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Mercoledì 5 Novembre 2008, 07:00
Barak Obama è presidente degli Stati Uniti. E’ ottimista chi si aspetta da lui una discontinuità politica reale che vada oltre il superamento pragmatico dei mille fallimenti di George Bush, ma sbaglia chi nega che si sia di fronte ad una discontinuità culturale reale e fortissima per almeno tre motivi.
L’elezione del figlio di un migrante alla presidenza degli Stati Uniti, un migrante dalla pelle nera, ci testimonia che i muri, i confini, i pregiudizi possono e debbono essere abbattuti, che la cultura della discriminazione, della gerarchia, delle élite e del razzismo possono essere spezzate, che i soffitti di cristallo sulla testa dei migranti, delle donne, degli sfruttati, non sono eterni e possono cadere in mille pezzi.
Certo, alla rottura di una barriera va dato contenuto politico perché non rappresenti il successo personale di uno, e ad oggi e nei programmi Obama non ha proposto particolare sostanza, ma è indubbio che i discriminati e gli sfruttati da quel muro abbattuto oggi negli Stati Uniti possano trarre un motivo di speranza e di orgoglio per continuare il cammino.
E si possono mettere in cammino perché la più nefasta macchina di discriminazione, di sperequazione, inquinamento e ingiustizia sociale al mondo, il capitalismo neoliberale, la legge del più forte per la quale è eticamente giusto far affondare il pianeta nella precarietà, è in rotta. I neoconservatori, il fondamentalismo protestante, meno di un lustro fa ancora era convinto di avere il diritto di dominare il mondo. (continua)
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