Neoliberismo: l’inizio della fine

Nella recensione del libro di Noam Chomsky del 1999 –  ” Sulla pelle viva. Mercato globale o movimento globale?” – vengono anticipate tutte le atrocità del neoliberismo che, negli anni, porteranno poi il nostro pianeta ad una lenta agonia.   (madu)

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Noam Chomsky

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Chomsky: la brutalità del neoliberismo

mercato globale o movimento globale?

“Il neoliberismo è il paradigma economico-politico che definisce il nostro tempo: indica l’insieme delle politiche e dei processi che consentono a un gruppo relativamente ristretto di interessi privati di controllare il più possibile la vita sociale allo scopo di massimizzare i propri profitti”.
   Sono parole di Robert W. McChesney dall’introduzione al volume “Sulla pelle viva. Mercato globale o movimento globale?” di Noam Chomsky (Marco Tropea Editore, ottobre 1999, 224 pagine, 28 mila lire). Nel volume Chomsky analizza il neoliberismo, pone in luce le distorsioni dell’interpretazione della stessa dottrina liberale classica che caratterizzano teoria e prassi degli alfieri postmoderni della deregulation, denuncia lo storico dominio americano (spesso reso possibile, al contrario, proprio da generosi contributi pubblici alel industrie nazionali) e il disegno della Organizzazione mondiale del commercio (vedi Seattle) come longa manus di questo grande imperialismo globale che crea nuove povertà in termini di vita umana e di ambiente naturale tanto al Sud quanto al Nord del mondo.

   Il problema è che anche le cosiddette forze della sinistra di governo, anche la più “tradizionale”, quella europe, sembrano rassegnarsi all’ineluttibilità della ricetta liberista, sia pure, in qualche caso, con correttivi che la rendano un po’ più digeribile, giusto per evitare incazzature globali (e qui dopo Seattle molti si saranno resi conto di muoversi già sul filo del rasoio…).
   Scrive ancora McChesney: “Inizialmente associato a Reagan e alla Thatcher, negli ultimi due decenni il neoliberismo è stato il credo economico-politico dominante a livello globale, adottato non solo dai partiti politici di centro e di destra, ma anche da buona parte della sinistra tradizionale. Questi partiti e le politiche adottate rappresentano gli interessi diretti di investitori estremamente ricchi e di meno di un migliaio di grandi imprese”.

   Come si è detto, al centro dell’analisi di Chomsky ci sono il ruolo storico degli Stati Uniti nell’informare secondo un modello funzionale ai propri interessi politici ed economici l’intero equilibrio dei rapporti mondiali (e qui ci sia permesso dire due parole a tutti quei pensatori, intellettuali, giornalisti o quant’altri “liblab” che ad ogni accusa rivolta agli Stati Uniti – sia perché bombardano la gente o perché massacrano indirettamente le vite di milioni di lavoratori – rispondono con una alzata di scudi e parlano di veteroantiamericanismo: per favore, la morte e lo sfruttamento non sono ideologie, sono fatti; tragici fatti). Ma come mai il liberismo ha conquistato questa posizione dominante nel mercato delle idee? Per il fallimento del comunismo sovietico, certo. Ma proviamo a sentire di nuovo McChesney: “Il grande sforzo finanziario compiuto nell’ultimo ventennio dalle imprese sul terreno delle pubbliche ha conferito a questo termine e a queste idee un’aura pressoché sacrale. Il risultato di tale impegno è che le tesi avanzate dai teorici di queste posizioni non vengono nemmeno più difese, e sono invocate a sostegno di ogni forma di razionalizzazione: dall’attenuazione della pressione fiscale sui ricchi, all’abolizione delle norme di tutela dell’ambiente, allo smantellamento della scuola pubblica e dello stato sociale”.

   A proposito di Chomsky, McChesney osserva: “In tutti questi anni C>homsky, che può considerarsi un anarchico o forse, più correttamente, un socialista libertario, è stato un critico franco e coerente degli stati e dei partiti comunisti e leninisti, a cui ha sempre mosso un’opposizione di principio. Ha insegnato a un gran numero di persone – compreso chi scrive – che la democrazia è il caposaldo irrinunciabile di ogni società postcapitalistica in cui abbia senso vivere e per cui valga la pena di lottare. Nello stesso tempo, ha dimostrato quanto sia assurdo identificare capitalismo e democrazia o pensare che le società capitalistiche, anche nelle circostanze migliori, accetteranno mai di consentire alla gente l’accesso all’informazione e la partecipazione al processo decisionale al di là di spazi angusti e accuratamente controllati. Nessuno, credo, a parte George Orwell, è stato efficace come Chomsky nel denunciare sistematicamente l’ipocrisia di governanti e ideologi, comunisti non meno che capitalisti, quando celebrano la propria forma di governo come l’unica democrazia autentica e possibile per l’umanità”.
   Infatti, uno dei messaggi di Noam Chomsky in questo volume che vale davvero la pena di leggere è che proprio la manipolazione delle coscienze, il gioco della distorsione dell’informazione, determina le condizioni ideali per il dominio sulla società da sfruttare. Chomsky, per esempio, a proposito di neoliberismo, dimostra che stati e governi – tanto vituperati dai fautori del liberissimo mercato – sono sostegni fondamentali per il sistema capitalistico al quale servono per la difesa degli interessi delle grandi imprese (sotto forma di sovvenzioni, fisco eccetera) e sempre meno per tutelare i singoli cittadini, soprattutto i più deboli.

   Leggere Chomsky significa rendersi conto del funzionamento dei meccanismo complessi (ma frutto di un preciso disegno politico-economico) che determinano il mercato dello sfruttamento globale. “I princìpi fondamentali del liberalismo classico trovano la loro naturale espressione moderna non nel dogma neoliberista, ma nei movimenti indipendenti dei lavoratori, nonché nelle idee e nell’azione di quel socialismo libertario espresso talvolta anche da grandi esponenti del pensiero del Novecento, come Bertrand Russel e John Dewey”, scrive Chomsky invitandoci a guardare oltre il confine che qualcuno vuole imporre al nostro immaginario.

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Fonte:  NonLuoghi


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