fretta, che può rientrare in schemi, per inglobare, stringere, rafforzare tutto ciò che è complesso, inaspettato, nuovo e diverso. Sorprendentemente chi insegna per educare e anche istruire alla pace per mezzo dello studio della storia degli altri, sa che tutte le programmazioni e i progetti, anche i più straordinari e comprensivi di aneliti di libertà e creatività rassicurano a tal punto l’adulto da rischiare di trasformarlo in un despota inconsapevole se la sua sicurezza viene minata dagli innumerevoli “casi” dell’umanità che lo stesso adulto incontra mentre “pretende” adesione a ciò in cui crede. La guerra nasce dai piccoli dispotismi di ogni giorno. E la pace nasce da un ascolto talmente difficile ma talmente necessario da diventare quello che indica giorno per giorno una programmazione e una progettazione diversi.

E a ogni buon conto, l’idea di cosa sia la pace nasce ogni attimo nel quotidiano quando riconosciamo il seme della guerra in noi e negli altri nel momento in cui abbandoniamo lo sforzo del cammino sulla strada tortuosa della democrazia, sforzo immane che spesso stanca e fa prendere scorciatoie, le quali però portano dritte dritte al sentimento guerriero che alberga in chi si sente respinto e abbandonato al proprio destino solitario.

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* Maestra, autrice di “2014, odissea nella scuola”, ha aderito alla campagna Facciamo Comune insieme

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Fonte: comune-info

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MSF: i migranti ci portano le malattie? Ci invadono? Li trattiamo meglio degli italiani? Falso!

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L’Anti-slogan: le 10 leggende sulla migrazione sfatate una ad una.

I migranti ci portano le malattie? Ci invadono? Li trattiamo meglio degli italiani? Falso. Oggi lanciamo “L’Anti-slogan”, una pagina speciale online per sfatare le 10 leggende più diffuse sulla migrazione.

 

Sulla base di fonti ufficiali e della nostra esperienza lungo le rotte della migrazione, abbiamo formulato risposte specifiche per facilitare la comprensione di questa gravissima crisi globale e contribuire a un’informazione corretta, priva di preconcetti e strumentalizzazioni.

Aiutaci anche tu a contrastare chi prova a sfruttare facili slogan per giustificare le politiche della paura o fare audience sui media. Leggi e condividiL’Anti-slogan” sui tuoi social network.

 

Diffonderemo insieme un’informazione più corretta e umana.

LEGGI L’ANTI-SLOGAN ►

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Fonte: Medici Senza Frontiere

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