I giovani ed internet: allerta in Italia per la sindrome di Hikikomori

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La stanza di un hikikomori.

La stanza di un hikikomori.

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Rinchiusi nella propria stanza dalle 10 alle 12 ore rifiutano alcun contatto esterno. Utilizzano all’interno della loro tana solo ed esclusivamente internet e videogames. Nessun rapporto con l’esterno, con i familiari e con gli amici. Si tratta di una reclusione volontaria. Si tratta della sindrome di Hikikomori. Colpisce prevalentemente gli adolescenti.

Dal complesso rapporto di Eurispes sulla condizione di bambini ed adolescenti in Italia la Federazione Italiana degli Ordini dei Medici (FNOMCEO) lancia l’allarme sulla sindrome di Hikikomori. ”E’ una delle forme emergenti di dipendenza – precisa la Fnomceo – che spesso viene confusa con situazioni psicopatologiche diverse. Va affrontata e prevenuta innanzitutto attraverso la conoscenza del fenomeno che e’ ancora sottaciuto”.

“Il fenomeno, già presente in Giappone dalla seconda metà degli anni ottanta, ha incominciato a diffondersi negli anni duemila anche negli Stati Uniti e in Europa….Il termine fu coniato dallo psichiatra Tamaki Saitō, quando cominciò a rendersi conto della similarità sintomatologica di un numero sempre crescente di adolescenti che mostravano letargia, incomunicabilità e isolamento totale. Oltre all’isolamento sociale gli hikikomori soffrono tipicamente di depressione e di comportamenti ossessivo compulsivi. ” – (Wikipedia)

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Riporto un’intervista fatta nel 2008 dalla dott.ssa Claudia Pierdominici allo scopritore della sindrome il dr. Tamaki Saitō. L’intervista è tratta dal sito PSYCHOMEDIA.

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Intervista a Tamaki Saito sul fenomeno “Hikikomori”

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di Claudia Pierdominici

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L’ intervista che segue mi è stata rilasciata da Dott. Saito il 12 aprile 2008, a Tokyo. In quell’occasione ho avuto modo di constatare la disponibilità e l’immediatezza del Dott. Saito, cui sono grata, durante una piacevole conversazione seduti al tavolo di una caffetteria. Il mio interesse per il fenomeno dello hikikomori è abbastanza recente, ma da subito ho ritenuto fondamentale stabilire un contatto con chi di questo argomento si occupa da tempo e per questo può guidarci alla comprensione di una realtà che, seppure lontana nello spazio, incuriosisce e pone degli interrogativi importanti. E’ con questo pensiero e, naturalmente, grazie alla cortesia del Dott. Saito, che è stata possibile una diretta esperienza su un aspetto problematico della società giapponese; mi auguro di proseguire, condividendo le preziose informazioni ricevute, con chi come me ha un interesse per il Giappone e la sua attualità.

Dottor Saito, a quando risale il primo episodio di hikikomori?

SAITO: La prima volta che mi sono imbattuto nel fenomeno dello hikikomori è stato quando, diventato psichiatra, ho incontrato il mio primo paziente. Questa è stata la mia esperienza. A quel tempo i pazienti hikikomori erano tanti ma, dato che questo nome non esisteva ancora, noi chiamavamo il fenomeno Apatia o Sindrome di Apatia.

In base alla sua esperienza si può dire che negli ultimi anni lo hikikomori stia aumentando? Se sì, perché?

SAITO: Il numero di hikikomori sta aumentando. In Giappone se ne contano circa 1 milione e questo numero è in crescita. Perché questo? La ragione è che una persona una volta diventata hikikomori si isola dalla società e non riesce a reinserirsi da sola. Perché è molto difficile uscire dall’isolamento. Le persone colpite da hikikomori restano tali e via via la schiera si infoltisce. Un esempio è la dispersione scolastica(6): i ragazzi che smettono di frequentare la scuola diventano hikikomori. In Giappone questi ragazzi sono 127.000. Di questi circa il 10% diventano hikikomori e ogni anno la percentuale di nuovi casi è sempre la stessa. Praticamente non si registrano casi di ritorno spontaneo alla normalità. Il numero di hikikomori cresce per questa ragione.

Se un genitore di un ragazzo hikikomori venisse da lei per un consiglio, cosa gli direbbe?

SAITO: Io ho scritto dei libri sullo hikikomori il cui intero contenuto riguarda consigli per i genitori.

Quindi lei dice di comprare il libro?!

SAITO: Ah, ah! Sì, comprate il libro! Comunque ora mi spiego meglio. I genitori rimproverano il figlio hikikomori, ma cercare di persuaderlo solo attaccandolo non aiuta a modificare la situazione. Per questo il mio primo consiglio è quello di accettare la condizione del ragazzo e di farlo vivere serenamente in casa. Così facendo migliora il rapporto genitore-figlio e lo hikikomori parla al genitore dei suoi problemi e del suo dolore. E’ da qui che può decidersi ad andare in terapia o ricorrere a un ricovero. Se perdura il conflitto tra genitori e figli è impossibile trovare una soluzione.

In Giappone c’è un programma di volontariato gestito da un’associazione chiamata New Start(7). Anche dall’Italia molte persone partecipano all’iniziativa e vengono in Giappone da volontari a sostegno dei ragazzi hikikomori. Lei, Dottor Saito, cosa pensa della New Start?

SAITO: Penso che la New Start sia ammirevole nella fase iniziale di sostegno. Tuttavia manca di medici e consulenti specializzati e questo è il punto debole. Conosci le “rental onesan”? Vanno a trovare lo hikikomori in casa e lo aiutano…

Ah, sì. Ne ho sentito parlare. Sono le “sorelle in prestito”, chiamate dai genitori degli hikikomori per aiutarli a superare l’isolamento.

SAITO: Sì. L’idea è una buona idea, ma mi pare che non abbiano alcuna formazione specifica. Hanno un programma dai ritmi sostenuti, forse poco adeguato. Questo mi lascia in dubbio, oltre al fatto che molti pazienti credono che vivere insieme o lavorare insieme sia di per sé un processo terapeutico. Loro non si occupano dei ragazzi che rifiutano di partecipare al programma. In questo senso vedo dei problemi. Comunque nel complesso penso sia ammirevole quello che fanno.

Purtroppo il Giappone è un paese con un’alta percentuale di suicidi(8). Com’è questa percentuale tra gli hikikomori?

SAITO: Molto bassa. Spesso gli hikikomori mi dicono che vogliono morire ma non ce la fanno perché il loro narcisismo li salva. Una salutare forma di autocompiacimento impedisce loro di togliersi la vita, vorrebbero ma non possono. Per questo la percentuale dei suicidi è bassa.

In Giappone c’è un qualche tipo di aiuto da parte del Ministero della Sanità o da parte di altre istituzioni? Se sì, in che misura? Se no, perché?

SAITO: Questo è molto importante. L’aiuto c’è. In tutte le prefetture(9) ci sono centri per la salute mentale e l’assistenza sociale che si occupano anche di hikikomori. Le strutture a livello locale esistono, ma in Giappone ci sono pochissimi specialisti con una buona formazione, e a causa di ciò il sostegno risulta insufficiente. Quindi le strutture di sostegno lavorano bene ma, mancando ancora gli specialisti, gli interventi non sono del tutto efficaci.

Il Sofukai Sasaki Hospital, dove lei lavora, è una clinica privata o un ospedale pubblico?

SAITO: E’ una clinica privata(10).

Secondo lei c’è una possibilità che il fenomeno hikikomori si estenda al resto del mondo o lo si deve considerare un fenomeno tipicamente giapponese?

SAITO: Io penso che il fenomeno hikikomori sia equivalente al fenomeno dei giovani senza fissa dimora in Europa e in America. In entrambi i casi si emarginano dalla società, con la differenza che in Giappone lo fanno restando nelle loro case. Per questo non penso che il fenomeno possa estendersi ad altri paesi. Ho ricevuto molte e-mail dall’Italia, in particolare dall’Italia e non da altri paesi. Non so perché ma dall’Italia mi arrivano tante domande. Probabilmente dal prossimo anno saremo in contatto con l’Università di Palermo, lì in molti collaborano e studiano questo fenomeno. In Italia ci sono molte persone interessate allo hikikomori. Un altro paese è l’Inghilterra. Sono stato intervistato dalla BBC circa cinque anni fa e grazie a loro molte persone nel mondo sono venute a conoscenza del fenomeno. Non si estenderà altrove, ma non c’è solo in Giappone; anche in Corea gli hikikomori sono tanti. Oggi i paesi colpiti da questo fenomeno sono il Giappone e la Corea, che sono aree di cultura confuciana, le cui società hanno assimilato il Confucianesimo(11) e in particolare il concetto di pietà filiale. Sono culture in cui la pietà filiale è un valore molto enfatizzato. I genitori accudiscono i figli per essere da questi accuditi in vecchiaia, nel rispetto dell’alternanza dei ruoli. In America e in Inghilterra, una volta diventati adulti, i figli lasciano la casa paterna; in Giappone invece rimanere in casa è normale. Qui li chiamiamo “parasite singles”, mentre in Italia si chiamano “mammoni”!

Sì, proprio così…mammoni!

SAITO: Ecco, se pensiamo che una parte di questi “parasite singles” è destinata a diventare hikikomori il fenomeno è più facile da capire.

Pensando all’hikikomori come a una patologia sociale si può dire che potrebbe estendersi anche in America o in Europa. A riguardo, non pensa siano utili confronti con gli altri paesi, scambi internazionali o provvedimenti comuni?

SAITO: Penso sia giusto considerare l’hikikomori una patologia sociale. Tuttavia, data la differenza tra le culture, in America e in Europa penso che siano pochi e che non aumentino in modo considerevole. Il motivo è che i genitori americani ed europei mandano via di casa il figlio adulto e quindi il figlio non può diventare hikikomori. In Giappone restano in casa anche a trenta, quarant’anni e i genitori continuano a provvedere a loro. Non penso che il fenomeno possa andare oltre il Giappone e la Corea. Comunque parlare di scambi internazionali ha senso. Per quanto riguarda i miei pazienti, ce ne sono alcuni che grazie a viaggi all’estero e al contatto con stranieri hanno superato l’hikikomori, quindi credo che gli scambi internazionali siano utili a tal fine. Un po’ come fa la New Start con l’Italia, io, che ho un programma diverso, faccio scambi di pazienti con la Corea. Attraverso lo scambio culturale, frequentando l’Università in Corea, abbiamo avuto casi di guarigione di hikikomori giapponesi.

E ora passiamo all’ultima domanda. Facendo un confronto tra Italia e Giappone possiamo notare che le cause del disagio giovanile sono le stesse (bullismo nelle scuole, mancanza di interessi o di modelli in famiglia, ecc.). Tuttavia in Italia non esiste un fenomeno simile allo hikikomori. Un giovane in Italia, piuttosto che chiudersi nella propria stanza, è più facile che reagisca al suo disagio sociale finendo nella microcriminalità, drogandosi o avendo disturbi alimentari quali l’anoressia e la bulimia. I giapponesi, che vivono in una società più attenta al gruppo e all’armonia, invece di reagire in modo concreto, sembrano preferire il silenzio. Lei cosa ne pensa?

SAITO:Queste diversità sono interessanti. Anche in Giappone ci sono molti casi di Anoressia e Bulimia nervose, ma non al livello dell’Italia. La foto di quella modella anoressica sui giornali italiani dimostra che probabilmente la situazione è seria. In Italia ce ne sono di più. Nei paesi in cui la famiglia ha una grande importanza ci sono più hikikomori. In Giappone è così, e lo stesso in Corea. La pietà filiale. Forse anche in Sicilia, nella parte meridionale dell’Italia, ce ne sono. No?

Non ne ho mai sentito parlare. Forse sì.

SAITO: Nei paesi in cui i rapporti familiari sono importanti anche se il figlio si emargina guarderà sempre i genitori con rispetto e dipenderà da loro. Poiché c’è il problema dell'”amae” (dipendenza parentale). In Giappone senz’altro è importante il giudizio degli altri. Un ragazzo hikikomori è motivo di vergogna per il genitore; per questo viene rimproverato. Anche il ragazzo si preoccupa molto di cosa possonopensare gli altri e si tormenta. Così facendo però si convince di essere sbagliato e si isola sempre di più. In Giappone non c’è un dogma religioso, la gente non ha un credo, noi crediamo agli occhi degli altri, ci preoccupiamo di come ci vedono. Siamo molto sensibili al giudizio altrui e ci fa male essere disprezzati. In questa condizione diventa difficile superare lo hikikomori e forse è una condizione tipicamente giapponese.

Note:

1) Giuliana CARLI è docente di Lingua e Letteratura Giapponese presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università “Sapienza” di Roma.
2) Tamaki SAITO è nato nel 1961 a Iwate, si è laureato in medicina all’Università di Tsukuba specializzandosi in psichiatria adolescenziale. E’ da anni impegnato nell’assistenza e nel trattamento di hikikomori, in tale ambito è uno degli esperti più qualificati. Attualmente è Direttore Clinico del Sofukai Sasaki Hospital, una clinica privata di Chiba, non lontano da Tokyo; ha pubblicato saggi di successo in ambito psicoanalitico, letterario, su tematiche culturali e sociali, sull’arte moderna. Le frequenti apparizioni televisive e il coinvolgimento verso forme culturali d’avanguardia hanno contribuito ad accrescere la sua fama in Giappone e nel mondo.
3) Il termine “hikikomori” , contrazione di shakaiteki hikikomori (ritirarsi dalla società) fu coniato negli anni ’80 ad indicare un fenomeno socialmente preoccupante emerso in Giappone circa dieci anni prima. Trattandosi a tutti gli effetti di una se-clusione dal contesto sociale, si è scelto qui di tradurre il termine con auto-isolamento (hikikomori è la forma sostantivizzata di due verbi: hiku, indietreggiare, e komoru, isolarsi, nascondersi; in giapponese, e ormai nelle altre lingue, hikimomori indica sia il fenomeno che il soggetto colpito da tale fenomeno). Laddove si riscontri una tendenza all’auto-isolamento per almeno sei mesi, soprattutto nella fascia d’età dai 14 ai 30, si parla di hikikomori. Il primo passo verso questa particolare condizione sembra essere l’abbandono scolastico, seguito dal rifiuto graduale di qualsiasi contatto con l’ambiente esterno. A causa di questo auto-isolamento, benché il soggetto non parta da una condizione di svantaggio mentale, lo hikikomori può arrivare a soffrire di malattie mentali secondarie quali antropofobia, paranoia, disturbi ossessivo-compulsivi e depressione.
4) Amae è entrato nel lessico analitico-sociologico come sinonimo di “dipendenza” o di “indulgenza” nelle relazioni interpersonali che caratterizzano la società giapponese, in primis le relazioni parentali, dalle quali ci si aspetta un certo grado di soddisfazione emotiva, secondo la teoria ampiamente diffusa da Takeo DOI in Anatomia della dipendenza, Raffaello Cortina Editore, 1971.
5) Claudia PIERDOMINICI ha conseguito la laurea in Lingue e Culture del Mondo Moderno presso l’Università “Sapienza” di Roma. L’intervista da lei realizzata sarà parte della tesi di specializzazione in corso di stesura sullo stesso argomento.
6) Il Giappone ha avuto un picco di rifiuto della frequenza scolastica nel 2001 con con 138.722 casi registrati , rispetto ai 122.255 del 2005; sempre nel 2005 gli episodi di bullismo sono stati 34.038. In totale i casi di abbandono scolastico nella scuola secondaria inferiore e superiore relativi al 2005 ammontano a 76.693, pari ad una percentuale del 2,1%; questo dato è rilevante in relazione all’altissimo grado di scolarizzazione riscontrabile in Giappone.
7) La New Start è un’organizzazione no profit la cui sede centrale è in Giappone, nelle prefetture di Chiba e Yamanashi. Possiede altre sedi secondarie in Italia, nelle Filippine e in Australia. L’organizzazione si propone di aiutare prevalentemente i giovani con difficoltà di comunicazione e integrazione nella società. Ha la finalità di migliorare la loro capacità di interagire e di renderli indipendenti dalla famiglia, assegnando loro piccoli incarichi o lavori e organizzando con soggiorni in una sede all’estero. In genere sono i genitori a contattare la New Start e a far partecipare il figlio alle attività del programma, pagando una quota. La New Start si propone come un’estensione della famiglia e in questo senso prevede anche la figura della cosiddetta “sorella (o fratello) in prestito”, che nei casi di particolare chiusura del giovane cerca di stabilire un contatto con lui e di convincerlo a uscire dalla sua stanza e a prendere parte al programma.
8) Secondo i dati forniti dalla National Police Agency il numero totale dei suicidi in Giappone per il 2007 è stato di 33.093, in aumento rispetto agli anni passati, (dopo il totale di 34.427 raggiunto nel 2003). Dai dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità il Giappone è la seconda nazione, dopo la Russia, con la più alta percentuale di suicidi. Tra le varie fasce di età la percentuale maggiore si registra tra gli uomini con età superiore ai 60 anni.. Negli ultimi anni si è verificato un forte incremento anche per il gruppo d’età inferiore ai 19 anni, il cui numero di suicidi è salito da 608 nel 2005 a 623 nel 2006. Sembra esistere una correlazione tra suicidi e bullismo nelle scuole.
9) Il Giappone è suddiviso in otto zone geografiche, ognuna delle quali è a sua volta organizzata in prefetture. Le prefetture del Giappone sono 47 e furono stabilite dal governo Meiji nel 1871 in sostituzione delle precedenti province. Rappresentano pertanto degli enti locali con competenze su base territoriale.
10) Le cliniche private, come anche le strutture pubbliche, funzionano in Giappone col sistema assicurativo sanitario. Secondo una legge entrata in vigore nel 1961 ogni cittadino giapponese deve essere coperto da un’assicurazione sulla salute che possa coprire gran parte delle spese mediche e assicurare al cittadino la possibilità di essere curato indipendentemente dal reddito.
11) Originario della Cina, il Confucianesimo è l’insieme delle dottrine etico-politiche predicate da Confucio (551?- 479 a.C.). Secondo questa dottrina, nata allo scopo di mantenere l’ordine sociale nella Cina di quel tempo, le virtù-chiave che l’uomo deve perseguire sono il dovere filiale, l’altruismo, comportamento sociale, e la lealtà-fedeltà verso lo Stato. Nel Confucianesimo ha un ruolo fondamentale la ritualità dei comportamenti e in particolare il rito del culto degli antenati. La sua introduzione in Giappone risale circa alla metà del VII secolo, tempo in cui ci fu una massiccia adozione delle pratiche culturali cinesi; il Confucianesimo ha profondamente influenzato la cultura giapponese da quando fu stigmatizzata come dottrina di stato in epoca Tokugawa (1603-1867) e fino al XIX secolo.

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Fonte: PSYCHOMEDIA

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Vedi anche:

Adolescenti sempre piu’ dipendenti da Rete,spopola ‘sindrome Hikikomori’