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Da Israele al Kazakistan: l’export armato del governo Monti

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di Giorgio Beretta

Sarà stato per il retaggio dell’export armato del precedente governo Berlusconi. Sarà perché dittatori, regimi autoritari, paesi in conflitto sono da sempre i maggiori acquirenti di armi. O sarà forse perché, grazie alla modifica della legge 185/1990, dallo scorso anno la competenza in materia è passata alla nuova Autorità nazionale per le Autorizzazioni di Materiali di Armamento (UAMA) presso – si noti – la Direzione Generale per la Promozione del Sistema Paese (DGSP) del Ministero degli Esteri che annovera tra i suoi compiti il “sostegno all’internazionalizzazione dell’industria dello spazio e della difesa” (come se satelliti meteorologici e carroarmati e relative bombe fossero la stessa cosa). Sarà per la necessità di trovare qualche commessa all’estero per compensare i tagli annunciati lo scorso anno dal Ministero della Difesa (più annunciati che effettivi). O sarà che tutto è stato fatto – come ormai è d’uso dire – “a loro insaputa” (ma su questo avanzerò qualche dubbio).

Resta il fatto che il governo Monti è riuscito a superare anche colui che si era autoproclamato “commesso viaggiatore” dell’industria militare nazionale. Ammontano infatti a 2.725.556.508 euro le autorizzazioni all’esportazione di armamenti rilasciate dall’esecutivo dei tecnici (ma il valore esatto, corretto un trucco di attribuzione, è di quasi 3 miliardi di euro). E, soprattutto sono cresciute le effettive consegne di sistemi militari che nel 2012 sfiorano anch’esse i 3 miliardi di euro (2.979.152.817 euro). Il testo ufficiale, anticipato sommariamente da alcuni quotidiani (il Fatto e Il Sole), non è ancora disponibile ma Unimondo è entrato in possesso dei voluminosi tomi della Relazione annuale della Presidenza del Consiglio sulle esportazioni di sistemi militari. Che mostra diverse, ma non positive, novità; numerose mancanze, più di qualche inesattezza e, soprattutto, una succinta lettera di accompagnamento dell’attuale presidente del Consiglio, Enrico Letta. Partiamo dalle cifre.

Esportazioni mescolate ai “programmi intergovernativi”

La Relazione, come detto, è stata predisposta dal Ministero degli Affari Esteri (MAE) del governo Monti e – a differenza degli ultimi anni – manca del Rapporto del Presidente del Consiglio che esplicitava i “lineamenti di politica del Governo in materia di esportazione di materiali d’armamento” (i recenti Rapporti sono disponibili qui). I precedenti rapporti distinguevano e separavano chiaramente le autorizzazioni all’esportazione dai “programmi governativi di cooperazione internazionale” (detti anche “programmi intergovernativi”) tra cui figurano i caccia Eurofighter, le fregate Fremm, le navi Orizzonte, gli elicotteri EH-101 e NH-90 in costruzione dotazione anche per il nostro ministero della Difesa. Sommando le autorizzazioni all’esportazione con i programmi intergovernativi, il MAE presenta una tabella (p.13) che risulta fuorviante per conoscere i reali paesi destinatari delle esportazioni militari italiane. Al primo posto infatti risulterebbe essere il Regno Unito (€ 608.093.754 che sono però la somma di € 74.407.416 di operazioni autorizzate all’esportazione con € 533.686.338 dei programmi intergovernativi), al quarto la Francia, all’ottavo la Germania.

La tabella reale – ricalcolata al netto dei programmi intergovernativi – è invece quanto mai diversa. Eccola in breve: Israele (€ 472.910.250), Stati Uniti (€ 419.158.202), Algeria (€ 262.857.947), Arabia Saudita (€ 244.925.280), Turkmenistan (€ 215.821.893), Emirati Arabi Uniti (€ 149.490.989), Belgio (€123.658.464), India (€ 108.789.957), Ciad (€ 87.937.870) e Regno Unito (€ 74.407.416). Come si può notare tra i primi dieci destinatari delle autorizzazioni all’esportazione solo tre (USA, Belgio e UK) fanno parte delle tradizionali alleanze dell’Italia (Nato e Ue) mentre per la maggior parte si tratta di paesi extra europei, di nazioni in guerra, rette da regimi dispotici o autoritari e da governi responsabili di reiterate violazioni dei diritti umani. Verso questi paesi non è però dato di sapere dalla Relazione su quali criteri si sia basato il ministero degli Esteri nell’emettere le autorizzazioni all’esportazione.

Armi a Israele: il “salto di qualità” di Monti

Andrebbero innanzitutto spiegate quali novità nella politica estera di Israele sono intervenute per giustificare i € 472.910.250 di autorizzazioni all’esportazione di armamenti al governo di Tel Aviv tra qui figurano oltre ad “aeromobili” anche “armi con calibro superiore a 12,7 millimetri”. Non certo la disponibilità del governo Netanyahu a riconoscere lo stato della Palestina visto che il governo israeliano si è opposto ripetutamente al riconoscimento della Palestina anche solo come “Stato osservatore non membro” delle Nazioni Unite: un riconoscimento per il quale, invece, l’Italia ha votato a favore. L’ex-presidente del Consiglio italiano non può certo dire di non essere a conoscenza della faccenda, visto che Monti in prima persona si pronunciato a favore del contratto per la fornitura a Israele di 30 velivoli addestratori M-346 della Alenia Aermacchi. Un contratto che l’Amministratore Delegato di Alenia Aermacchi Giuseppe Giordo definiva nei termini di “una eccezionale vittoria del sistema paese Italia”. Si tratta di aerei addestratori per i piloti dei caccia d’attacco F-35 (che Israele ha intenzione di acquisire dalla Lockheed Martin) in cambio dell’acquisto da parte dell’Italia di un pacchetto da un miliardo di dollari per velivoli senza pilota e altro materiale bellico: un contratto che rappresenta “salto di qualità” che andrebbe spiegato ai cittadini visto che l’esportazione italiana di armi italiane verso Israele nei precedenti 20 anni è stata quanto mai contenuta e che questo tipo di autorizzazioni hanno rilevanti implicazioni sulla politica mediorientale del nostro paese. La relazione del Ministero degli Esteri riporta per il contratto relativo agli aerei addestratori M-346 un valore di “soli” € 469.285.638 comprensivo però di un oscuro “loose equipment kit”.

Elicotteri all’Algeria, caccia e bombe all’Arabia Saudita

Sulla scia del governo Berlusconi che nel 2011 aveva autorizzato al contestato governo del presidente Bouteflika un intero arsenale militare, il governo Monti nel 2012 ha emesso autorizzazioni per il ministero della Difesa algerino per quasi 263 milioni di euro. La maggior parte riguarda la fornitura di 14 elicotteri Agusta Westland AW139 comprensivi di apparecchiature per la visone all’infrarosso, 28 caschi militari e altre amenità per un valore complessivo di € 258.241.013. Prosegue anche la fornitura all’Arabia Saudita dei caccia Eurofighter (denominati El Salaam): trattandosi della produzione di un consorzio europeo (composto dalla britannica BAE, dalla tedesca DASA, dall’italiana Alenia Aeronautica dalla spagnola CASA) il ministero degli Esteri ha avuto la geniale pensata di classificare queste autorizzazioni tra i “programmi intergovernativi” anche se i sauditi non partecipano al progetto ma sono solo acquirenti dei caccia. Tra le armi esportate all’Arabia Saudita figurano però anche 600 bombe 2000LB Blu 109 attiva per un valore di € 15.600.000 ed inoltre 1000 bombe 500LB MK82 inerte e 300 bombe 2000LB MK84 inerte per complessivi € 8.500.000 tutte prodotte dalla RWM Italia di Ghedi (Rheinmetall Group). E 100mila granate cal. 40/46 MM TP Low Velocità esportate a Riyad da Simmel Difesa per € 6.291.000.

Armi “top secret” al Turkmenistan e aerei militari al Ciad

Anche verso il Turkmenistan il governo Monti ha proseguito la politica di esportazioni di sistemi militari inaugurata dal precedente governo Berlusconi. Verso quello che il Dipartimento di Stato americano definisce come uno “stato autoritario” riportando una lunghissima serie di violazioni dei diritti umani, sotto la direzione del ministro Giulio Terzi di Sant’Agata la Farnesina ha autorizzato quasi 216 milioni di euro di esportazioni di armamenti tra cui però non è dato di conoscere nemmeno la tipologia perché il ministero degli Esteri ha (casualmente?) dimenticato di fornirla nell’apposita tabella. Sta di fatto che mentre Jennifer Lopez, solo per aver cantato al compleanno del presidente turkmeno Gurbanguly Berdymukhamedov, si è beccata le critiche di mezzo mondo, il responsabile della Farnesina che negli ultimi due anni ha autorizzato quasi 350 milioni di euro di esportazioni di armi alle forze armate turkmene rimane tranquillo (e profumatamente pagato) al suo posto senza che alcuno in Parlamento sollevi qualche critica.

Sono invece rintracciabili – e ampiamente documentati da varie fonti – i due aerei da trasporto tattico forniti al Ciad: si tratta di due C-27J Spartan con parti di ricambio venduti da Alenia Aeronautica per quasi 88 milioni di euro. Sulle effettive necessità di questi aerei militari per il paese sub-sahariano la cui popolazione è, secondo il l’Indice dello sviluppo umano dell’UNPD, è quartultimo posto al mondo (184mo su 186 paesi) per condizioni di vita è meglio non commentare.

Fucili d’assalto (e silenziatori) Beretta al Kazakistan

Che Berlusconi abbia fatto affari col dittatore kazako Nursultan Nazarbayev e che sia da tempo amico del produttore di armi bresciano, Ugo Gussalli Beretta (tanto da aver pensato alcuni anni fa di nominarlo ambasciatore negli Stati Uniti) è cosa nota. Ma nemmeno a colui che aveva definito il dittatore kazako come “un leader molto amato dal suo popolo” era mai riuscito di autorizzare esportazioni di armi dalla cinquecentenaria ditta di Gardone Valtrompia a Astana, la capitale kazaka. C’è riuscito invece il già citato funzionario della Farnesina, il ministro plenipotenziario (mai titolo è stato più azzeccato!) Michele Esposito, direttore generale della Autorità nazionale dell’Unità per le Autorizzazioni di Materiali di Armamento (UAMA). E’ sotto la sua direzione che è stata autorizzata la vendita alle forze armate kazake di 40 fucili d’assalto cal. 7,62x39mm NATO modello ARX 160 insieme con 40 lanciagranate cal.40mm modello GLX-160 compresivi di 1000 granate dello stesso tipo ed inoltre 3 pistole semiautomatiche PX4 Storm corredate da 6 dispositivi di soppressione del rumore da sparo. Le stesse tipologie di armi, ma in quantità maggiore, la cui esportazione era stata autorizzata, sempre dallo stesso ministro plenipotenziario, all’autocrate turkmeno l’anno prima. La dogana di Brescia ha già rilasciato il “nulla osta” per entrambe le forniture. Qualcuno nelle ex repubbliche sovietiche si sta già esercitando con le armi “made in Italy”.

Giorgio Beretta
giorgio.beretta@unimondo.org

P.S.: Il presidente del Consiglio, Enrico Letta ha inviato alle Camere la Relazione con la succinta nota che riportiamo più sotto. Su questo e su altri aspetti controversi della Relazione (operazioni bancarie, mancanze di informazioni, errori ecc.) ritorneremo in un prossimo articolo.

“Ai sensi dell’articolo 5 della Legge 9 luglio 1990, n. 185, trasmetto la relazione annuale, relativa all’anno 2012, preparata dal precedente Governo, sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo delle esportazioni, importazioni e transito dei materiali di armamento con allegate le relazioni dei Ministri, incluse relative tabelle, di cui al comma 2 del medesimo articolo”.

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Fonte: unimondo.org

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Monti è più pericoloso di Berlusconi

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di Giorgio Cremaschi

Mario Monti ha iniziato alla Fiat di Melfi la sua campagna elettorale. Lo ha fatto assieme ad una pletora di suoi ministri per ricevere il pubblico sostegno di Marchionne.

Mentre la FIOM gli ricorda che la Fiat non rispetta la sentenza della magistratura che impone il reintegro di tre lavoratori licenziati per rappresaglia e mentre i lavoratori subiscono angherie e cassa integrazione continue, il presidente del Consiglio benedice il padrone più bugiardo d’Italia.

La cosa ha una sua logica, Monti ha fatto al paese quello che Marchionne ha fatto alla Fiat. Entrambi hanno avuto a cuore solo gli interessi e gli utili degli azionisti di riferimento, in parte gli stessi, promettendo un radioso futuro e intanto realizzando disoccupazione e super sfruttamento. Ora entrambi spiegano e spiegheranno che la causa di questi danni collaterali è il mancato completamento delle riforme. Si dice che il presidente del Consiglio abbia paragonato la sua azione a quella di una trivella che abbia scavato per trenta metri, mentre si dovrà arrivare a trecento. Ci vorrà l’intervento di Greenpeace!

Monti è l’avversario più pericoloso per il mondo del lavoro, dello stato sociale, dei beni comuni. Molto più pericoloso del ridicolo ritorno in campo di Berlusconi, che non ha alcuna possibilità di vincere e che viene soprattutto usato dal partito montiano, che domina davvero i mass media, come spauracchio. Uno spread mediatico che urla: hai paura del ritorno del boss di Arcore, vota chi ci ha reso rispettabili in Europa.

Monti è l’avversario più pericoloso perché il suo programma di massacro sociale continuo ha il sostegno della CISL di Bonanni e del Vaticano di Ratzinger, cioè di forze oggi profondamente conservatrici, che vogliono conciliare il liberismo economico con un restaurato potere temporale della Chiesa. Egli rappresenta il clerico liberismo.

Monti è l’avversario più pericoloso non solo perché i voti che prenderà saranno pesati e non contati dai poteri forti che lo hanno lanciato e da un Presidente della Repubblica a cui deve la nomina. Lo è anche perché il suo principale contendente, favorito oggi dai sondaggi, lo ha sostenuto per un anno e ora gli è totalmente subalterno.

Se Monti parte da Melfi, Bersani ha iniziato la campagna elettorale a Bruxelles, chiedendo udienza ai vertici dell’Europa. Così infatti da noi sono presentati i leader della destra conservatrice a capo delle istituzioni continentali: essi sono l’ Europa, quella che guarda un po’ vuole Monti.

Incontrando i capi della destra europea Bersani li ha rassicurati sul fatto che un suo governo manterrà tutti gli impegni, cioè fiscal compact, tagli e austerità. Il barone Junker, capo dell’eurozona, alla fine ha sorriso al candidato del centrosinistra, affermando: tra lui e Monti ci sono solo sfumature. Siamo d’accordo.

Dal finto scontro tra centro sinistra e nuovo centro può dunque venir fuori un parlamento che più montiano non si può.

Naturalmente c’è il voto di mezzo e bisogna operare e fare il possibile perché tutte le forze democratiche e di sinistra che davvero sono contro entrambi i due principali contendenti abbiano successo, meno sarà forte il montismo nelle prossime camere e meglio sarà per tutti noi. Però bisogna anche prevedere che Monti Marchionne e …Merkel, non mollino la presa tanto facilmente, così come le classi e gli interessi che li sostengono, in Italia ed in Europa. Per questo costruiamo una resistenza antimontiana destinata a diffondersi e a durare anche e soprattutto dopo le elezioni.

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Fonte: MicroMega

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All’orizzonte una nuova sinistra?

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APPELLO

Il sistema sta andando in pezzi.

Le differenze economiche e sociali crescono, le disonestà individuali o di gruppi sono diventate corruzione del sistema, la distanza tra stato e società e tra organi rappresentativi e cittadini non è mai stata così elevata. La possibilità di contare e di decidere sulla propria vita e sul proprio futuro è quotidianamente frustrata da decisioni verticistiche e incontrollabili. Così lo stesso desiderio di partecipazione politica si affievolisce, riducendosi a esplosioni di rabbia, alla fuga dal voto o all’adesione a proposte populiste (egualmente presenti dentro e fuori le forze politiche tradizionali). Prevale l’idea che non ci sia più nulla da fare perché ogni scelta è obbligata e «imposta dall’Europa» (cioè dai mercati). Il modello sociale europeo è cancellato dalle compatibilità economico-finanziarie in una concezione dell’economia che non lascia spazio alla politica.
Questa posizione è stata da tempo abbracciata dal Partito democratico e si è tradotta nell’appoggio senza se e senza ma al governo Monti, nel concorso all’approvazione del cosiddetto patto fiscale e della modifica costituzionale sul pareggio di bilancio, nel contributo alla riduzione delle tutele del lavoro, nel sostegno alle grandi opere, nel frequente aggiramento dell’esito referendario in favore dell’acqua pubblica. È una prospettiva nella quale si è inserito, da ultimo, il gruppo dirigente di Sel con la scelta di partecipare alle primarie, in una alleanza che ne sancisce la subalternità al Partito democratico (a prescindere dallo stesso esito delle primarie). Dall’altra parte c’è la posizione del Movimento 5 stelle di Beppe Grillo, che, pur partendo da una condivisibile critica radicale di questa classe politica e di questi partiti, non offre risposte sul piano della democrazia costituzionale e di una diversa uscita dalla crisi in atto.

A fronte di ciò non è più possibile stare a guardare o limitarsi alla critica.

L’attuale pensiero unico e il conseguente orizzonte politico sono modificabili. Esiste un’alternativa forte, sobria e convincente alla politica liberista che, in tutta Europa, sta distruggendo il tessuto sociale senza dare soluzione a una crisi che non accenna a diminuire nonostante le rassicurazioni di facciata.
È un’alternativa che si fonda sulle promesse di civiltà contenute nella nostra Carta fondamentale: la Costituzione stabilisce che tutti i cittadini hanno diritto al lavoro e, in quanto lavoratori, a una retribuzione sufficiente ad assicurare un’esistenza libera e dignitosa: noi vogliamo che questi principi siano attuati e posti a base delle politiche economiche e sociali. È un’alternativa che esprime una cultura politica nuova, che si prende cura degli altri e rifiuta il leaderismo, che parla il linguaggio della vita della persone e non quello degli apparati, che include nelle discussioni e decisioni pubbliche la cittadinanza attiva. Un’alternativa capace di fare emergere, con l’impegno collettivo, una nuova rappresentanza politica preparata, capace, disinteressata al tornaconto personale e realmente al servizio della comunità. Un’alternativa in grado di produrre antidoti a quel sistema clientelare che ha generato corruzione e inquinamento mafioso e di trasformare lo stato rendendolo trasparente, de-centralizzato ed efficiente. Un’alternativa, quindi, che guarda a un mondo diverso, in cui si rispetti l’ambiente, siano valorizzati i beni comuni, si pratichi l’accoglienza, si assicuri a tutte e tutti la possibilità di una vita degna di essere vissuta anche se si è vecchi, malati o senza lavoro o se si è arrivati nel nostro paese per viverci e lavorare. Non è un’illusione, ma il compito di una politica lungimirante: il welfare, lungi dall’essere un lusso dei periodi di prosperità, è la strada che ha portato alla soluzione delle grandi crisi economiche del secolo scorso. E non c’è solo una prospettiva di tempi lunghi. Ci sono azioni positive da realizzare e scelte sbagliate da contrastare. Subito.
L’elenco è semplice e riguarda sia gli interventi indispensabili che le modalità per recuperare le risorse necessarie. Da un lato, la rinegoziazione delle normative europee che impongono politiche economiche recessive; un progetto di riconversione di ampi settori dell’economia in grado di rilanciare rapidamente l’occupazione con migliaia di piccole opere di evidente e immediata utilità collettiva; un piano di riassetto del territorio nazionale e dei suoi usi mirante a garantire la sicurezza dei cittadini e la riduzione del consumo di suoli agricoli; un’imposizione fiscale equa ed efficace (estesa ai patrimoni e alle rendite finanziarie nonché alle proprietà ecclesiastiche); il potenziamento degli interventi a sostegno delle fasce più deboli e dei presidi dello stato sociale; il ripristino delle tutele fondamentali del lavoro e dei lavoratori; la sperimentazione di modalità di creazione diretta di occupazione, anche in ambito locale, affiancata dall’introduzione di un reddito di cittadinanza; l’attuazione di forme di sostegno e promozione delle esperienze di economie di cooperazione e solidarietà; l’investimento a favore della scuola e dell’università pubblica, a sostegno della formazione, della cultura, della ricerca e dell’innovazione; il rispetto pieno e immediato dei referendum 2011 sui beni comuni e contro la vendita ai privati dei servizi pubblici locali; un’effettiva riforma del sistema dell’informazione e del conflitto di interessi; il pieno riconoscimento dei diritti civili degli individui e delle coppie a prescindere dal genere e l’accesso alla cittadinanza per tutti i nati in Italia.
Dall’altro: una reale azione di contrasto dell’evasione fiscale e della corruzione; il ritiro da tutte le operazioni di guerra e l’abbattimento delle spese militari; la definitiva rinuncia alle grandi opere (a cominciare dalla linea Tav Torino-Lione e dal ponte sullo Stretto); l’abrogazione delle leggi ad personam (che sanciscono la disuguaglianza anche formale tra i cittadini); la previsione di un tetto massimo per i compensi pubblici e privati e l’azzeramento delle indennità aggiuntive della retribuzione per ogni titolare di funzioni pubbliche.

I fatti richiedono un’iniziativa politica nuova e intransigente, per non restare muti di fronte a opzioni che non ci corrispondono.

Un’iniziativa politica nuova e non la raccolta dei cocci di esperienze fallite, dei vecchi ceti politici, delle sigle di partito, della protesta populista. Un’iniziativa che porti alla costituzione di un polo alternativo agli attuali schieramenti, con uno sbocco immediato anche a livello elettorale. Un’iniziativa che parta dalle centinaia di migliaia di persone che nell’ultimo decennio si sono mobilitate in mille occasioni, dalla pace ai referendum, e che aggreghi movimenti, associazioni, singoli, amministratori di piccole e grandi città, lavoratrici e lavoratori, precari, disoccupati, studenti, insegnanti, intellettuali, pensionati, migranti in un progetto di rinnovamento delle modalità della rappresentanza che veda, tra l’altro, una effettiva parità dei sessi.
È un’operazione complicata ma necessaria, che deve essere messa in campo subito. Negli ultimi giorni si sono susseguiti numerosi appelli in questo senso. È tempo di unire passione, intelligenze, capacità ed entusiasmo per costruire una proposta elettorale coerente con questa prospettiva, in cui non ci siano ospiti e ospitanti, leader e gregari ma un popolo interessato a praticare e promuovere cambiamento.

È questo il senso della campagna “CAMBIARE SI PUÒ! NOI CI SIAMO”, nella quale abbiamo deciso di impegnarci con l’obiettivo di presentare alle elezioni politiche del 2013 una lista di cittadinanza politica, radicalmente democratica, alternativa al governo Monti, alle politiche liberiste che lo caratterizzano e alle forze che lo sostengono.
Noi ci siamo e pensiamo che molte e molti vogliano costruire con noi questo percorso.
Per questo ti chiediamo di esserci e di mandare la tua adesione.

Ma le firme non bastano.

Serve che tutti noi, che aderiamo a questa campagna, ci incontriamo in una assemblea pubblica, che proponiamo per il 1° dicembre.

Aderisci

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Fonte: Cambiare si può

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Approfondimento

Tra Grillo e le primarie spunta il polo della sinistra arancione

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