Daily Archives: 23/01/2015

USA: 5 anni a Barrett Brown. Colpito il giornalismo libero ed indipendente

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Barrett Brown

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Barrett Brown condannato a 5 anni con l’accusa di essere il portavoce di Anonymous

Barrett Brown è un giornalista indipendente americano (ha lavorato, tra gli altri, per Huffington Post e Guardian) che dal settembre 2012 si trova in carcere – senza processo – con l’accusa di essere il portavoce del movimento di hacktivisti Anonymous.
Il suo arresto, avvenuto in diretta streaming mentre parlava via chat con la fidanzata, era avvenuto sulla base di numerose accuse che, globalmente avrebbero potuto condannarlo a più di cento anni di reclusione. Il capo di imputazione più grave riguardava la pubblicazione di un link su una chat pubblica (preso a sua volta da una chat privata) in cui  si rimandava a un sito contenente informazioni riservate (tra cui mail private e dati bancari), precedentemente rubate da alcuni hacker all’agenzia di sicurezza Stratfor Global Intelligence.

Sebbene l’hackeraggio sia dunque da attribuire, verosimilmente, ad Anonymous e Barrett Brown non abbia mai preso parte alle azioni del gruppo, nel pomeriggio di ieri il giornalista è stato condannato a 63 mesi di carcere (5 anni) e al pagamento di una sanzione pecuniaria da 890mila dollari. Le accuse (dopo che nel 2013 Brown aveva patteggiato per il ritiro di alcuni capi d’imputazione) sono di avere favorito l’attività degli hacktivisti, di minacce contro un agente federale – tramite un video su youtube – e di aver ostacolato una perquisizione in casa sua (fu in realtà la madre di Barrett a nascondere i suoi notebook in cucina, per essere poi condannata, a sua volta, a sei mesi di libertà vigilata).

Il commento, sarcastico, di Barrett alla notizia della condanna è stato: Il governo degli Stati Uniti ha deciso oggi che, avendo io fatto un buon lavoro indagando il complesso cyber-industriale, ha ora intenzione di mandarmi a studiare quello carcerario-industriale […] Voglio ringraziare il Dipartimento di Giustizia per aver impiegato così tanto tempo ed energia per indagare sul mio conto”.

Probabilmente, e ce lo auguriamo tutti, tra un anno Barrett Brown potrà beneficiare della libertà vigilata; nel frattempo non resta che riflettere, ancora una volta, su una condanna esemplare che è volta a colpire nel vivo una delle forme di azione più temute dai governi mondiali. Vale la pena ricordare, infatti, che la sentenza di ieri è avvenuta in Texas, USA, non in Iran o a Cuba, o in un paese dove è facile, per i media occidentali, puntare il dito contro una presunta mancanza di “giornalismo libero e indipendente”.
Per quanto ci riguarda, ovviamente, l’informazione ha un valore concreto quando è di parte e diviene in grado di inceppare gli ingranaggi della vulgata a senso unico del potere, e non ci stancheremo mai di supportare Anonymous e Wikileaks per i grandi sforzi compiuti in questo senso.

Ci sembra comunque ipocrita che, a distanza di pochi giorni dalla più imponente alzata di scudi a difesa della libera stampa e del dissenso, gli organismi di informazione mainstream non facciano sentire neanche il più flebile sussulto di indignazione di fronte alla condanna di un giornalista (o alla reclusione “obbligata” di Assange, all’incarcerazione di Jeremy Hammond, di Edward Snowden…la lista è lunga!).

Con il sorriso sulle labbra, infine, ci viene da dire: come si racconta, in questi casi, la storia della libertà d’espressione?


#FreeBarrettBrown

https://freebarrettbrown.org/

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Fonte: InfoAut

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“Caro amico, mi chiedi perché non mangio carne…”

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Edgar Kupfer-Koberwitz

Edgar Kupfer-Koberwitz

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Dachau

Edgar Kupfer è stato imprigionato nel campo di concentramento di Dachau nel 1940. Nei suoi ultimi 3 anni a Dachau ottenne un posto di lavoro nel dispensario clericale. Questa posizione gli permise di tenere un diario segreto scritto con pezzi di matita su fogli di carta rubati . Nascose il suo diario seppellendolo  e quando Dachau fu liberata il 29 aprile 1945 andò a riprenderselo. I “Dachau Diaries” sono stati pubblicati nel 1956. Dai suoi appunti di Dachau,  Kupfer scrisse un saggio sul vegetarismo che è stato poi tradotto in inglese. Una copia originale del saggio Dachau Diaries di 38 pagine è conservato  nella Collezione speciale della Biblioteca dell’Università di Chicago. Di seguito sono riportati alcuni estratti di questo saggio che sono stati ristampati nel poscritto del libro “Radical vegetarianismo” di Mark Mathew Braunstein (1981 panjandrum Books, Los Angeles, CA). Il libro è sottotitolato “Una dialettica di dieta e di Etica” ed è consigliato a tutti i vegetariani,  in particolare a quelli interessati di igiene naturale.

 Animali, fratelli miei – di Edgar Kupfer-Koberwitz

Le pagine che seguono sono state scritte nel campo di concentramento di Dachau, immerso tra tutti i tipi di crudeltà. Sono state furtivamente scarabocchiate in una baracca di ospedale dove ho soggiornato durante la mia malattia, in un momento in cui la Morte prendeva di giorno in giorno alcuni di noi, in quattro mesi e mezzo si è presa dodicimila persone.

“Caro amico,
mi chiedi perché non mangio carne e ti domandi per quale ragione mi comporto così. Forse pensi che ho fatto un voto o una penitenza che mi priva di tutti i piaceri gloriosi del mangiar carne. Pensi a bistecche gustose, pesci saporiti, prosciutti profumati, salse e mille altre meraviglie che deliziano gli umani palati; certamente ricordi la delicatezza del pollo arrostito.
Vedi, io rifiuto tutti questi piaceri e tu pensi che solamente una penitenza, o un voto solenne, o un grande sacrificio possa indurmi a negare questo modo di godere la vita e che mi costringa ad una rinuncia.

Sei sorpreso, chiedi: – Ma perché e per quale motivo?
Te lo chiedi con intensa curiosità e pensi di poter indovinare la risposta.

 Ma se io ora cerco di spiegarti la vera ragione in una frase concisa, tu rimarrai nuovamente sorpreso vedendo quanto sei lontano dal vero motivo.
Ascolta: io rifiuto di mangiare animali perché non posso nutrirmi con la sofferenza e con la morte di altre creature.
Rifiuto di farlo perché ho sofferto tanto dolorosamente che le sofferenze degli altri mi riportano alle mie stesse sofferenze.

So che cos’è la felicità e so che cos’è la persecuzione. Se nessuno mi perseguita, perché dovrei perseguitare altri esseri o far si che vengano perseguitati?

So che cos’è la libertà e so che cos’è la prigionia.

So che cos’è la protezione e che cos’è la sofferenza.

So che cos’è il rispetto e so che cos’è uccidere. Se nessuno mi fa del male, perché dovrei fare del male ad altre creature o permettere che facciano loro del male?

Se nessuno vuole uccidermi, perché dovrei uccidere altre creature o permettere che vengano ferite o uccise per il mio piacere o per convenienza?

Non è naturale che io non infligga ad altre creature ciò che io spero non venga inflitto a me? Non sarebbe estremamente ingiusto fare questo per il motivo di un piacere fisico a spese della sofferenza altrui e dell’ altrui morte?
Queste creature sono più piccole e più indifese di me, ma puoi tu immaginare un uomo ragionevole con nobili sentimenti che volesse basare su questa sofferenza la rivendicazione o il diritto di abusare del più debole e del più piccolo? Non credi che sia proprio il dovere del più grande, del più forte, del superiore di proteggere le creature più deboli invece di perseguitarle e di ucciderle?
Noblesse oblige. Ed io voglio comportarmi nobilmente.

Ricordo l’epoca orribile dell’inquisizione e mi dispiace dire che il tempo dei tribunali per gli eretici non è passato, che giorno per giorno gli uomini cucinano in acque bollenti altre creature che sono state date impotenti nelle mani dei loro carnefici.

Sono inorridito dall’idea che uomini simili siano civili, non rudi barbari, non dei primitivi. Ma nonostante tutto essi sono soltanto primitivamente civilizzati, primitivamente adagiati nel loro ambiente culturale.
Sproloquiando, sorridendo, proponendo grandi idee e facendo bei discorsi, l’europeo medio commette ogni sorta di crudeltà e non perché sia costretto, ma perché vuole fare ciò. Non perché manchi della facoltà di riflettere e di rendersi conto delle orribili cose che sta facendo. Oh no! Soltanto non vuole vedere i fatti, altrimenti ne sarebbe infastidito e disturbato nei suoi piaceri.

So che la gente considera certi atti connessi al macellare come inevitabili. Ma c’è realmente questa necessità? La tesi può essere contestata. Forse esiste un genere di necessità per le persone che non hanno sviluppato ancora una piena e conscia personalità. Io non faccio loro delle prediche, scrivo a te questa lettera, ad un individuo responsabile che controlla razionalmente i suoi impulsi, che si sente conscio – internamente ed esteriormente – dei suoi atti, che sa che la nostra Corte Suprema è nella nostra coscienza e che non vi è ricorso in appello.

E’ necessario che un uomo responsabile sia indotto a macellare?
In caso affermativo, ogni individuo dovrebbe avere il coraggio di farlo con le sue stesse mani. È un genere miserabile di codardia quello di pagare altra gente per fare questo lavoro macchiato di sangue dal quale l’uomo normale si ritrae inorridito e sgomento. Questa gente é pagata per questo lavoro e gli altri acquistano da loro le parti desiderate dell’animale ucciso possibilmente preparato in modo da non ricordare l’animale, il fatto che è stato ucciso.

Io penso che gli uomini saranno uccisi e torturati fino a quando gli animali saranno uccisi e torturati e che fino allora ci saranno guerre, poiché l’addestramento e il perfezionamento dell’uccidere deve essere fatto moralmente e tecnicamente su esseri piccoli. Penso che ci saranno prigioni finché gli animali saranno tenuti in gabbia. Poiché per tenere in gabbia i prigionieri bisogna addestrarsi e perfezionarsi moralmente e tecnicamente su piccoli esseri.

Non vedo alcuna ragione di sentirci oltraggiati per i grandi e per i piccoli atti di violenza e crudeltà commessi dagli altri.
Ma penso che sia arrivato il momento di sentirci oltraggiati dai grandi e piccoli atti di violenza e crudeltà che noi stessi commettiamo. Ed essendo molto più facile vincere le piccole battaglie, penso che dovremmo cercare di spezzare prima i nostri legami con le piccole violenze e crudeltà per superarle una volta per sempre.
Poi verrà il giorno che sarà facile per noi combattere anche le crudeltà più grandi.

Ma noi tutti siamo addormentati in abitudini e attitudini ereditate, che ci aiutano ad ingoiare le nostre crudeltà senza sentirne l’amaro. Non ho alcuna intenzione di accusare persone o situazioni. Ma penso che sia mio dovere stimolare la mia coscienza nelle piccole cose, migliorare me stesso ed essere meno egoista, per essere poi in grado di agire in coerenza nei problemi più importanti.
Il punto è questo: io voglio vivere in un mondo migliore dove una più alta legge conceda più felicità a tutti.”

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Dachau

Edgar Kupfer was imprisoned in Dachau concentration camp in 1940. His last 3 years in Dachau he obtained a clerical job in the concentration camp storeroom. This position allowed him to keep a secret diary on stolen scraps of papers and pieces of pencil. He would bury his writings and when Dachau was liberated on April 29, 1945 he collected them again. The “Dachau Diaries” were published in 1956. From his Dachau notes he wrote an essay on vegetarianism which was translated into “immigrant” English. A carbon copy of this 38 page essay is preserved with the original Dachau Diaries in the Special Collection of the Library of the University of Chicago. The following are the excerpts from this essay that were reprinted in the postscript of the book “Radical Vegetarianism” by Mark Mathew Braunstein (1981 Panjandrum Books, Los Angeles, CA). The book is subtitled “A Dialectic of Diet and Ethic” and is recommended to all vegetarians especially those interested in natural hygiene.

Animals, My Brethren by Edgar Kupfer-Koberwitz

The following pages were written in the Concentration Camp Dachau, in the midst of all kinds of cruelties. They were furtively scrawled in a hospital barrack where I stayed during my illness, in a time when Death grasped day by day after us, when we lost twelve thousand within four and a half months.

“Dear Friend: You asked me why I do not eat meat and you are wondering at the reasons of my behavior. Perhaps you think I took a vow — some kind of penitence — denying me all the glorious pleasures of eating meat. You remember juicy steaks, succulent fishes, wonderfully tasted sauces, deliciously smoked ham and thousand wonders prepared out of meat, charming thousands of human palates; certainly you will remember the delicacy of roasted chicken. Now, you see, I am refusing all these pleasures and you think that only penitence, or a solemn vow, a great sacrifice could deny me that manner of enjoying life, induce me to endure a great resignment.
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You look astonished, you ask the question: “But why and what for?” And you are wondering that you nearly guessed the very reason. But if I am, now, trying to explain you the very reason in one concise sentence, you will be astonished once more how far your guessing had been from my real motive. Listen to what I have to tell you: I refuse to eat animals because I cannot nourish myself by the sufferings and by the death of other creatures.

I refuse to do so, because I suffered so painfully myself that I can feel the pains of others by recalling my own sufferings.

I feel happy, nobody persecutes me; why should I persecute other beings or cause them to be persecuted?

I feel happy, I am no prisoner, I am free; why should I cause other creatures to be made prisoners and thrown into jail?

I feel happy, nobody harms me; why should I harm other creatures or have them harmed?

I feel happy, nobody wounds me; nobody kills me; why should I wound or kill other creatures or cause them to be wounded or killed for my pleasure and convenience?

Is it not only too natural that I do not inflict on other creatures the same thing which, I hope and fear, will never be inflicted on me? Would it not be most unfair to do such things for no other purpose than for enjoying a trifling physical pleasure at the expense of others’ sufferings, others’ deaths? These creatures are smaller and more helpless than I am, but can you imagine a reasonable man of noble feelings who would like to base on such a difference a claim or right to abuse the weakness and the smallness of others? Don’t you think that it is just the bigger, the stronger, the superior’s duty to protect the weaker creatures instead of persecuting them, instead of killing them? “Noblesse oblige.” I want to act in a noble way.
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I recall the horrible epoch of inquisition and I am sorry to state that the time of tribunals for heretics has not yet passed by, that day by day, men use to cook in boiling water other creatures which are helplessly given in the hands of their torturers. I am horrified by the idea that such men are civilized people, no rough barbarians, no natives. But in spite of all, they are only primitively civilized, primitively adapted to their cultural environment. The average European, flowing over with highbrow ideas and beautiful speeches, commits all kinds of cruelties, smilingly, not because he is compelled to do so, but because he wants to do so. Not because he lacks the faculty to reflect upon and to realize all the dreadful things they are performing. Oh no! Only because they do not want to see the facts. Otherwise they would be troubled and worried in their pleasures.
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It is quite natural what people are telling you. How could they do otherwise? I hear them telling about experiences, about utilities, and I know that they consider certain acts related to slaughtering as unavoidable. Perhaps they succeeded to win you over. I guess that from your letter. Still, considering the necessities only, one might, perhaps, agree with such people. But is there really such a necessity? The thesis may be contested. Perhaps there exists still some kind of necessity for such persons who have not yet developed into full conscious personalities. I am not preaching to them. I am writing this letter to you, to an already awakened individual who rationally controls his impulses, who feels responsible — internally and externally — of his acts, who knows that our supreme court is sitting in our conscience. There is no appellate jurisdiction against it. Is there any necessity by which a fully self-conscious man can be induced to slaughter? In the affirmative, each individual may have the courage to do it by his own hands. It is, evidently, a miserable kind of cowardice to pay other people to perform the blood-stained job, from which the normal man refrains in horror and dismay. Such servants are given some farthings for their bloody work, and one buys from them the desired parts of the killed animal — if possible prepared in such a way that it does not any more recall the discomfortable circumstances, nor the animal, nor its being killed, nor the bloodshed.
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I think that men will be killed and tortured as long as animals are killed and tortured. So long there will be wars too. Because killing must be trained and perfected on smaller objects, morally and technically. I see no reason to feel outraged by what others are doing, neither by the great nor by the smaller acts of violence and cruelty. But, I think, it is high time to feel outraged by all the small and great acts of violence and cruelty which we perform ourselves. And because it is much easier to win the smaller battles than the big ones, I think we should try to get over first our own trends towards smaller violence and cruelty, to avoid, or better, to overcome them once and for all. Then the day will come when it will be easy for us to fight and to overcome even the great cruelties. But we are still sleeping, all of us, in habitudes and inherited attitudes. They are like a fat, juicy sauce which helps us to swallow our own cruelties without tasting their bitterness. I have not the intention to point out with my finger at this and that, at definite persons and definite situations. I think it is much more my duty to stir up my own conscience in smaller matters, to try to understand other people better, to get better and less selfish. Why should it be impossible then to act accordingly with regard to more important issues? That is the point: I want to grow up into a better world where a higher law grants more happiness, in a new world where God’s commandment reigns: You Shall Love Each Other.”

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Fonte: A.L.F. (Fronte di Liberazione Animale)

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