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Sono appena rientrato da una serata di festa celebrata a Genova per gli 83 anni di don Andrea Gallo, a cui ha partecipato una folla enorme di amici e cittadini e alcuni politici. A fare festa c’era anche il gotha del «Il Fatto Quotidiano» (Padellaro, Travaglio, Sansa), Moni Ovadia, Gino Paoli e tanti, tanti altri. Un popolo attorno ad un uomo, un partigiano, un prete che da tutta la vita vive sul marciapiede per acchiappare chi sul marciapiede può finire e vi è già finito. Un prete, un uomo, un partigiano, invocato e riconosciuto come leader morale indiscusso.
La forza di don Gallo è la «nudità»: è nudo di tutto ciò che oggi è di modo: il denaro, il potere, il sesso. Egli ha il vestito della parola, che si fa profezia di giustizia e di trasparenza nella coerenza. Sopra il vestito la bandiera della Pace dipinta dall’arcobaleno. Genova, città medaglia d’oro della Resistenza, il giorno 18 luglio 2011 ha messo sul candelabro evangelico il lume splendente della bella persona di don Gallo e lo ha proposto a tutti come punto di riferimento dell’Italia migliore, quell’Italia che è disprezzata dal governo in carica per voce del ministro Brunetta. Ieri ho visto attorno a don Gallo Andrea l’Italia del cuore, quella che non si rassegnerà mia al potere del malaffare e del ricatto, della delinquenza e del mercimonio.
Mentre la festa scorreva allegra e intensa, tra gli epitaffi graffianti e micidiali di Enzo Costa e gli apologhi esilaranti e per questo densi di spiritualità di Moni Ovadia, istintivamente il mio pensiero correva ad un altro prete, don Luigi Maria Verzè, 91 anni, che cominciò come segretario di San Giovanni Calabria, vescovo dei poveri e dei diseredati e finì, anzi sta finendo, come complice di Berlusconi, boss che affoga nei sospetti di corruzione.
Ora sulla sua coscienza grava anche la morte suicida del suo più stretto collaboratore Mario Cal che non ha retto al fallimento del San Raffaele a cui l’ha portato la gestione del prete imprenditore. Questi fa affari con tutti, a prescindere da ogni moralità e legalità. Il fatto è talmente grave che su pressione dell’appena neo papa Paolo VI la diocesi di Milano nel 1964 gli commina «la proibizione di esercitare il sacro ministero» per giungere al 1973 quando viene «sospeso a divinis». In seguito le pene canoniche saranno revocate non si sa per quali vie e con quali mezzi. Questo prete era solito chiamare Dio «Top Manager».
Ha sempre creduto nella Provvidenza che per lui assume il volto di un certo Silvio Berlusconi che nel 1968 attraverso la Edilnord acquista 712 mila mq di terreni vicino Segrate per costruire la città avveniristica del futuro, chiamata «Milano 2», dove oggi sappiamo ospitava prostitute e minorenni per sollazzarsi dalle noie del governo. Tutto questo ben di dio confinava a sud con i terreni dell’erigendo San Raffaele. Tra don Verzè e Berlusconi fu amore a prima vista, quel fulmine che di solito scoppia all’insaputa tra uomini della stessa di razza. (leggi tutto)
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Fonte: domani Arcoiris.tv
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