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Lev Tolstoj: 100 anni dalla sua morte

“L’uomo più complesso del XIX secolo.”     (Maksim Gorki)

Lev Nikolaevič Tolstoj, in russo: Лев Николаевич Толстоù (Jasnaja Poljana, 28 agosto 1828Astapovo, 7 novembre 1910) è stato uno scrittore, drammaturgo,  filosofo, pedagogista, anarco-pacifista, vegetariano, e molto altro ancora.  Alcuni estratti dai suoi capolavori ci aiutano a capire la complessa personalità e la profonda umanità di questo grande scrittore.

Che fare?

“…Trent’anni fa ho visto a Parigi decapitare un uomo con la ghigliottina, in presenza di migliaia di spettatori. Sapevo che si trattava di un pericoloso malfattore; conoscevo tutti i ragionamenti che gli uomini hanno messo per iscritto nel corso di tanti secoli per giustificare azioni di questo genere; sapevo che tutto veniva compiuto consapevolmente, razionalmente; ma nel momento in cui la testa e il corpo si separarono e caddero diedi un grido e compresi, non con la mente, non con il cuore, ma con tutto il mio essere, che quelle razionalizzazioni che avevo sentito a proposito della pena di morte erano solo funesti spropositi e che, per quanto grande possa essere il numero delle persone riunite per commettere un assassinio e qualsiasi nome esse si diano, l’assassinio è il peccato più grave del mondo, e che davanti ai miei occhi veniva compiuto proprio questo peccato…” (pp. 18-19)

“…Compresi, in realtà, solo ciò che sapevo da moltissimo tempo, quella verità che è stata trasmessa agli uomini sin dai tempi più antichi, da Buddha, da Isaia, da Lao-Tse, da Socrate. e, in modo particolarmente chiaro e inequivocabile, da Gesù Cristo e dal suo predecessore Giovanni Battista. Giovanni Battista, alla domanda degli uomini: «Che dobbiamo fare?», ha risposto in modo semplice, breve e chiaro: «Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto.» […] Capii che un uomo, oltre a vivere per il proprio bene personale, deve inevitabilmente contribuire al bene degli altri: se dobbiamo prendere un paragone dal mondo degli animali […] allora occorre prenderlo dal mondo degli animali sociali, come le api; ed è per questo che l’uomo, senza parlare dell’amore per il prossimo che è innato in lui, è chiamato sia dalla ragione sia dalla sua stessa natura a servire gli altri uomini e l’umanità in generale. Capii che questa legge naturale dell’uomo è la sola che gli permette di compiere quanto gli è stato assegnato e di essere quindi felice…” (pp. 155-156)

Tolstoj (a destra) con Chekhov

Confessione

“…Allargai il raggio delle mie osservazioni, esaminai la vita di enormi masse di uomini, sia di quelli passati sia di quelli contemporanei. E di uomini che avevano capito il senso della vita, che avevano saputo vivere e morire io ne vedevo non due, tre, dieci, bensì centinaia, migliaia, milioni. E tutti loro, infinitamente diversi per indole, intelligenza, educazione, condizione, tutti allo stesso modo e in completa contrapposizione alla mia ignoranza conoscevano il senso della vita e della morte, sopportavano privazioni e sofferenze, vivevano e morivano vedendo in ciò non la vanità, ma il bene.
Ed io fui preso da amore per quegli uomini. Quanto più penetravo nella loro vita di uomini viventi e nella vita degli uomini che erano già morti, dei quali leggevo o sentivo raccontare, tanto più io li amavo, e tanto più mi diventava facile vivere. Vissi così circa due anni e in me si verificò quel rivolgimento che da tempo già si preparava e del quale erano sempre esistite dentro di me le premesse. Mi accadde che la vita della nostra cerchia – dei ricchi, delle persone istruite non solo mi disgustò, ma perse qualsiasi senso. Tutto quello che noi facevamo, i nostri ragionamenti, la nostra scienza, le nostre arti, tutto ciò mi apparve come un trastullo da ragazzi. Io capii che non si doveva cercare un senso in tutto ciò. E invece quel che faceva il popolo lavoratore, il quale costruisce la vita, mi appariva come l’unica occupazione degna di rispetto. E capii che il senso che veniva attribuito a quella vita era la verità, e l’accettai…” (cap. X)

Contro la caccia (1895)

“…Sono stato cacciatore appassionato per molti anni, anzi la caccia era per me una occupazione molto seria […] Il rimorso, dapprima appena percettibile nella mia coscienza, si ingrandì a poco a poco, se ne impadronì interamente, la scosse, e finì coll’inquietarmi seriamente. Dovetti guardare la verità in faccia, ed allora compresi la crudeltà della caccia. Ora in essa non vedo che un atto inumano e sanguinario, degno solamente di selvaggi e di uomini che conducono una vita senza coscienza, che non si armonizza con la civiltà e col grado di sviluppo a cui noi ci crediamo arrivati…”

“…Oggi uccidere gli animali, anche per l’alimentazione dell’uomo, è divenuto assolutamente superfluo, come è provato dal numero sempre crescente delle persone che si nutrono di proposito con alimenti vegetali o latticini…”

“…L’uomo che comprende tutta l’importanza morale della pietà, non indietreggerà davanti al timore che le sue manifestazioni possano renderlo ridicolo agli occhi degli altri. Che cosa deve importargli, se mettendo in libertà un topo colto in trappola, invece di ammazzarlo, provoca i motteggi e le disapprovazioni, quando sa che, non solamente ha salvato dalla morte un animale, che teneva quanto lui alla vita, ma ha anche lasciato manifestarsi liberamente il sentimento della compassione, ed ha fatto un passo verso quell’era superiore dell’amore universale, che non conosce limite, che lo affrancherà dalla morte e lo identificherà con le sorgenti della vita…”

Resurrezione

“…Per quanto gli uomini, riuniti a centinaia di migliaia in un piccolo spazio, cercassero di deturpare la terra su cui si accalcavano, per quanto la soffocassero di pietre, perché nulla vi crescesse, per quanto estirpassero qualsiasi filo d’erba che riusciva a spuntare, per quanto esalassero fiumi di carbon fossile e petrolio, per quanto abbattessero gli alberi e scacciassero tutti gli animali e gli uccelli, – la primavera era primavera anche in città. Il sole scaldava, l’erba, riprendendo vita, cresceva e rinverdiva ovunque non fosse strappata, non solo nelle aiuole dei viali, ma anche fra le lastre di pietra, e betulle, pioppi, ciliegi selvatici schiudevano le loro foglie vischiose e profumate, i tigli gonfiavano i germogli fino a farli scoppiare; le cornacchie, i passeri e i colombi con la festosità della primavera già preparavano nidi, e le mosche ronzavano vicino ai muri, scaldate dal sole.
Allegre erano le piante, e gli uccelli, e gli insetti, e i bambini. Ma gli uomini – i grandi, gli adulti – non smettevano di ingannare e tormentare se stessi e gli altri. Gli uomini ritenevano che sacro e importante non fosse quel mattino di primavera, non quella bellezza del mondo di Dio, data per il bene di tutte le creature, la bellezza che dispone alla pace, alla concordia e all’amore, ma sacro e importante fosse quello che loro stessi avevano inventato per dominarsi l’un l’altro…”

Fonte: Wikiquote

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Approfondimento:

Lev Tolstoj