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Libri: “Cash cow – dieci miti sull’industria del latte”. Il libro nero del latte

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Recensione di Evelina Pecciarini

Cash cow – dieci miti sull’industria del latte è un recentissimo libro della blogger canadese Élise Desaulniers per le edizioni Lantern Books (disponibile a pochi euro nella versione digitale, in francese e in inglese).

La Desaulniers, laureata in scienze politiche e con esperienza decennale di ricerca e marketing, paragona quanto creato dall’industria del latte ad un Truman Show in cui tutti siamo immersi fino a quando non arriviamo a vedere realtà fino ad allora “nascoste” e che poi non possiamo più ignorare. Il riferimento è al film del 1998 interpretato da Jim Carrey in cui il protagonista trentenne vive dalla nascita, del tutto ignaro, nell’immenso set di un reality show, fino a quando per una serie di situazioni si ritrova a scoprire come stanno le cose e ad abbandonare per sempre la trasmissione.

È un’immagine particolarmente calzante, perché se per il consumo di carne in qualche modo è comunque presente, per quanto ignorata o giustificata, più o meno consapevolmente, l’idea che un animale sia stato ucciso, il rapporto con latte e derivati è più complesso e la verità più nascosta.

Per tirare fuori i lettori dal Truman Show dell’industria casearia, il libro sfata i dieci miti su cui si basa il consumo di latte e derivati, che non è naturale o necessario, né normale, ma anzi spesso dannoso per la salute. Non è facile però liberarsi delle false credenze, né dell’attaccamento a certi prodotti.

1. Bere latte è naturale

Lo è, per i bambini, bere latte umano. Per convertire il lattosio (un carboidrato del latte) in galattosio e glucosio, due zuccheri che il corpo usa per produrre energia, serve l’enzima lattasi, che inizia a diminuire nei bambini di pochi anni fino a sparire. Il 75% della popolazione mondiale ne è sprovvisto ed è intollerante al lattosio, mentre il restante 25%, persone con antenati europei o africani nomadi, non lo è a causa di una mutazione genetica detta “persistenza della lattasi” avvenuta a partire da 7 mila anni fa nella mezzaluna fertile in Medio Oriente come vantaggio adattativo nella transizione verso uno stile di vita stanziale basato sull’agricoltura.

Per tutti i mammiferi è naturale consumare il latte della propria specie fino allo svezzamento. L’uomo è l’unico che lo prende ad altre specie, tra l’altro molto diverse: grazie al latte della mucca il vitello raddoppia di peso in 47 giorni, mentre un bambino ci mette circa sei mesi.

L’assenza del disgusto verso il latte di mucca, come spiega Melanie Joy, è acquisita e non naturale. Oltretutto la percezione culturale è diversa in base al tipo di animale: non berremmo latte di cane o di cavallo, e soprattutto neanche latte umano!

2. Il latte rende le ossa sane e forti

Per avere ossa sane e forti nessun animale consuma il latte di un’altra specie. Lo scimpanzé, quanto di più simile all’uomo, non soffre di osteoporosi anche se smette di bere latte una volta svezzato, a tre-quattro anni, e non ne soffrono le popolazioni intolleranti al lattosio.

Abbiamo sicuramente bisogno di calcio, anche se non è ancora ben chiaro quanto, perché vari studi scientifici hanno ottenuto risultati discordi, e sappiamo che le fonti vegetali hanno una maggiore biodisponibilità (percentuale di assorbimento) e che alcune abitudini danneggiano il saldo finale, ad esempio il consumo di caffeina e tabacco, l’eccesso di sale, la vita sedentaria, la mancanza di esposizione alla luce solare per la vitamina D.

Latte e derivati non sono affatto essenziali come affermava più di una pubblicità di yogurt bloccata per falsità. Nessuno studio ha finora trovato la benché minima traccia di benefici dovuti al consumo di latte e derivati sulla mineralizzazione ossea di bambini e adolescenti, anche se i pediatri continuano a raccomandarlo e le scuole a servirlo.

3. Più se ne consuma meglio è

Latte e derivati contengono ormoni, allergeni, colesterolo, e grassi saturi, causa di numerosi problemi di salute. Anche nei Paesi dove non vengono somministrati negli allevamenti, gli ormoni sono naturalmente nel latte, quelli della gravidanze e quelli della crescita del vitello. La gestazione delle mucche dura nove mesi, a cui seguirebbero in natura sei-nove mesi di svezzamento. Negli allevamenti vengono munte per 305 giorni l’anno, di cui per l’80% del tempo mentre è in corso una gravidanza.

È stato verificato che dopo aver bevuto latte negli uomini cala il livello di testosterone mentre nelle donne sono più alti i livelli di estrogeni e progesterone, ormoni collegati all’ovulazione multipla e alle gravidanze gemellari. È difficile valutare gli effetti sulla salute degli ormoni del latte – sono però stati collegati all’acne, in forme di diversa gravità, e ad alcuni tumori (ovaie, utero, testicoli, prostata e seno nelle donne che ne bevono molto dopo la menopausa).

Il latte può causare allergie (in particolare tramite la beta-caseina, un proteina) più subdole e quindi più difficili da identificare rispetto ad altre. Nei bambini l’allergia al latte è la più diffusa, e vi vengono associati il diabete di tipo 1, le infezioni alle orecchie, la carenza di ferro e le coliche.

Ma anche gli adulti sono a rischio: il latte di mucca contiene almeno trenta proteine che possono causare reazioni allergiche, i cui sintomi si manifestano anche dopo 72 ore e possono durare per settimane. Tra i più comuni ci sono asma e mal di testa: il corpo si difende producendo muco, fluidi e infiammazione nella gola, nel naso e nei canali auricolari. Anche artrite e dolori articolari hanno spesso come origine l’allergia al latte.

Tre quarti della popolazione mondiale è inoltre intollerante al lattosio: i sintomi sono gastrointestinali, come gonfiore, dolore, diarrea, crampi, vomito e costipazione. Anche in questo caso non è sempre facile identificare con certezza la causa, ma rimuovere dalla dieta latte e derivati porta spesso alla sparizione dei sintomi.

Il latte contiene grassi saturi e colesterolo, che causano problemi cardiovascolari, e pesticidi, legati al morbo di Parkinson.

Le sostanze della famiglia delle morfine contenute nel latte sono tra le cause di morte improvvisa nei bambini che bevono latte di mucca (anche indirettamente se assunto dalla madre) perché agiscono su un sistema nervoso ancora non del tutto sviluppato, influendo sulla respirazione e provocando apnea e anche morte.

È facile ricavare da tutto questo che bere latte è un rischio per la salute, mentre eliminarlo dalla dieta può rimuovere numerosi problemi.

4. Ci possiamo fidare degli esperti

Gli studi indipendenti sugli effetti del consumo di latte e derivati contraddicono quelli finanziati da organizzazioni con un interesse nel settore.

Sono tanti i modi in cui si può esercitare un’influenza subdola:

  • vengono pubblicati solo gli studi che presentano il prodotto in modo favorevole
  • i ricercatori progettano lo studio, formulano le ipotesi e analizzano i dati in modo coerente con gli interessi dei finanziatori
  • si aggiustano le dosi e/o il campione di controllo in modo che i risultati negativi non abbiano rilevanza statistica
  • si ritarda o evita la pubblicazione di risultati con effetti negativi (gli sponsor possono avere per contratto diritto di veto sulla pubblicazione)
  • vengono inseriti nei comunicati e nelle presentazioni solo i risultati favorevoli, cosicché quelli negativi saranno resi noti molto più difficilmente
  • gli autori di rassegne di altri studi possono interpretare la letteratura in materia in modo selettivo favorendo gli interessi dei finanziatori, o dare troppa importanza a un punto di vista che li sostiene o troppo poca ad uno contrario.

5. I bambini in età scolare hanno bisogno del latte

I bambini sono da sempre al centro della strategia di marketing dell’industria del latte (anche da adulti, con le pubblicità basate sulla nostalgia). A far bere latte nelle scuole si è cominciato in tempi di crisi, per contrastare la malnutrizione con un cibo facilmente reperibile grazie agli accordi con l’industria e concentrato (serve appunto a trasformare un vitellino in un toro o una mucca).

Oggi semmai i bambini soffrono di sovrappeso e dei problemi che ne derivano, ma continuano a consumare latte e altri prodotti creati appositamente per attirare la loro attenzione, con l’aggiunta di cioccolata, o frutta, ed inevitabilmente di molto zucchero.

Per rivolgersi alle mamme, il marketing usa il coinvolgimento di pediatri e nutrizionisti per la produzione di materiale promozionale di tipo informativo che non sembra pubblicità ed ha lo scopo di cambiare le abitudini di lungo periodo.

6. Se le mucche non fossero felici non farebbero il latte

Le mucche fanno il latte per i vitellini, così come ogni altra femmina di mammifero, donna compresa, lo fa per la propria prole. La pubblicità mostra mucche felici al pascolo, ma la realtà sono stalle industriali enormi ed affollate, continui cicli di gravidanze per ricavarne latte con minime interruzioni, e con una produttività sempre maggiore grazie alla selezione genetica. Lo sforzo fisico richiesto alle mucche causa gravi disordini metabolici, mastiti e malattie articolari, e richiede una maggiore energia e quindi mangimi per loro innaturali che portano a problemi digestivi anche fatali. Inoltre, devono subire l’amputazione delle corna e spesso anche della coda.

E la sofferenza emotiva è ancora maggiore di quella fisica: la separazione dal vitellino appena nato, che si ripete ogni anno, è straziante per entrambi, e per molto tempo. Le mucche sono poi animali che in natura intrattengono rapporti sociali intensi: possono tenere il muso per anni o passare il tempo a leccare le amiche. Alla fine della vita in allevamento vengono sottoposte al viaggio verso il mattatoio e all’ultima esperienza dell’attesa del proprio turno.

Non c’è distinzione morale tra il consumo di latte e di carne, per quanto bravi siamo diventati a giustificare il primo cancellando la sofferenza e l’uccisione delle mucche e dei vitelli.

7. Gli abusi sugli animali sono illegali

La legislazione può far pensare che gli animali siano tutelati negli allevamenti e che sia obbligatorio rispettarli e tutelare il loro benessere. In realtà non hanno protezione, ed è l’industria a decidere quali sono le pratiche accettabili. Le mucche da latte vengono trattate come macchine, torturate per tutta la vita, e subiscono poi lo stress e la sofferenza ulteriori del trasporto, dalla vendita all’asta e del mattatoio. Le norme sono spesso soggette a interpretazione e quindi in qualche modo aggirabili – gli unici adempimenti davvero obbligatori sono quelli relativi dalla sicurezza del cibo – e i pochi cambiamenti favorevoli messi in atto servono più ad aumentare la produttività che a far stare meglio gli animali.

8. La produzione di latte bio è ecologica e rispetta le mucche

Anche se il latte bio costa il doppio, la differenza con quello tradizionale è poca per gli animali e ancora meno per l’ambiente. I mangimi devono essere biologici, ma non c’è traccia dell’immagine bucolica a cui può far pensare un allevamento bio. Anche se hanno un po’ più libertà di movimento, le mucche vengono comunque inseminate artificialmente, munte durante la gravidanza e separate dal vitello dopo pochi giorni (vitellino che verrà macellato a 6 mesi), e finiranno la loro vita in un mattatoio come quelle allevate in modo convenzionale.

L’impronta ambientale comincia con la produzione e il trasporto dei mangimi per le mucche, continua con il metano che gli animali emettono nell’aria con la digestione e l’energia e gli scarti degli impianti, e prosegue per i formaggi, che necessitano di ulteriore lavorazione. Secondo un rapporto della FAO, la produzione di latte, crema, yogurt e formaggio provoca il 4% delle emissioni dei gas che causano l’effetto serra (in realtà, secondo altri studi, la percentuale è ancora più alta). Per ridurre l’impatto ambientale non serve scegliere latte e latticini bio – avrebbe un effetto molto maggiore diminuirne il consumo il più possibile (l’ottimo è, ovviamente, azzerarlo).

9. L’industria casearia è un’industria come tutte le altre

Non lo è: è una lobby molto potente ed ha un ruolo particolare nell’immaginario individuale e collettivo. Ma soprattutto usa macchinari diversi da tutte le altre: le mucche sono considerate mezzi di produzione ma sono esseri viventi. L’industria casearia ci vende invece il prodotto delle loro sofferenze come una cosa qualsiasi, come un succo di frutta. Anche i prodotti collaterali sono esseri viventi: i vitellini maschi verranno macellati ancora da cuccioli, le femmine diventeranno anch’esse produttrici di latte (una parte: un’altra parte verrà macellata).

10. Non potrei vivere senza formaggio

Il formaggio ha davvero il potere speciale di riuscire a farsi amare: dipende dall’innata predisposizione verso i grassi e i sapori ricchi, e dalla presenza di componenti della famiglia delle morfina. Durante la fermentazione si formano nel formaggio le casomorfine, una serie di oppiacei. Consumarli crea una dipendenza sia psicologica che fisica – l’attrazione verso i grassi è un residuo di una biologia antica e ormai obsoleta almeno nel mondo occidentale. Come da tutte le dipendenze, però, si può guarire.

Al consumo di latte e derivati, conclude l’autrice di Cash Cow, si applicano gli stessi argomenti usati per la carne. Se non si ritiene etico mangiare carne, non si può pensare che lo sia bere latte o mangiare latticini. Lo è anzi ancora meno se si pensa che le mucche da latte, poi comunque macellate, hanno una vita più lunga e con sofferenze ancora più gravi.

È un libro ben scritto, è chiaro che c’è molta ricerca dietro, e anche se alcune parti sono specifiche sul Canada o ancora più in particolare sulla regione del Quèbec, è una lettura utile ed interessante per tutti, perché le pratiche utilizzate nell’industria lattiero-casearia sono le stesse in tutto il mondo.

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Autore Élise Desaulniers

Editore Edizioni Sonda

Anno 2016

Genere Saggio

Categoria: Libri
Argomento: Scelta vegan

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Fonte: AgireOra

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E’ in arrivo il latte Frankenstein (OGM)

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In arrivo il latte Ogm per allergici

di Luigi Torriani

Un team di ricercatori dell’Università di Auckland, in Nuova Zelanda, ha “progettato” una mucca ogm (chiamata Daisy) in grado di produrre latte digeribile anche da chi è allergico. Vediamo di che si tratta.

La ricerca sulla mucca ogm Daisy, coordinata da Anower Jabed e pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica PNAS, si propone di risolvere il problema dell’allergia al latte di mucca, che colpisce circa il 2-3% dei bambini nel mondo e che è legata alla presenza nel latte di mucca della beta-lattoglobulina (Blg), una proteina di siero di latte che non è presente nel latte materno e che può causare reazioni allergiche. Gli scienziati sono partiti lavorando su un modello di topo progettato per produrre una forma di proteina Blg ovina nel latte murino. Usando una tecnica chiamata Rna interference, due microRNA (brevi molecole di acido ribonucleico) sono stati quindi introdotti nel topo per interromperne la produzione, il che ha determinato una riduzione del 96% della proteina nel latte prodotto dal topo. A questo punto i ricercatori hanno creato Daisy, un vitello femmina (nato – non è chiaro perché – privo di coda) geneticamente modificato per esprimere gli stessi due micro Rna provati nel topo (questa volta per impedire l’espressione della Blg normalmente presente nel latte di mucca). Dopo aver indotto ormonalmente il vitello ad allattare, sono arrivati i risultati sperati: l’assenza di quantità rilevabili di Blg, unitamente a un livello della proteina caseina addirittura doppio rispetto al normale. Il latte ogm della mucca Daisy sarebbe quindi un latte con caratteristiche nutrizionali uguali o addirittura superiori rispetto al latte normale e normalmente consumabile da chi ha problemi di allergia al latte.

Il punto è che gli ogm in Europa non hanno mai avuto successo (mentre hanno sempre più successo i cibi biologici), e nei Paesi anglosassoni hanno un mercato di ben altre proporzioni ma comunque in crisi. I cittadini europei non si fidano degli organismi geneticamente modificati (e non si fidano ovviamente nemmeno di ulteriori sviluppi della ricerca, come l’hamburger da staminali di mucca e la clonazione animale a fini alimentari), tanto che la multinazionale Basf ha addirittura fermato lo sviluppo di colture ogm in Europa per concentrarsi esclusivamente sul mercato americano. Il guaio (per le multinazionali) è che anche negli Stati Uniti si stanno diffondendo ultimamente non poche perplessità sugli ogm, come mostra il caso emblematico della California.

Nel frattempo in Italia, come è noto, la contrarietà agli ogm raggiunge percentuali bulgare, tutt’altro che scalfite dalle recenti dichiarazioni del ministro Clini. Valga per tutti il comunicato stampa durissimo della Coldiretti a commento delle notizia sulla mucca ogm Daisy: “il latte ipoallergenico e proteico ottenuto direttamente da una mucca geneticamente modificata (ogm) non piace a tre italiani su quattro (71 per cento), che ritengono gli ogm meno salutari dei prodotti tradizionali. Nonostante il rincorrersi di notizie miracolistiche sugli effetti benefici delle nuove modificazioni effettuate su animali e vegetali (dal salmone ad accrescimento rapido al riso ipervitaminico, dalle patate fritte super resistenti ai parassiti fino al latte materno da mucche transgeniche) il livello di scetticismo nel Belpaese rimane per fortuna elevato. La realtà è che gli ogm attualmente in commercio riguardano pochissimi prodotti (mais, soia e cotone), e sono diffusi nell’interesse esclusivo di poche multinazionali senza benefici riscontrabili dai cittadini”.

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Fonte: Universofood

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